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Bianchi riflessi nel lago

Le fornaci per la fabbricazione della calce: come bianche sentinelle riflesse nell'azzurro del lago, con sembianze di torri d'avvistamento rimandano invece a momenti di vita operosa con l'animo rivolto alla tranquillità domestica.
Quella della propria casa, i cui muri erano tenuti insieme proprio dalla calce.

Chi cerca le Dolomiti le trova in Trentino e nel Bellunese. La roccia delle Dolomiti si trova però anche altrove, compresa la provincia di Varese. Quella che i geologi chiamano la "successione sedimentaria calcareo-dolomitica" occupa principalmente la parte centro-occidentale della provincia, dal lago Maggiore verso il Ceresio, costituendo la struttura geologica della Valcuvia e dei monti che la racchiudono. Ma dolomie e calcari si rilevano anche in Valganna e Valceresio. Un modo per scoprirle? Osservare le cave di pietra e le connesse, antiche fornaci. Quelle nelle quali la pietra calcarea, dopo essere stata frantumata, veniva cotta per ricavare la calce.
La piantina indica le località dove le fornaci sono ancora visibili, ma molto meglio della piantina è il contatto dal vivo. Alcune, come quelle di Ispra, meritano veramente una passeggiata. Perché sono state oggetto di restauro conservativo che consente di ammirarle in tutta la loro possenza e poi perché, se si è assistiti da bel tempo e da cielo terso, si può godere di una vista incantevole sul lago Maggiore.
La calce è un legante conosciuto fin dall'antichità. E' stata impiegata peraltro non solo nel settore dell'edilizia, ma anche come disinfettante e igienizzante, nella concia del pellame e come fertilizzante in agricoltura. Oggi trova impiego nella fabbricazione di saponi, di ammoniaca, in metallurgia, nell'industria degli zuccheri, nelle tintorie tessili, come correttivo dell'acidità dei terreni e nella depurazione delle acque. Il calcare viene impiegato anche in farmacia: il bicarbonato di sodio, noto digestivo, viene fabbricato non a caso da un'azienda sorta ad Angera - la Società Generale per l'Industria della Magnesia, oggi facente parte del Gruppo Solvay - che ha "ereditato" l'antica arte della "calcinazione" della pietra dolomitica sostituendo con nuovi forni tecnologicamente avanzati le vecchie fornaci ormai non più in attività.
Le ultime fornaci di Ispra hanno cessato di produrre con la fine del 1960. Scrive Giuseppe Armocida nel volume "Fornaci di calce in provincia di Varese", che raccoglie gli atti di un convegno promosso nel 1995 dal Centro di ricerca di Ispra e dal Rotary Club: "Il paese era stato vincolato ai ritmi di lavoro di generazioni di minatori e fuochisti che si guadagnavano la giornata sulle pareti delle cave e ai forni. L'industria della calce aveva modulato il paesaggio ed era intimamente connessa con la vita della comunità. Gli ispresi sapevano ricavarne anche le previsioni del tempo. Si poteva capire, al variare del fumo delle fornaci, che ristagnava in basso o saliva diritto in alto, se la giornata volgeva al brutto o al bello".
Le fornaci sopravvissute risalgono alla fine dell'Ottocento e agli inizi del Novecento. Presentano due tipologie costruttive: le più antiche hanno il camino a forma conica, con diametro alla base di circa cinque metri e altezza di oltre dieci. Le altre, più recenti, hanno il camino a imbuto o a collo di bottiglia. Accanto alla fornace vi erano strutture accessorie per riparare il prodotto e il combustibile (legna, carbone, torba) e i depositi delle polveri da scoppio. Poi gli impianti per la pesatura e per il carico dei materiali, i moli e i porticcioli. Sì, perché il trasporto avveniva, per le fornaci localizzate lungo la riva del lago, in gran parte per via d'acqua, prendendo spesso la direzione sud fino a Sesto Calende e, poi, attraverso il Ticino e il Naviglio Grande, verso Milano e Pavia.
