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Emergenza Coronavirus: cose da sapere se si blocca l’industria


Fabbriche chiuse, supermercati vuoti, prospettive di ripresa in pericolo. È questo lo scenario che rischia il Paese se venisse chiuso il sistema produttivo. Solo nel breve termine si assisterebbe alla carenza di approvvigionamenti necessari per le famiglie italiane anche a seguito delle difficoltà nei trasporti con l’estero. Poi, superata l’emergenza, verrebbe meno la capacità del settore industriale di intercettare la ripresa economica che, inevitabilmente, arriverà. A tracciare il quadro delle possibili conseguenze di un blocco della attività manifatturiere, a causa del Coronavirus, è il Centro Studi di Confindustria.
L’industria metalmeccanica costituisce, a esempio, il cuore pulsante del sistema industriale italiano, è trasversale nella struttura produttiva nazionale e realizza macchinari e beni strumentali che sono necessari all’attività di numerose imprese in svariati settori (non solo industriali). Basti pensare alla filiera farmaceutica o a quella alimentare solo per fare due esempi fondamentali per affrontare qualsiasi emergenza.
Il comparto metalmeccanico ha un peso rilevante nell’economia italiana: genera infatti il 48% del valore aggiunto manifatturiero (100 miliardi di euro), dà lavoro al 42% degli occupati manifatturieri (circa 1,6 milioni di occupati), produce il 48% delle esportazioni italiane (in valore circa 200 miliardi di euro) e il 40% delle importazioni. L’attivo del suo interscambio (60 miliardi di euro) contribuisce al totale riequilibrio della bilancia commerciale italiana, strutturalmente deficitaria nei settori energetico ed agro-alimentare.
“Il suo blocco –-spiega in una nota il Centro Studi Confindustria - genererebbe effetti diretti e indiretti molto gravi nel sistema produttivo, certamente più ampi di quelli prodotti dall’interruzione dell’attività nel solo settore metalmeccanico poiché inciderebbe sulla continuità della catena di approvvigionamento per svariate aziende”.  
Basti pensare che mediamente un giorno lavorativo in meno incide per circa il 3% della produzione mensile; uno stop di 10 giorni avrebbe un impatto negativo immediato, pari a circa un terzo della produzione industriale di marzo. “Inoltre - spiegano gli economisti di Viale Astronomia - creerebbe una disruption lungo le filiere di fornitura e determinerebbe un ritardo nella consegna degli ordini già ricevuti. Questo aggiungerebbe anche un grave danno reputazionale per le nostre imprese e per l'Italia, con ricadute anche sull’attività futura”.
Sul tema del possibile blocco delle attività produttive si è espresso in settimana, con un intervento a propria firma sul quotidiano La Prealpina, anche il Presidente dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Roberto Grassi: “In questo scenario di incertezza chiediamo semplicemente che i provvedimenti e le restrizioni siano decisi in proporzione ai rischi che corre la collettività e sulla base di dati scientifici, lasciando da parte ogni valutazione soggettiva di carattere politico o di categoria”.
Per Grassi “occorre determinazione nelle scelte e lucidità nella loro applicazione. Ben consci che, comunque, qualsiasi tipo di blocco non può che tenere conto di attività che non possono fermarsi, se non mettendo a rischio la tutela ambientale e la sicurezza dei cittadini. Pensiamo per esempio alla gestione dei rifiuti industriali o ai siti cosiddetti a ‘Rischio Impatto Rilevante’, come quelli dell’industria chimica, che devono essere sempre presidiati e per i quali non si può nemmeno ipotizzare uno stop immediato. Occorrono poi deroghe per l’industria alimentare e quella farmaceutica per evitare scaffali dei supermercati vuoti e il venir meno della fornitura di attrezzature medico-chirurgiche-sanitarie, oggi quanto mai di vitale necessità. Così come di tutta la filiera che gira intorno a queste attività, anch’essa fondamentale per garantire la continuità operativa. Bisogna pensare inoltre a misure particolari per le imprese a ciclo continuo (come le acciaierie o le cartiere solo per fare degli esempi) che non si possono spegnere schiacciando semplicemente un bottone”.
Ogni tipo di scelta deve, insomma, essere presa con cognizione di causa: “Dobbiamo anche essere coscienti che molte delle imprese varesine si inseriscono in filiere produttive internazionali con prime contractor che, di fronte ad una chiusura del made in Lombardia, si sposteranno su altri competitor internazionali, non tornando più. Questo per dire che alcune delle imprese che verranno chiuse, inevitabilmente non riapriranno. Non diciamo che questo deve prevalere sulla salute dei cittadini. Diciamo che se si prende una decisione bisogna essere consapevoli che questa è la realtà. Non è come accendere e spegnere un interruttore”.
Tutti ragionamenti che, però, ci tiene a sottolineare Grassi devono fare i conti con un principio invalicabile: “Prima la difesa del diritto alla salute e della vita. E solo in un secondo momento la tutela dell’interesse economico, ancorché generale. L’emergenza sanitaria ci pone di fronte a sfide mai affrontate prima, come singoli cittadini, come imprenditori e come imprese. Ma anche come sistema della rappresentanza. È in questi momenti straordinari che dobbiamo far emergere in tutta la sua limpidità il valore sociale dell’impresa. Un valore da difendere proteggendo prima di tutto i nostri collaboratori, le loro famiglie e l’intera comunità, anche nel loro benessere di oggi e di domani”.

Leggi l’intervento di Roberto Grassi (Presidente Univa) su La Prealpina