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Verbano: diamogli una regolata

La storia recente ci ricorda quanto lo splendido Verbano possa trasformarsi in un nemico durante le piene. Di recente, però, sono state formulate dal Politecnico di Milano soluzioni interessanti per risolvere il problema.

L'oasi naturalistica "Bolle di Magadino", dove il Ticino imissario forma il lago
Le piene del Verbano, o lago Maggiore, non sono una novità. Si perdono nella notte dei tempi, da quando cioè le ultime, grandi rivoluzioni geologiche hanno formato le Alpi e i laghi che aprono sulla pianura.
Unico fatto nuovo, semmai, è che negli ultimi anni le piene tendono a susseguirsi a ritmi sempre più serrati e i rivieraschi, e anche chi sta a valle lungo il Ticino e il Po, rischia sempre più spesso di finire sott'acqua.
Recentemente, per contenere il fenomeno dell'acqua alta, i ricercatori del Politecnico di Milano hanno studiato da vicino la situazione e formulato alcune proposte molto interessanti.
Per riuscire a capirle, però, occorre fare un passo indietro. Ricordare che il bacino imbrifero del Verbano, tutto il territorio che riversa acqua nel lago e rappresenta il punto più basso situato a circa 193 metri sul livello del mare, è molto vasto. Più di seimila chilometri quadrati formati da montagne e valli molto ripide percorse da ruscelli, torrenti e fiumi. Non è difficile immaginare la quantità d'acqua che si riversa nel Verbano quando piove molto e a lungo. Il Toce, la Tresa, la Maggia e il Ticino immissario, tanto per citare alcuni dei maggiori affluenti, arrivano a versare nel lago punte di sei, sette, ottomila metri cubi al secondo, quantità enormi. Nella piena del 2000, tanto per farci un'idea, il Toce quasi da solo arrivò a scaricare più di cinquemila metri cubi al secondo, più o meno il volume di una palazzina di sei piani, qualcosa come 380 milioni di metri cubi al giorno. E per di più con velocità inaudita, perché a monte, nelle vallate, i lavori di irrigimentazione di ruscelli e torrenti accelerano la discesa a valle.
I cambiamenti climatici degli ultimi anni, poi, hanno fatto il resto. Lunghi periodi di siccità, relativamente caldi e con poca neve in montagna, interrotti da violente e prolungate precipitazioni dovute con tutta probabilità all'effetto serra, almeno così dicono alcuni meteorologi, hanno favorito piene di lago sempre più frequenti.
Fatto sta che chi abita le rive del Verbano si trova spesso con i piedi a mollo, cosa poco piacevole e soprattutto molto costosa, tanto che da anni reclama interventi drastici per porre fine alle esondazioni.
La soluzione, dicono, sarebbe semplice. Se nel Verbano arriva troppa acqua basterebbe abbassare la bocca del lago a Sesto Calende per farla defluire nel Ticino emissario il più rapidamente possibile. Tanta ne entra, tanta ne esce, e il gioco è fatto.
Semplice, sarebbe semplice, rispondono gli abitanti più a valle lungo il Ticino e il Po dopo Pavia, però a noi, chi ci pensa?
La complessità della regolazione dei livelli del lago Maggiore sta proprio qui. Esistono due ambienti distinti, quello di monte attorno al lago e quello di valle lungo il Ticino e il Po. Due ambienti che concepiscono benefici e disagi dovuti all'acqua quasi alla rovescia, perché un conto è stare a guardare da monte a valle e un altro conto è vedere le cose da sotto in su.
Lo sbancamento dell'incile a Sesto Calende eviterebbe di sicuro le piene di lago ai rivieraschi, ma metterebbe in serio pericolo tutto ciò che sta a valle, perché diciamolo francamente, è meglio una piena di lago inesorabile ma lenta, o una piena di fiume veloce e dirompente?
In fondo è questo il primo, inevitabile quesito che si sono posti i ricercatori del Politecnico di Milano, giungendo ovviamente alla conclusione che per regolare i livelli del Verbano bisognava tenere presente i punti di vista e gli interessi sia degli abitanti di monte sia di quelli di valle. Trovare cioè una soluzione che potesse recare vantaggio a tutti.
