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Pietra e fuoco La storia delle fornaci del Varesotto inizia ufficialmente in epoca romana. Nei secoli successivi, si presume che l'attività fosse svolta a livello di sopravvivenza e, probabilmente, come occupazione secondaria, anche se di interesse collettivo, alla quale partecipava tutta la popolazione del luogo.
Il combustibile, normalmente, era la legna la quale produce una fiamma lunga, capace di raggiungere la seconda camera. Le temperature che si potevano raggiungere dipendevano dal combustibile usato e dal “tiraggio”. Il tiraggio, poi, non era ottenuto per mezzo di “camini”, ma con un'opportuna sistemazione della fornace, così da permettere l'entrata delle correnti d'aria nel foro di tiraggio, oppure con mantici o, infine, aumentando l'altezza della fornace stessa. Il funzionamento degli impianti Il funzionamento degli impianti poteva essere “discontinuo” o “continuo”. Non occorrono grandi spiegazioni per illustrare i due tipi e la scelta, come si può ben intuire, dipendeva dall'importanza economica dell'attività. Fintanto che le fornaci calcinaie dovettero sopperire alle necessità delle popolazioni dell'immediato intorno, le attività di confezionamento poterono essere concentrate in alcuni periodi dell'anno, ma quando la “fabbrica” venne ad acquistare una rilevanza economica si dovettero impiegare tecnologie diverse. Nei forni discontinui la cottura durava anche una settimana ma, evidentemente, la durata del ciclo era in stretta connessione con le dimensioni e con la tipologia della fornace. Nei forni discontinui, al termine della cottura, la sommità della fornace veniva sigillata con terra, lasciando raffreddare la massa per altri sette giorni. Nei forni continui, al contrario, lo svuotamento avveniva da apposite aperture situate nella parte bassa ed era agevolato dal movimento di apposite griglie mobili. In ogni caso, estratti i sassi, questi venivano solitamente raccolti in sacchi ed avviati al commercio su carri. La situazione provinciale Nella nostra provincia la lunga storia delle fornaci inizia, ufficialmente, in epoca romana e nel Varesotto si hanno notizie di quelle certamente localizzate ad Arcisate, a Cairate ed a Sumirago. Durante i secoli successivi, le notizie sono sparse e frammentarie e, salvo qualche “ditta” di rinomata fama (si vedano le fornaci di Ispra che durante il XIV secolo furono addirittura fornitrici della “Veneranda Fabbrica del Duomo”), si deve presumere che l'attività fosse svolta a livello di sopravvivenza e, probabilmente, come occupazione secondaria, anche se di interesse collettivo, alla quale, come sicuramente successe in altre parti d'Italia, partecipava tutta la popolazione del luogo. Nella foto: la calcinaia di Arcisate La tipologia costruttiva Dal punto di vista puramente tecnologico e tipologico una fornace era costituita da una grossa torre tronco-conica, avente un'altezza tra i sei ed i dieci metri. Nei pressi della canna erano realizzate tettoie e ripari per il legname necessario e per lo stoccaggio del prodotto finito. La localizzazione era negli immediati ridossi dei luoghi di escavazione della pietra calcarea e in posizione “dominata” dalla cava, al fine di facilitare il caricamento delle pietre. Con i rilevamenti del Catasto del Regno Lombardo-Veneto si trovano elementi documentari piuttosto abbondanti e le località di Arcisate, Cantello, Caravate, Besano, Brezzo di Bedero, Cadegliano Viconago, Carnago, Cassano Magnago, Cittiglio, Cugliate Fabiasco, Cavona, Ispra, Jerago, Lavena Ponte Tresa, Luino, Mercallo, Montegrino, Caldé, Portovaltravaglia, Samarate, Uboldo, Varano Borghi, Varese, Viggiù sono indicate tra quelle che dispongono di “fornaci”. Con una piccola, ma non secondaria, avvertenza: con il medesimo sostantivo si censivano sia le fornaci da calce che quelle per laterizi. Sovviene alla necessaria “divisione” la localizzazione geografica dei siti, in quanto basti sapere che i massi o i sassi destinati alla cottura venivano reperiti nelle immediate vicinanze della fornace e, nei nostri dintorni, in apposite cave a cielo libero scavate nelle colline calcaree. L'aspetto finale delle calcinaie Le nostre calcinaie rimaste sono tutte caratterizzate da manufatti segnati da robuste cerchiature metalliche e da rinforzi verticali, che interessano tutto il paramento della canna da fuoco. Questa è realizzata con una muratura mista in pietra e laterizio di grande spessore ed una “camicia” interna di protezione in laterizi refrattari. Poiché le fornaci rimaste sono, sostanzialmente, quelle più “moderne” che sono state mantenute in funzione anche nel nostro secolo, esse sono tutte del tipo a caricamento superiore ed a scarico inferiore. Le operazioni di caricamento Le operazioni di caricamento avvenivano per mezzo di carrelli portati a ridosso facendoli correre su una passerella posta in sommità; essa collegava il fronte di cava (o il piazzaletto della stessa) con le zone superiori dell'impianto. In caso di notevole distanza, la passerella veniva poggiata su pile in muratura, anch'esse realizzate in pietrame e laterizio (chiaramente materiale ricavato dalle lavorazioni dell'impresa). Le particolarità delle calcinaie varesotte La canna da forno delle nostre calcinaie, contrariamente a quanto riscontrabile sia in letteratura che negli esemplari rimasti in altre parti d'Italia, è dotata di una copertura in laterizio, chiaramente derivata dai modelli tipologici dell'edilizia rurale. Il sistema di copertura poggia su 6/8 pilastrini, sempre realizzati con muratura mista. Essi si staccano il “coperchio” dalla bocca al fine di agevolare l'uscita dei fumi e per garantire il corretto tiraggio anche in periodo di pioggia battente. Eccezione di rilievo è la calcinaia di Arcisate: essa presenta un bel coronamento tronco-conico dal quale fuoriesce il camino. Come detto parlando delle “fornaci tipo”, anche quelle varesine hanno al piede delle torri uno o più edifici destinati sia all'attività vera e propria che ad abitazione del gestore o del personale addetto; la tipologia è semplicissima e così pure la tecnologia usata per la loro costruzione, che è derivata anch'essa dai modelli dell'architettura agricola locale. Infine, da noi non è raro il caso in cui, dismessa l'attività legata al settore edilizio, gli edifici siano stati trasformati in edifici produttivi ove, per qualche tempo, la torre è rimasta inoperosa, per sparire definitivamente durante i vari lavori di ammodernamento delle strutture. Anche qui, dunque, pezzi di storia se ne sono andati per lasciar posto ad altre attività e ad altri interventi. Nel cambio, siamo proprio sicuri di non averci rimesso? 01/18/2001 | ||||||||
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