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Accordi di frontiera

Territori di confine, la provincia di Varese e il Cantone Ticino sono coinvolti direttamente dai nuovi Accordi bilaterali che segnano una svolta, in settori di grande rilievo, per Svizzera ed Unione Europea.

Era dai tempi della bocciatura referendaria per l'adesione allo "spazio economico europeo" che una parte della Svizzera, quella più euroconvinta, attendeva questo momento. L'ora, dell'intesa con l'Unione Europea, ha mosso i primi passi concretamente il primo giugno. L'entrata in vigore dei sette Accordi bilaterali tra Confederazione e Unione segna indubbiamente una svolta in settori vitali per la Svizzera e per l'Europa: i trasporti, la libera circolazione delle persone, gli appalti pubblici e l'agricoltura, i dazi come le conformità tecniche o l'uso degli scali aerei e la partecipazione ai programmi di ricerca scientifica.
In sostanza la Svizzera ottiene una serie di benefit e concede alcuni pass, primo fra tutti quello della circolazione dei Tir da 40 tonnellate. Anche se, in previsione, Berna immagina lo spostamento del traffico commerciale pesante in larga misura su rotaia, una volta che sarà completata AlpTransit.
In una provincia di confine come Varese e in un Cantone di frontiera come il Ticino, come valutano gli accordi le categorie più direttamente interessate? Lo abbiamo chiesto a Benedetto Bonaglia, presidente dell'Associazione degli Industriali del Cantone Ticino e a Giorgio Merletti, presidente dell'Associazione Artigiani della provincia di Varese.

"IL FIDANZAMENTO CON L'EUROPA NON POTRA' DURARE IN ETERNO"
I rapporti Svizzera-Ue visti da Lugano: ne parla Benedetto Bonaglia, presidente dell'AITI, l'Associazione delle Industrie Ticinesi.
Presidente Bonaglia, l'entrata in vigore degli accordi bilaterali segna un importante passo nell'integrazione fra Svizzera e Unione europea. Con quali prospettive?
"È piuttosto arduo immaginare il futuro dell'Europa senza la Svizzera e quello della Svizzera senza l'Europa. Dal punto di vista economico, si potrebbe anche immaginare che l'Europa possa fare a meno della Svizzera, considerata la relativa esiguità del nostro mercato. Al contrario, senza il mercato europeo, la Svizzera non potrebbe sopravvivere. A questo proposito, l'eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio, che è uno dei sette accordi che entra ora in vigore, è certamente il più importante di tutti, seguito da quelli in campo agricolo. Non vi è dubbio che l'integrazione fra UE e Svizzera debba essere rafforzata. Fino a qual punto questo processo possa attuarsi, con l'adozione di ulteriori accordi bilaterali prima di sfociare in un'adesione pura e semplice, è forse presto per dirlo: certo è che questa fase di fidanzamento non potrà protrarsi in perpetuo".
La vicinanza del Ticino alla Lombardia, dunque alla Regione italiana economicamente più sviluppata, suscita più apprensioni e timori o più speranze di sviluppo e di affari?
"Le relazioni d'affari fra Ticino e Lombardia sono già molto intense. Quello che noi industriali auspichiamo è che nella scia degli accordi bilaterali si possa attuare una cooperazione più sistematica che consenta ad entrambe le parti di rafforzare la loro posizione nei confronti della concorrenza sui mercati internazionali. Esistono settori che nutrono comprensibili apprensioni per la potenziale concorrenza di aziende lombarde sul mercato interno ticinese, favorito dalla libera circolazione delle persone e, in particolare, dall'accordo sui lavoratori distaccati, che permetterà per esempio ad artigiani italiani di operare in Ticino".
Una delle motivazioni che hanno sostenuto gli avversari dei Bilaterali riguarda il rischio che dai Paesi UE possa riversarsi in Svizzera tanto personale da creare contraccolpi non indifferenti sul sistema sociale del Paese. Sono sufficienti le clausole accessorie che il governo federale ha definito per evitare rischi di questo tipo?
"Questa preoccupazione, ammesso che sia legittima, riguarda unicamente le zone di frontiera. In qualche caso, il salario netto percepito in Svizzera permette a coloro che continuano a risiedere nei Paesi limitrofi qualche capriccio in più. Per contro, il potere d'acquisto dei salari svizzeri per i residenti in loco è, in generale, inferiore a quello garantito dalle buste paga dei loro colleghi italiani. Restano i timori della concorrenza sul posto da parte di imprese italiane. Le misure d'accompagnamento dovrebbero bastare a scongiurare la concorrenza considerata "pericolosa'".