Nella prima fase dello studio la metodologia di lavoro, introdotta dal Prof. Rodolfo Soncini Sessa e collaboratori, si è subito preoccupata di considerare vantaggi e svantaggi sia a monte sia a valle. Per farlo ha cercato d'individuare e coinvolgere nello studio, tutte le persone, gruppi e categorie interessate alla gestione e allo sfruttamento delle risorse idriche di tutto il bacino. Hanno chiesto loro d'individuare, elencare e descrivere gli interessi legati all'acqua, pericoli e disagi compresi, per stabilire il "grado di utilità", cioè cosa ognuno si aspetta o non si aspetta dagli specchi o corsi d'acqua presenti sul proprio territorio.
In un secondo tempo, dopo aver sentito i "portatori d'interesse", i ricercatori hanno elaborato 200 alternative di regolazione dei livelli del lago, introducendo il grado di utilità di ognuna in tutta una serie di modelli matematici di ottimizzazione. I modelli matematici hanno permesso di prendere in considerazione e formulare 200 proposte di regolazione, 200 varianti, capaci di illustrare modi diversi di sbancare la bocca lacuale a Sesto Calende, di definire la "massima trattenuta attiva", cioè il livello massimo di deflusso delle acque del lago nel fiume Ticino, e una "politica" di regolazione dei livelli del lago in tempo reale progettata sulla base di modelli matematici. Un sistema informatico applicato alla gestione dei flussi minuto per minuto, ora per ora, sulla base della massa d'acqua presente nel lago, le previsioni meteo e tutti gli altri dati utili per gestire una regolazione in tempo reale, in modo dinamico e tempestivo.
Ai "portatori d'interesse" è poi stato chiesto di pronunciarsi su tutte le alternative per stabilire, questa volta, non più il grado di utilità, bensì la "funzione di utilità" di ogni proposta. In altre parole, di pronunciarsi su quelle, o quella preferita rispetto ai propri bisogni. L'ultimo atto della fase di consultazione ha poi portato tutti attorno a un tavolo per trovare, fra le alternative rimaste in lizza, quella in grado di soddisfare i bisogni degli interessati, o perlomeno quella che agli occhi della maggioranza appariva come un valido compromesso.
La grande novità dello studio sta proprio qui. Per la prima volta, in modo scientifico, si è cercato di affrontare il problema nella sua complessità coinvolgendo sin dall'inizio tutti gli interessati alla problematica.
Il progetto Verbano, sul finire della ricerca, ha permesso di appurare che fra le 200 alternative, almeno 5 riscuotevano ampi consensi e una, in particolare, era ben vista da molti: nome in codice A36.
Ma in cosa consiste? Per i rivieraschi, gli abitanti dell'ambiente di monte attorno al Verbano, concede lo sbancamento dell'incile a Sesto Calende per far defluire più rapidamente le piene nel Ticino emissario. A una condizione però, che accettino di tenersi più acqua nel lago, molto utile all'agricoltura e la produzione di energia elettrica a valle, durante tutto l'anno. Per gli ambienti di valle, che sarebbero avvantaggiati da una riserva idrica per i loro bisogni più importante di quella attuale, promette il rifacimento della diga della Miorina, per permetterle di manovrare in ogni momento e gestire le piene entro limiti accettabili lungo tutta l'asta del fiume Ticino e non esporli al rischio di frequenti inondazioni.
Nessun neo? Beh, qualcuno! Nel lago un po' più d'acqua durante tutto l'anno creerebbe qualche problema ai biotopi lacustri lungo le rive. Soprattutto le Bolle di Magadino, zona protetta d'interesse internazionale dove nidificano tante specie d'uccelli e si riproducono molte varietà di pesci, rischierebbero di sparire per sempre.