La fabbricazione della calce risale, però, a diversi secoli prima. Gli Statuti della Valtravaglia testimoniano l'antica esistenza dell'attività di produzione nel 1283 (che a quel tempo aveva carattere stagionale). Dal 1387 al 1391 è documentata la fornitura di calce alla Fabbrica del Duomo di Milano. In un documento del 1787 è attestata l'esistenza di venti fornaci di calce tra Caldé, Germignaga, Mesenzana, Ispra e in altri luoghi rinomati per produrre una calce eccellente.
"Il lavoro nelle fornaci - scrive ancora Armocida - non costituì però mai, fino alla seconda metà del XIX secolo, una attività rilevante nella economia del paese, almeno fino a quando i metodi di lavorazione rimasero quelli della tradizione, basati sui forni accesi stagionalmente, costituiti per lo più da semplici cavità nel terreno, nelle quali si disponeva il combustibile per cuocere la pietra". Più avanzati i metodi di lavorazione successivi. La roccia veniva spaccata con il brillamento delle mine in osservanza a prescrizioni dettate dalla sicurezza interna ed esterna alla cava. Una prescrizione del 1907 a Ispra imponeva che lo scoppio delle mine avesse luogo due volte al giorno in inverno (alle 8.45 e alle 16.45) e tre volte nelle altre stagioni (alle 8.45, alle 11.45 e alle 18.45). Il pietrisco ottenuto veniva frantumato con petardi o con attrezzi manuali. Il sasso veniva introdotto nella fornace dall'alto e la calce veniva estratta in grossi blocchi dalle bocche alla base dei forni, dove si trovavano anche le camere di combustione. Le fornaci di Porto Valtravaglia davano, nell'insieme, una produzione media di circa 75 mila quintali di calce all'anno, col consumo di 55 mila quintali di legna e 25 mila metri cubi di torba, impegnando un centinaio di lavoratori tra minatori, fuochisti, braccianti e barcaioli.
"Si aveva familiarità - sono ancora parole di Armocida - con il suono della tromba che precedeva di pochi minuti lo scoppio della mina, vero segnale d'allarme che, se coglieva nelle vicinanze della cava, faceva spicciare al riparo. Erano aspetti della quotidianità, come il rumore del picco e del martello pneumatico sulla roccia o l'andirivieni dei carri e poi degli autocarri che trasportavano la calce". E citando Costanzo Ricci: "Sulla strada era un lento transitare di carri che il resgiou vedeva scendere vuoti, o al traino di una doppia pariglia di buoi risalire in una nuvola di polvere bianca, carichi del candido sasso di calce strappato alle viscere della collina e cotto nei forni…Anche le perforatrici e i mazzapicchi dei minatori avevano cessato di straziare il fianco della collina: i fornaciai riposavano sotto le tettoie, e le fornaci, con le torracce fuligginose e le casupole addossate, parevano tetre case di maghi donde a vortici usciva un fumo grasso e denso…".

Per saperne di più
"Fornaci di calce in provincia di Varese - Storia, conservazione e recupero". Atti del convegno di studi tenutosi a Ispra, presso il Centro Comune di Ricerca, il 28 ottobre 1995, pubblicati a cura della Commissione Europea e del Rotary Club Sesto Calende-Angera "Lago Maggiore".

I MATTONI, UN'ALTRA STORIA
I mattoni, un'altra storiaIn provincia di Varese, oltre alla fabbricazione della calce, si è sviluppata in epoca passata anche quella del mattone, ottenuto dal terreno cretaceo presente, soprattutto, nelle zone di Cassano Magnago e di Tradate. Oggi restano, delle fornaci per mattoni, dei reperti decadenti considerati anch'essi come esempi di archeologia industriale, che le amministrazioni civiche intendono recuperare: Cassano Magnago, con un contributo statale di 800 mila euro, per ristrutturare il complesso e destinarlo ad attività culturali; Tradate, con un progetto da 35 milioni di euro che prevede l'insediamento nell'area di un Multisala, spazi commerciali e McDonald's.