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Montezemolo: gli imprenditori rifiutano la logica del declino

Dovere delle imprese è progredire e crescere con le condizioni esistenti sul mercato. Alla politica spetta il compito di predisporre il migliore ambiente per il progresso.

Nella foto: il presidente dell'Unione Industriali di Varese Ribolla e il presidente di Confindustria Montezemolo, all'assemblea  generale dell'Unione varesina
Contro la prospettiva del declino si è pronunciato anche il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo che, nel suo intervento di insediamento e nei successivi discorsi pronunciati in occasione delle prime uscite pubbliche - tra cui l'assemblea annuale dell'Unione Industriali della Provincia di Varese - ha affrontato di petto il tema indicando alcune azioni che, da presidente di Confindustria, intende intraprendere per contribuire a scongiurare quella prospettiva.
L'obiettivo più importante che abbiamo di fronte è quello di ritrovare come Paese, come cittadini, come imprenditori un clima di fiducia. "Spetta a noi - ha affermato il presidente di Confindustria - rifiutare la logica del declino. E noi la rifiutiamo guardando a noi stessi e a ciò che possiamo migliorare nelle nostre aziende." La prima novità dell'approccio di Montezemolo è questa: l'affermazione del ruolo degli imprenditori. Alle istituzioni e alla politica spetta il compito di predisporre il migliore ambiente per il progresso. "Ma non mi stancherò mai di ripetere che, come imprese, abbiamo comunque il dovere di progredire e crescere con le condizioni esistenti sul mercato. Dobbiamo rimboccarci le maniche! Affrontando la concorrenza che c'è. Innovando i nostri prodotti. Investendo in ricerca ed in nuove capacità produttive che ci consentano di stare sul mercato".
Il pensiero corre alla globalizzazione del mercato e alle conseguenze, a volte negative, che vengono percepite. Noi europei siamo stretti tra la paura della deindustrializzazione e l'occasione dell'apertura di un mercato continentale. Un mercato fatto da circa la metà della popolazione mondiale, se assieme alla Cina contiamo anche l'India e tutti i Paesi asiatici, oggi ancora ai margini della modernizzazione. "Certo - sostiene Montezemolo - dobbiamo difendere i nostri diritti e dobbiamo imporre il rispetto delle regole internazionali. Ma dobbiamo soprattutto prepararci all'allargamento del mercato mondiale che richiederà nuove produzioni, nuovi servizi ed un nuovo modo di stare sul mercato".
Ecco allora un'indicazione ancora rivolta agli imprenditori, perché riferita all'organizzazione della produzione. Il mercato che si allarga non è solo un mercato di esportazione. E' sempre più anche un mercato di produzione, di ricerca e di innovazione. La scomposizione dei processi produttivi permette di concentrare in alcuni mercati funzioni specifiche, lasciando altre attività ad altri mercati. "Questa non è deindustrializzazione, se non nelle menti di chi crede che il mondo produttivo sia fisso per sempre in certi stereotipi".
Il lavoro in fabbrica sarà sempre fondamentale, ma l'operaio non è più lo stesso di trenta o cinquanta o cento anni fa. Funzioni come la ricerca, l'innovazione, la fabbricazione dei prototipi, la logistica, il controllo di qualità, la finanza, la commercializzazione, la promozione, l'assistenza al cliente, l'ingegnerizzazione dei processi e dei prodotti, la produzione di parti specifiche, e così via, rappresentano ormai la parte principale delle nostre attività. Danno lavoro e reddito come e di più di quanto assicurava, cinquanta anni fa, la produzione di massa di processi verticalmente integrati.
Il nuovo paradigma produttivo è capace di generare maggiori redditi e maggiori soddisfazioni. "Sono stati sconfitti - osserva il presidente degli Industriali italiani - quanti, scioccamente, pronosticavano la fine del lavoro che, invece, nel mondo è cresciuto ed è aumentata la sua qualità, specie nei paesi sviluppati. Nuovi mercati e nuove tecnologie ci consentono di avviare nuove organizzazioni produttive. Possiamo scegliere, se chiuderci al nostro interno nel tentativo di non cambiare nulla, o aprirci a queste nuove esperienze anticipando quanto stanno facendo altri Paesi".
Sta alle imprese costruire le condizioni per stare sul mercato. La concorrenza si batte solo se si sa innovare. L'innovazione non è qualche cosa che si fa una volta nella vita e poi si vive di rendita. E' invece una fatica quotidiana. E' il prodotto di una forma mentis che rimette sempre tutto in discussione. L'innovazione è un'ansia continua che deve portare a migliorare i prodotti, i processi produttivi, le tecniche di vendita, i servizi connessi ai prodotti: in altre parole, la gestione delle imprese. L'innovazione è anche rischio e investimento, in persone e mezzi. Essa presuppone la vicinanza della finanza, che sappia accompagnare le idee dell'imprenditore e sappia dargli quello spazio di risorse capaci di portare a termine i progetti. Che aiuti il piccolo imprenditore come il grande a riprendere la strada dei brevetti, su cui si misura il grado di innovazione di un Paese. Presuppone che le imprese coinvolgano cervelli giovani, orientati alla ricerca, avidi di conoscenze, desiderosi di sperimentare.
Le imprese, peraltro, non possono essere lasciate sole nel loro difficile compito. Le istituzioni e la politica, come si diceva, devono fare la propria parte. Devono predisporre il migliore ambiente per favorire il progresso del sistema economico. Viene in considerazione, in altri termini, la questione della politica industriale, che il presidente di Confindustria ripropone sottolineando la necessità di quella politica "di fattori" che, in contrapposizione alla politica "di settori" in auge negli anni '70, pone l'accento, anziché su misure di sostegno a favore di particolari segmenti dell'economia (con tutti i rischi del dirigismo e dell'assistenzialismo), sull'utilità di apprestare, agendo in più direzioni, un ambiente favorevole al migliore dispiegamento delle attività d'impresa. Un'intuizione della Confindustria degli anni '80, abbondantemente trascurata dal mondo politico.
Ecco allora i richiami alla modernizzazione delle infrastrutture di trasporto, alla costruzione di nuove centrali per la produzione di energia, alla realizzazione di siti per lo smaltimento dei rifiuti, agli interventi per migliorare le città.
Siamo tutti consapevoli di questi bisogni. Spesso abbiamo anche le risorse finanziarie per soddisfarli. "Perché allora - si domanda Montemezolo - non riusciamo a trovare il consenso per procedere? Non è questo il più alto compito della politica? A che serve la politica se deve solo seguire gli umori di qualcuno? Abbiamo bisogno di una politica che sappia costruire il consenso per progredire."
Anche questa è politica industriale.

06/10/2004

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