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La sfida che la COP 26 di Glasgow lancia alle imprese


L’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto gli 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali; il taglio delle emissioni di CO2 del 50% entro il 2035 e il loro azzeramento entro il 2050; l’accordo sulle linee guida in merito al mercato delle emissioni di carbonio con cui gli Stati comunicano i risultati della decarbonizzazione, e più in generale, i risultati della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, che si è svolta lo scorso novembre a Glasgow. Questi alcuni dei temi affrontati nell’appuntamento intitolato “Cosa è emerso dalla COP 26 di Glasgow?”, terzo incontro del ciclo “Le frontiere della sostenibilità”, organizzato dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e dal Gruppo Giovani Imprenditori di Univa, con lo scopo di accompagnare le aziende in un percorso di transizione verso la sostenibilità.
Quelli della COP 26 sono risultati che implicano delle vere e proprie sfide per le imprese. Lo ha spiegato attraverso la sua testimonianza Fabio Iannone, ricercatore del laboratorio di Management della Sostenibilità della Scuola Sant’Anna di Pisa, che ha partecipato in prima persona alla Conferenza in qualità di osservatore delle negoziazioni: “L’azione che si intende perseguire, in vista degli obiettivi climatici del 2030 e del 2050, è quella di accelerare il processo di fuoriuscita dal carbone e la transizione verso i veicoli elettrici; ridurre la deforestazione e incoraggiare gli investimenti nelle rinnovabili. Un altro obiettivo - ha evidenziato Fabio Iannone -, è quello di adattarsi ai cambiamenti climatici proteggendo e ripristinando gli ecosistemi e costruendo infrastrutture e agricolture più resilienti. E infine, mobilitare i finanziamenti per mantenere le azioni e incentivare la collaborazione tra i governi, le imprese e la società civile”. Tutta una serie di pianificazioni che però non sembrano essere sufficienti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati: “Ormai, anche a livello politico, tutti appoggiano la sostenibilità ambientale. Questo comporta una policy green sempre più rafforzata che, unitamente alle nuove scelte dei consumatori, impatterà sulle imprese, in particolare, nell’innovazione sia dei prodotti sia dei processi, nella misurazione delle performance ambientali, nelle certificazioni, ma anche nella comunicazione ai consumatori e nella ricerca di nuove figure aziendali dedicate, con l’obiettivo di attrarre le migliori competenze sul mercato perché scegliere di lavorare in un’impresa non è solo una questione di ruolo, ma anche di filosofia”. A cambiare sarà poi anche l’ambito finanziario: “Si tratterà di un mercato sempre più verde; già oggi alcuni investitori richiedono un ritorno sociale e ambientale ai debitori. C’è da aspettarsi, quindi, che per chi non si adeguerà a determinati standard verrà chiuso il mercato creditizio” ha indicato Iannone.
Qual è, dunque, la sfida che la sostenibilità e la COP 26 lanciano alle imprese? Ha cercato di rispondere alla domanda Giorgio Vacchiano, Ricercatore e Docente in Gestione e Pianificazione forestale dell’Università Statale di Milano: “La nostra atmosfera è come una vasca da bagno piena d’acqua: gas serra, soprattutto CO2. Dobbiamo smettere di riempirla; cioè di aggiungere CO2 all’atmosfera, perché anche se togliamo il tappo della vasca e lasciamo che la natura faccia il suo lavoro, la vasca resterà stabile o, addirittura, si riempirà di più”. Come a dire che non possiamo solo cercare di rientrare in una situazione di equilibrio lasciando, però, i rubinetti delle emissioni aperti. “Le catastrofi meteorologiche stanno aumentando in tutto il mondo; non si tratta solo di un aumento della temperatura, ma anche di un’estremizzazione del clima. Fenomeni che hanno delle conseguenze importanti su tutto il sistema, tra cui perdite annue del Pil fino al -8%”. Non mancano gli investimenti sulla gestione degli ecosistemi come alleati contro la crisi climatica, ma c’è un grande lavoro da fare sulle emissioni a monte. Come ha spiegato Vacchiano, “l’Italia è tra i primi 10 Paesi al mondo per tasso di espansione spontanea delle foreste ma, nonostante questo, la deforestazione è un fenomeno che ci riguarda da vicino: un terzo dei beni che viene prodotto nei territori tropicali viene esportato finendo nei nostri consumi. È per questo che la Commissione europea sta mettendo a punto una direttiva per contrastarla, obbligando tutti i produttori che intendono immettere qualsiasi bene sul mercato europeo, a dimostrare che quella produzione è avvenuta senza provocare deforestazione”.
Nicola Fabbri, Senior consultant di Ergo Srl, Spin off della Scuola Sant’Anna di Pisa, si è, invece, concentrato sui crediti di carbonio e più in generale sui percorsi possibili per compensare le emissioni aziendali attraverso il sostegno alle foreste: “Se un’impresa vuole fare del bene piantando, ad esempio, alberi o avviando pratiche di gestione forestale, lo può fare, ma solo a certe condizioni. Deve sapere anche di rischiare il greenwashing”. Ciò a cui ha fatto riferimento Nicola Fabbri riguarda quella strategia aziendale volta a valorizzare la politica ambientale dell’impresa non supportata, però, da risultati reali, che fa cadere l’attività in un ambientalismo di facciata: “Si viene attaccati di greenwashing con una facilità estrema. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per ripristinare gli equilibri, ma non è semplice soprattutto a livello normativo”. L’ecosistema forestale fornisce dei servizi come l’approvvigionamento (che comprende tutte quelle attività che consentono di avere acqua, fibre, legname e, più in generale, le risorse a supporto del sistema produttivo), ma anche di regolazione e conservazione del suolo, del clima e degli habitat. Un esempio di servizio di regolazione è lo stoccaggio, cioè l’assorbimento, di CO2, ed è su questo secondo filone su cui si sviluppa il tema dei crediti di carbonio, che si è concentrato Fabbri: l’impresa per compensare le proprie emissioni di CO2 può comprare dei crediti a supporto di progetti di riduzione certificati, ad esempio, “ma non può farlo senza prima aver chiuso il famoso rubinetto di CO2”. Queste le parole di Nicola Fabbri per dire che l’azienda, per non incorrere in problemi normativi, deve essersi già dotata in precedenza di una strategia ambientale di lungo periodo volta alla transizione ecologica, che tocchi tutto il sistema produttivo: “Solo così ha senso fare azioni di supporto ai servizi ecosistemici forestali”.
Nei prossimi appuntamenti del ciclo “Le frontiere della sostenibilità”, moderati sempre dalla responsabile dell’Area Innovazione di Univa, Luisa Minoli, si parlerà di come le imprese possono comunicare le proprie politiche green, di economia circolare e di bioeconomia. Per tenersi aggiornati: www.univa.va.it


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