|
Manhattan, rotto il patto di fiducia
Sono tanti i temi che le criminali operazioni terroristiche di New York e Washington hanno drammaticamente rilanciato a livello mondiale: la condanna del terrorismo insieme alla disperante fragilità degli attuali sistemi sociali, lo sconforto per la sicurezza perduta e insieme la comune volontà dei Paesi occidentali di sconfiggere alla base la cultura di una violenza che nonostante l'immane potenziale che riesce a dispiegare non offre nessuna soluzione, ma solo un'infinita illusione.
C'è un punto tuttavia che, pur senza voler mettere in secondo piano i grandi sentimenti di umanità, rischia di diventare il vero punto di svolta dopo le drammatiche ore dell'11 settembre 2001. E' la rottura del patto di fiducia che legava in maniera non scritta, ma sensibile, la crescita e lo sviluppo della società occidentale.
Molto più che sul capitale, sullo spirito di profitto, sulla volontà di crescere e di arricchire, il mercato libero, o forse sarebbe meglio dire "aperto" che ha fatto passi da gigante negli ultimi secoli si è fondato proprio sulla fiducia, sul rispetto di quella regola "pacta sunt servanda" che ha offerto la base per una partecipazione la più ampia possibile di ogni persona allo sviluppo economico. Rompere la fiducia vuol dire innescare la spirale del sospetto, ampliare a dismisura i meccanismi di protezione, moltiplicare le formalità burocratiche per passaggi e controlli, temere continuamente per la propria e l'altrui sicurezza. E molto concretamente la preoccupazione per il futuro, che diventa perdita di fiducia, è capace di innescare quel processo a valanga che i tecnici economici chiamano "recessione".
Di fronte ad un terrorismo che ha nel fanatismo la sua miscela esplosiva di base è certamente giustificata la paura, ma è altrettanto importante recuperare in ogni momento la lucida capacità della ragione: non c'è niente di peggio di terroristi che si sentano il braccio armato di una rivoluzione che ha alle spalle un grande consenso popolare. E' triste, ma purtroppo doveroso, sottolineare come l'ingiustificata, ma crescente pressione contro la globalizzazione trovi nella distruzione del World Trade Center l'allucinante traduzione concreta di una battaglia che per la grandissima maggioranza, anzi probabilmente per la totalità dei contestatori, voleva e doveva restare solo una battaglia politica.
Lo scenario sarebbe a questo punto profondamente allarmante se insieme all'analisi drammatica delle forze in campo non unissimo quello che ha sempre tenuto insieme la società occidentale e quella americana in particolare: il grande spirito dei pionieri unito alla capacità di essere accogliente con chi rispetta le regole, ma durissimo con chi vuol restare al di fuori della legge. Ricominciare a sperare, a costruire fiducia, appare tremendamente difficile dopo il più grande e disumano atto di terrorismo della storia del mondo: ma è una strada senza alternative per chi vuol continuare a credere nella capacità e nel valore di ogni persona.
Ritrovare fiducia è quindi la base perché i prossimi mesi non siano, per nessuno di noi, l'autunno del mondo. Ripartire dalle macerie e dalle orazioni funebri non è certo la condizione ideale: ma pur pagando costi altissimi la nostra civiltà ha sempre vinto contro la follia degli uomini e contro l'arrogante fanatismo del potere.
Manhattan, 11 settembre 2001
La libertà non è tutto, ma senza libertà non ci sono altre conquiste nel campo sociale, economico, scientifico.
Non può esserci tolleranza, nè convivenza civile. La libertà è una dimensione dell'anima.
La grandezza di un Paese non sta nella sua forza. Sta nel consenso del suo popolo. Liberamente espresso.
09/13/2001
|