Molto più a valle, a non dormire sonni tranquilli, rimarrebbe la città di Pavia e i suoi abitanti che, inutile dirlo, suscitano qualche preoccupazione in più dei biotopi naturali lungo le rive del lago Maggiore.
E ritornando al Verbano, non si deve dimenticare che la regolazione del livello dell'acqua è essenziale ai fini della navigazione: troppa acqua, o troppo poca, non va bene in ogni caso.
Tuttavia, una volta individuate queste difficoltà, i ricercatori del Politecnico hanno trovato il modo di "mitigare" l'A36 : di ridurre cioè i suoi effetti indesiderati, a condizione che si rinnovi l'impianto della diga della Miorina per metterla in condizione di manovrare anche durante le piene. Calcoli precisi, applicati alla piena del 2000, hanno dimostrato che così facendo l'A36 non aggraverebbe la situazione di Pavia, anzi in quell'occasione le avrebbe risparmiato 400 metri cubi al secondo rispetto a quanto transitò nel Ticino. Poca cosa, è possibile obiettare, meglio di niente rispondono i sostenitori della proposta formulata dai ricercatori del Politecnico di Milano, perché come sanno a Pavia, se le piene del Ticino riescono a defluire nel Po, poco più a sud della città, i disagi sono relativi. Il pericolo, quello vero, si verifica quando una piena del Ticino incontra una piena del Po, quando cioè le onde di piena dei due fiumi si sincronizzano, come dicono gli specialisti. In quei casi la massa d'acqua che scende dal Verbano lungo il Ticino non riesce a far breccia nella massa d'acqua del Po e torna indietro, verso la città, spazzando e allagando intere zone urbanizzate.
Quel che i ricercatori del Politecnico di Milano sostengono è che giunti a questo punto sarebbe bene estendere lo studio, applicando la stessa metodologia di ricerca, anche al bacino del Po. Solo riuscendo a simulare e trovare sistemi di regolazione anche per quel bacino, da integrare alla regolazione suggerita per il Verbano, si riuscirebbe a mettere veramente Pavia al riparo dalle piene sempre più frequenti dei due fiumi. Certo, trovare una soluzione per gestire due sistemi idrici complessi e il modo di farli interagire, per mettere a questo punto al riparo dalle inondazioni non solo Pavia ma buona parte del Nord Italia, non è cosa facile.
Significherebbe prima di tutto sensibilizzare l'opinione pubblica che è possibile gestire meglio le risorse idriche a nostra disposizione, così da motivare i politici a trovare gli accordi necessari per avviare e finanziare nuovi studi e ricerche. Perché, ricordiamocelo, siamo noi a dover spingere i politici a far qualcosa, non basta votarli per poi disinteressarsi di tutto, salvo poi lamentarsi ricorrendo alle solite tiritere: "piove governo ladro", il detto è abusato, ma visto il tema calza a pennello. Quanto è stato fatto finora dai ricercatori del Politecnico di Milano, prendendo in esame la regolazione dei livelli del Verbano, dimostra chiaramente che a livello scientifico oggi è possibile affrontare un problema con una metodologia nuova, in grado di coinvolgere, primi fra tutti, i diretti interessati alla sua soluzione. E non è cosa da poco, anzi la sostanziale differenza rispetto al modo di procedere e ragionare del passato sta proprio qui, sta nell'utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, compresa la grande potenza di calcolo degli ordinatori attuali, per accettare anche le sfide poste da sistemi complessi, come nel caso dell'idrologia legata ai bacini del Verbano e del Po.
Certo, rispetto a quanto è stato fatto finora significherebbe elevare a potenza il grado di complessità preso in considerazione, compiere un salto di mentalità che spesso riesce difficile anche a taluni specialisti, ma, come il progetto Verbano ha dimostrato, sembrerebbe valga proprio la pena tentare, senza lasciar correre troppa acqua sotto i ponti…
Oppure ci siamo lasciati alle spalle il '900 inutilmente?
Questo articolo è stato ricavato da un servizio di Enrico Pasotti per la rubrica "Falò" della Televisione svizzera di lingua italiana.

06/26/2003

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