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I derivati per tutelare le imprese dal “rischio mondo”


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Coprire le aziende dai rischi di cambio, di tasso e di prezzo: ecco l’uso “buono” che il sistema produttivo varesino può fare di strumenti finanziari diventati famosi, loro malgrado, solo per l’aspetto speculativo. Ma non è sempre così


Nell’immaginario collettivo il sinonimo di derivati è speculazione. Un modo per fare soldi con scommesse sui mercati finanziari, più o meno avventurose. Come ad un casinò della finanza. Ma come spesso accade il problema non sta nello strumento, ma nelle persone che ne fanno uso. I derivati nascono con altri scopi. Molto più nobili. “Primo fra tutti, quello di difendere le imprese da alcuni rischi operativi legati alle proprie attività. Come i rischi di cambio, i rischi di prezzo, i rischi legati all’andamento dei tassi”, così Marco Crespi, responsabile Area Credito dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, ha aperto il primo incontro del ciclo 2017 degli “Approfondimenti di Finanza – Scuola di Impresa”.


“I derivati sono prodotti molto efficienti. Pensiamo ad una impresa che si trovi di fronte al rischio che nei prossimi mesi le quotazioni delle materie prime usate per la produzione salgano. Il derivato le permette di bloccare il prezzo e di determinare oggi quanto esborserà per l’acquisto che verrà fatto in futuro. È per questo obiettivo nobile che nascono i derivati: per aiutare le aziende a gestire questo genere di rischi e coprirsi le spalle”. Roberto Spiller, Partner KPMG, ha spiegato con queste parole i derivati alle imprese varesine. Primo obiettivo del suo intervento: sfatare i miti, andare al cuore delle opportunità che un uso “sano” di strumenti come i derivati può offrire alla competitività operativa del sistema produttivo locale, anche quello rappresentato dalle piccole e medie imprese.


Diluire, limitare le incertezze del futuro, derivanti ad esempio dall’andamento dei cambi. Questo il primo scopo con cui approcciare i derivati. Lo sanno bene le imprese del Varesotto che esportano mediamente il 40% del proprio fatturato, facendo del nostro territorio una delle prime 10 province esportatrici italiane. Operare sui mercati esteri porta con sé un elevato rischio di cambio. Basti pensare ad un ordine per un nuovo impianto che un’azienda meccanica di Busto Arsizio riesce a piazzare in Giappone. Oggi l’azienda sa che entro sei mesi dovrà consegnare il nuovo macchinario ad un dato prezzo stabilito in Yen. E se nel frattempo l’andamento dell’Euro sul mercato dei cambi penalizzasse l’azienda bustocca e alla fine il guadagno effettivo crollasse? Ecco, i derivati servono anche a questo. Fissare oggi il valore nominale di quanto l’azienda incasserà. Se l’Euro crolla l’azienda avrà limitato i danni, se l’Euro, invece, si apprezzerà, l’azienda avrà perso un possibile guadagno sul cambio. Ancora una scommessa, dunque, ma fatta per avere un incasso certo ad una data certa. Un’arma di difesa, non uno strumento di speculazione.


“Solo nel 2015 – ha spiegato Laura Oliva, CEO di eKuota.com – le perdite sui cambi nei bilanci 2015 delle imprese italiane è ammontato a 2,6 miliardi di euro”. Pensate cosa ciò significhi per l’economia del Varesotto che rappresenta il 2,5% dell’export italiano. Malcontati, e senza velleità econometriche, parliamo di perdite a livello locale stimabili in circa 65 milioni di euro.


“Le imprese che operano sui mercati esteri sono di fronte a uno scenario sempre più volatile e complesso”, ha esaminato Laura Oliva. Basta guardare alle tabelle delle monete più performanti del 2016 per capirlo: a spiccare sono il Real brasiliano e il Rublo russo che hanno aumentato il loro valore del 20%. Parliamo delle stesse monete che, invece, nel 2015 avevano perso rispettivamente il 30 e l’11 per cento. “Per le imprese è come se da un anno all’altro il mondo cambiasse completamente”, ha chiarito Oliva.  


E ciò vale anche per le materie prime. Due esempi? Lo Zinco che nel 2016 ha aumentato il proprio valore (o costo, dipende da quale parte della barricata ci si trovi) del 60% e l’acciaio cresciuto del 47%. Quelle stesse materie che nel 2015 avevano perso sul terreno delle quotazioni rispettivamente il 26 e il 46 per cento. Le aziende devono, dunque, sommare sulla propria operatività e sui propri bilanci i rischi legati alle valute e alle materie prime. Con che ripercussioni sui bilanci? “Facciamo un caso concreto”, ha proposto alla platea varesina l’esperta di eKuota. “Ipotizziamo un’impresa che acquista rame come materia prima e che esporta in Usa e Russia e che a fine anno ha messo a budget di portare a casa 1,5 milioni di euro. Per il solo rischio di cambio e di andamento dei mercati oggi questa azienda, se non si coprisse, potrebbe avere a conti fatti, nel peggiore dei casi, un flusso di cassa di 577mila euro”. Un rischio, quello di lasciare sul terreno 1 milione di euro, estremo, ma non impossibile. “Al di là dello scenario peggiore, quella stessa azienda ha oggi il 78% di probabilità di non portare a casa il proprio budget. Quella di poter avere un cash flow migliore è una probabilità molto più bassa: 21,5%”. La parola d’ordine è, dunque, prevenire. L’azienda dell’esempio proposto, con un derivato per coprirsi dal solo andamento del rublo, dimezzerebbe il rischio di incassi. “Di fronte ad uno scenario internazionale sempre più incerto, le aziende devono avere gli strumenti giusti per difendersi”, ha chiosato Laura Oliva.


Non solo operazione internazionali. Anche i contratti di locazione degli immobili hanno in sé un rischio legato all’indicizzazione basata sull’andamento dell’inflazione. Anche qui, al momento della sottoscrizione l’azienda non sa quanto effettivamente pagherà di affitto tra due anni. Il derivato la aiuta ad avere maggiori certezze. Quanto meno ad avere un costo già fissato.


E poi ancora, passività di magazzino, finanziamenti a tasso variabile. “L’importante – ha precisato agli imprenditori Roberto Spiller di KPMG – è di legare l’operazione di copertura ad una documentazione dettagliata, così come prevede il codice civile”. E dunque: strumento di copertura, elemento coperto, natura del rischio, modalità di valutazione dell’efficacia della copertura. “Questi gli elementi che le imprese devono mettere nero su bianco”, ha spiegato il partner di KPMG.