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Referendum per l’autonomia della Lombardia: la posizione dell’Unione Industriali



La versione integrale dell'intervento tenuto dal Presidente dell'Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Riccardo Comerio
, durante l'incontro, "Busto Arsizio per l’autonomia della Lombardia - Sindaci, istituzioni e cittadini a confronto", organizzato al Centro Congressi di Malpensafiere il 20 settembre 2017.


Autorità, Presidente Maroni, cari Sindaci,
ringrazio innanzitutto gli organizzatori per avermi invitato e così portare la voce delle imprese di questo territorio su un tema, quello dell’autonomia, così fondamentale per il nostro futuro.

In un’epoca di cambiamenti che interessano la società, l’economia, i mercati e i sistemi economici locali, anche le istituzioni devono cambiare, così da diventare strumenti funzionali alla crescita e allo sviluppo economico.

In questo quadro, l’assetto dell’esercizio delle competenze da parte delle Regioni è un tema di grande importanza per la competitività.

Ciò vale tanto più per regioni, come la Lombardia, dal ruolo strategico che travalica i propri confini.

Siamo il principale motore di sviluppo del Paese e dell’Europa.

È un dato di fatto conosciuto pressoché da tutti e a ogni livello istituzionale.

Ritengo dunque che di fronte a questa platea la posizione delle imprese sul tema dell’autonomia non possa che partire dall’analisi di alcuni dati che è bene riportare alla memoria.

La Lombardia da sola produce il 26% del valore aggiunto dell’industria italiana.

Le imprese lombarde generano da sole il 26,9% dell’export nazionale.

Il nostro tasso di disoccupazione, che è pari al 7,4%, non è semplicemente più basso rispetto alla media italiana dell’11,7% e di quella europea dell’8,5%.
È anche inferiore a quella degli altri principali motori economici del continente come la Catalogna, con un tasso di disoccupazione del 15,7%, e Rhône-Alpes con l’8%. A fare meglio di noi è solo il Baden-Wüttemberg fermo al 3,1%.

Lo scenario viene replicato anche sul fronte del Pil medio pro-capite.

Il dato lombardo pari a 35.700 euro è superiore sia alla media italiana di 27.100 euro, sia a quella europea di 28.900.

Anche in questo metro di misura siamo a livelli più alti di Rhône-Alpes (32.700 euro) e Catalogna (27.600 euro). Arriviamo secondi dietro ai tedeschi del Baden-Wüttemberg che viaggiano a quota 42.800 euro.

Di fronte, dunque, ad un’Italia debole nelle classifiche europee, lo spaccato lombardo non solo riesce a fare eccezione, ma a primeggiare.

E ciò anche grazie ad un’economia fortemente manifatturiera.

Il 22,3% del valore aggiunto della Lombardia, infatti, viene proprio prodotto dall’industria in senso stretto, contro una media italiana del 18,6%.

Non voglio tediarvi ulteriormente con i numeri. Ma sono i dati a fotografare meglio di qualsiasi altro ragionamento la situazione e le specificità dei singoli territori.

D’altronde è la differenza che passa tra un’analisi soggettiva e una oggettiva.

È evidente, dunque, che di fronte ad un tale scenario la possibilità di una maggiore autonomia sia un’esigenza sentita dal sistema delle imprese lombarde, come strumento funzionale ad un maggior sviluppo economico-sociale della nostra regione, oltre che di difesa delle specificità nel nostro sistema produttivo ed economico e delle sue capacità di fare da volano all’intera economia nazionale.

Siamo, però, altrettanto convinti che tale processo non può e non deve essere avulso da una visione complessiva e dalla necessità di costruire un nuovo assetto amministrativo del Paese verso una prospettiva federalista sostenibile e integrata.

È questa una posizione che come industriali portiamo avanti da sempre.

È opinione diffusa tra le imprese che la legittima richiesta lombarda di maggiore autonomia e il conseguente ritorno sulla scena politica del tema del regionalismo non possano che essere discusse all’interno di una soluzione della crescente conflittualità Stato-Regioni.

Occorre mettere mano al tema delle materie concorrenti.

Nel 2016 sono stati 77 i ricorsi alla Corte Costituzionale. In questi 9 mesi del 2017 siamo già arrivati a 69. L’effetto paralisi su molte materie è evidente.

Regole sui diritti pubblici, liberalizzazione dei servizi locali, taglio delle partecipate, servizio civile, camere di commercio, trasporto pubblico: sono tutti temi sui quali regna un’incertezza normativa che non fa bene alla competitività e che spesso blocca l’iniziativa imprenditoriale e gli investimenti, anche quelli in grado di creare nuova occupazione.

Se chiedete ad un imprenditore quale sia la prima leva competitiva sulla quale pensi che occorra maggiore forza da parte del Paese vi risponderà la certezza, la stabilità.

Il federalismo a metà è un fenomeno tutto italiano che ha lasciato altre opere incompiute, attese anche dalle stesse imprese, oltre che dai cittadini.

Tra i grandi assenti all’appello di un sistema più moderno e più semplificato potremmo citare la service tax, l’imposta unica che avrebbe dovuto finanziare i Comuni e misurare, con la matematica dei costi rapportati alla qualità dei servizi, la bravura di Sindaci e Assessori. Oltre che racchiudere in un’unica imposta tutti i tributi minori.

E poi ancora: che fine hanno fatto i costi standard?