"CONTROBILANCIARE L'ATTRATTIVITA' SVIZZERA RILANCIANDO L'ECONOMIA DELL'ALTO VARESOTTO"
Il punto di vista di Giorgio Merletti, presidente dell'Associazione degli Artigiani della provincia di Varese.
Presidente Merletti, che cosa cambierà in Italia, con i Bilaterali?
"La libera circolazione delle persone permetterà a tutti i cittadini dell'UE di soggiornare nella Confederazione al fine di svolgere un'attività lucrativa. Diplomi e attestati professionali saranno reciprocamente riconosciuti e chi lavora all'estero non dovrebbe perdere le prestazioni assicurative grazie al coordinamento fra le assicurazioni sociali svizzere e quelle dell'UE. C'è di più: le aziende svizzere, con sede sul territorio, potranno assumere lavoratori qualificati provenienti dall'UE senza doversi procurare alcuna autorizzazione".
Però così non si ripropone il tema, più volte sollevato dalla sua Associazione, della fuga di personale qualificato?
"Non pensiamo solo alla fuga di manodopera ma anche a quella del know-how, del sapere, del conoscere. Un problema che si sta tentando di arginare attraverso il Progetto di Sviluppo alto Varesotto (Comunità Montane Valli del Luinese, Valganna-Valmarchirolo, Valcuvia e Valceresio) avviato alla fine del marzo 2001 per rilanciare quei comuni caratterizzati da spopolamento e invecchiamento progressivo della popolazione, difficoltà nei servizi, perdita dei mestieri tradizionali e abbandono dei centri storici, economicamente "prosciugati" dalla vicinanza con la Confederazione. Un fenomeno che ha portato il lavoro svizzero a drenare risorse umane e professionali italiane attratte dal differenziale salariale: in caso di crisi, però, si registra un "rimpatrio" dei frontalieri con costi sociali totalmente a carico dell'Italia".
D'accordo ma chi dovrà vitalizzare i distretti?
"Spetterà a tutte le associazioni di categoria (dell'artigianato, dell'industria, del commercio, del turismo…) risollevare le sorti di tali 'distretti' attraverso la valorizzazione delle loro peculiarità ambientali e storiche, consolidando o sviluppando nuove attività economiche anche attraverso i programmi PRUSST ed Interreg (su richiesta di coordinamento della Provincia di Varese) e le agevolazioni previste dall'Obiettivo 2. Inoltre occorrerà adottare - e questo spetterà al Governo centrale - adeguate misure fiscali e contributive (ad esempio l'esonero della contribuzione per la parte di salari eccedenti i minimi contrattuali) per le imprese italiane situate nella fascia di 30 chilometri dal confine. Le stesse potrebbero così corrispondere, ai propri dipendenti, salari concorrenziali nei confronti della Svizzera. Non dimentichiamoci, però, che quando si è trattato di intervenire su problematiche non certo prioritarie o urgenti (esempio il pieno-carburante agevolato in Italia con la carta sconto-benzina) non si è perso tempo; in presenza di tematiche ben più complicate (o scomode?) legate alla diretta sopravvivenza del territorio e, conseguentemente dei lavoratori che ci abitano, tutto si blocca e non si trova alcuna soluzione. Siamo fiduciosi, dobbiamo esserlo, ma purtroppo la Confederazione è ancora considerata un moderno 'Far West'".

06/20/2002

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