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#Univa2017, le interviste: "In un mondo multipolare servono filiere connesse"


L’INTERVISTA A PAOLO MAGRI



“C’è una buona notizia uscita dall’ultimo G7 di Taormina: con questi Stati Uniti e con questa Gran Bretagna è difficile dialogare e dunque l’Europa ha un’occasione storica, quella finalmente di darsi un ruolo in un mondo multipolare”. Lo scenario internazionale è uno dei protagonisti dell’Assemblea Generale 2017 dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. Sul palco di Malpensafiere il giornalista Gianfranco Fabi intervista il Vice Presidente Esecutivo e Direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Paolo Magri.

Più anziani, più grandi città, più integrazione sociale in una realtà multietnica: dal suo osservatorio come questi megatrend stanno condizionando i rapporti internazionali?

Nel 2050 la sola Nigeria avrà una popolazione pari a tutta l’Europa. Se guardiamo a 15 anni fa gli Stati Uniti avevano le armi dei successivi 15 Paesi in classifica, ma tra 15 anni la Cina avrà gli stessi livelli di armi degli Usa. Stanno cambiando gli equilibri. Non solo quelli demografici o economici. Anche Paesi come il Qatar avranno un peso maggiore sullo scacchiere internazionale. Saremo un mondo sempre più multipolare. A livello globale e regionale. Pensiamo all’Asia, dove prima dominava a turno sempre una potenza e oggi deve fare i conti con una multipolarità fatta da Corea, Cina, India, Giappone. Tutti Paesi che crescono economicamente di più di noi. Cina e India crescono a ritmi del 6 e 7%, i Paesi in via di sviluppo sono pronti al sorpasso sull’Occidente. Tra poco produrranno più del 50% della ricchezza mondiale.

In questo scenario come si inseriscono le politiche del neo-Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump?

Siamo nell’età dell’incertezza. In questo condominio sempre più multipolare il condomino che ha più millesimi, che è ancora quello statunitense, sta cambiando le carte in tavola. Trump è imprevedibile. E lo è su questioni non di dettaglio. Cambia alleanze strategiche repentinamente. Ma stiamo attenti: sulle regole del commercio internazionale e la loro più o meno liberalizzazione a decidere negli Usa saranno le lobby dei grandi produttori, non la Casa Bianca. Questo ci tranquillizza.

Un freno all’export delle nostre imprese è venuto negli ultimi anni dalle sanzioni decise della comunità internazionale verso la Russia. Si sta andando verso una silenziosa normalizzazione?

Non condivido molti aspetti della politica di Trump, ma quello di cambiare il rapporto con la Russia con un avvicinamento lo condivido. La Russia ha coperto grandi vuoti in Europa e in Medio Oriente, complice anche ad una certa latitanza dell’Amministrazione Obama. Credo che però sarà uno dei punti del proprio programma che Trump non riuscirà a realizzare. Eppure noi come Europei ne avremmo tutti gli interessi, sia economici (pensiamo ai danni che abbiamo subito dalla politica delle sanzioni), sia sul fronte della stabilizzazione dei flussi migratori. Ma legata alla questione russa c’è anche il rapporto col mondo orientale. Dopo l’ultima visita in Arabia Saudita Trump sta aprendo ad una strategia di alleanze con il mondo Sunnita, ma questo avviene in contemporanea con i sempre più stretti legami che la Russia sta stringendo con il mondo sciita. Ecco, anche questo è un problema a cui stare attenti.

L’INTERVISTA A CLAUDIO MARENZI




“L’industria 4.0 deve essere un’opportunità per collegare di più fra di loro le imprese della filiera produttiva del sistema moda del made in Italy”. Da una parte la descrizione di ciò che sta avvenendo sullo scacchiere internazionale, dall’altra le ripercussioni sulle imprese e le loro strategie. L’altro intervistato della tavola rotonda dell’Assemblea Generale dell’Unione Industriali varesina è Claudio Marenzi, Amministratore Delegato di Herno Spa, nonché Presidente di Sistema Moda Italia e della neo-nata Confindustria Moda.

Il Presidente dell’Unione Industriali, Riccardo Comerio, ha invitato a considerare i grandi cambiamenti in atto come tante opportunità. Nuovi mercati, nuovi prodotti, nuovi bisogni da soddisfare. E’ d’accordo?

Forse non bisogna più parlare di mercati, ma di città. Ci sono mercati che vanno male con aree specifiche che vanno bene e viceversa. Ciò vale per la moda, ma non solo. Mosca è diversa da Kazan. Pechino è diversa da Shanghai. Anche per gli Stati Uniti vale questo ragionamento. La costa occidentale e quella orientale sono per le imprese due zone completamente diverse dove operare. Non possiamo più ragionare su macro-aree. Ciò vale per la moda, così come per tutti i settori che hanno a che fare con i beni di consumo. C’è ormai un rapporto duale tra consumatore e brand che il digitale e i social stanno trasformando, mettendo fuori gioco i grandi operatori commerciali legati ancora a stereotipi fermi al 2000. Poi ci sono anche altri fenomeni come la crescita fino a poco tempo fa del mercato della Corea del Sud, un aumento però legato a consumatori cinesi e non coreani. Consumi oggi crollati a causa della crisi con il Nord e la riduzione dei visti concessi dalla Cina ai propri cittadini.

Dove l’export italiano della moda riesce meglio a penetrare i mercati?

Germani, Francia e Spagna, anche la Gran Bretagna e l’Europa in generale sono mercati positivi per il made in Italy della moda. La Russia sta dando incredibili segnali di ripresa sul consumo dei nostri prodotti. Negli Usa stiamo andando bene sulla West e East Coast, ma nel centro del Paese arranchiamo.

A livello di imprese si parla molto di innovazione e industria 4.0. La digitalizzazione è un’opportunità anche per le Pmi?

Direi di sì. È un volano da cogliere. Non bisogna solo sfruttare un iper e un super ammortamento. Industria 4.0 deve essere un’opportunità per le imprese di cambiare completamente l’azienda, il processo produttivo e l’approccio al mercato. L’industria 4.0 deve connettere le imprese. Abbiamo una filiera del tessile e abbigliamento senza eguali al mondo, per qualità e profondità, ma ancora non collegata. Industria 4.0 deve essere la strada per collegarci tra di noi all’interno della nostra filiera. È quello che ci sta chiedendo il mercato: velocità. È un cambio di paradigma. Dobbiamo ragionare di più in partnership. I brand devono fidarsi di più delle Pmi.

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