Se autonomia deve essere, infatti, che sia responsabile.

E che questa responsabilità sia misurabile.

Auspichiamo dunque che il prossimo referendum sia il volano per un nuovo confronto che contribuisca a far ripartire un vero processo di riforma del sistema amministrativo con l’obiettivo di dotare il nostro Paese di una efficace ed efficiente suddivisione di competenze tra Stato e Regioni, che comporti una riqualificazione della spesa pubblica, una migliore distribuzione delle risorse attraverso l’applicazione dei costi standard, consentendo di ridurre la pressione fiscale, all’interno di un quadro di stretta cooperazione interregionale.

L’iniziativa del 22 ottobre pone il tema, non più eludibile, di un diverso assetto delle funzioni tra Governo centrale e Regioni con il giusto obiettivo di valorizzare le amministrazioni più efficienti, anche se riteniamo sarebbe stata utile una indicazione di massima delle competenze sulle quali richiedere maggiore autonomia.

L’appoggio  del sistema imprenditoriale al quesito del 22 ottobre va argomentato,  non può essere interpretato come la firma di una cambiale in bianco. Prima di aprire il confronto con il Governo, infatti, bisogna rispondere ad altre domande.


Su quali temi si apriranno le trattative?

Su quali precise materie la Lombardia vorrà concretamente ottenere maggiori competenze e maggiori risorse?

Come e quando le imprese lombarde verranno coinvolte nel confronto?

Le materie su cui si aprirebbe la partita non sono poche. Tra quelle di più stretto interesse per il sistema produttivo ci sono temi come il commercio estero; la tutela e la sicurezza del lavoro; la ricerca scientifica e tecnologica; il governo del territorio; il trasporto e l’energia. Per arrivare alle norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente.

Non su tutti questi temi, a nostro avviso, è opportuno aprire un tavolo di trattativa, perché occorre comunque difendere, come da sempre sostenuto da Confindustria, l’omogeneità nazionale in quelle voci che impattano con l’avvio e l’esercizio dell’attività d’impresa.

Si pensi ad esempio alla tutela dell’ambiente o all’energia.

La specificità industriale e manifatturiera lombarda richiede risposte specifiche ad esigenze particolari. Pensiamo a quella di sostenere nel giusto modo e con le giuste risorse i nove Cluster Tecnologici riconosciuti da Regione Lombardia (aerospazio, fabbrica intelligente, agrifood, mobilità, energia, chimica verde, scienze della vita, tecnologie per ambienti di vita, smart communities), in un’ottica di crescita non solo di questi singoli settori, ma come traino per tutta l’economia regionale.

La maggiore autonomia sarà un fattore positivo per le aziende e la loro capacità di creare benessere diffuso, solo se Regioni come la Lombardia potranno contare su regimi legislativi e amministrativi più equilibrati, nei quali far convivere, senza pregiudiziali ideologiche anti-imprese, la tutela degli interessi pubblici con lo sviluppo delle attività economiche.

Non basta, insomma, l’autonomia per essere efficienti e per fare l’interesse generale.

Bisogna anche vedere come  questa autonomia viene applicata e gestita.
L’autonomia da noi intesa deve essere propedeutica al rispetto e alla tutela dell’iniziativa e della libertà d’impresa.

Su questo occorre dare da subito garanzie alle imprese, non per il loro interesse particolare, ma per quello generale di poter contare su un sistema amministrativo in grado di tutelare chi sul territorio vuole investire e creare occupazione.

Siamo quindi interessati a collaborare alla definizione della proposta da presentare al Governo a tutela delle aspirazioni e delle aspettative delle imprese.


Auspichiamo infatti che la Regione, attraverso il confronto con le parti sociali, elabori una proposta chiara da presentare al Governo che individui gli ambiti e i gradi di maggiore autonomia necessari per potenziare lo sviluppo economico della nostra regione, salvaguardando nel contempo anche un livello adeguato di uniformità normativa e amministrativa sul territorio nazionale, che resta elemento indispensabile per le imprese per poter operare efficacemente.

Una Lombardia dotata di maggiori competenze e risorse può costituire senza dubbio un importante strumento per la crescita e lo sviluppo non solo del nostro territorio, ma anche per tutto il Paese.

La richiesta di maggiori risorse finanziarie che Lombardia, Veneto e, per altre vie, Emilia-Romagna sottoporranno al Governo insieme alle maggiori competenze non devono ovviamente impattare sulle risorse occorrenti allo Stato Centrale per mettere in pratica le necessarie e giuste finalità perequative in un’ottica di coesione territoriale e sociale. Il rischio sarebbe quello di dover trovare tali risorse da altre parti, magari attraverso il ricorso alla leva fiscale.

È fondamentale porsi subito l’obiettivo di fare ogni sforzo per non mettere in discussione la tenuta degli equilibri istituzionali del Paese. Abbiamo già troppi conflitti tra vari livelli di governo con cui fare i conti.

Stabilità, dunque, come priorità.

L’auspicio è che il voto lombardo e veneto sia l’occasione per dare il via ad una nuova stagione di riforme in grado di dare una volta per tutte certezze all’intero nostro Paese, nelle sue varie declinazioni territoriali.

Che il referendum lombardo, quello Veneto e le trattative che vuole portare avanti l’Emilia-Romagna senza consultazione popolare, siano, dunque, un volano al nostro sviluppo economico e un’occasione per tutta l’Italia.