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Unione degli Industriali della Provincia di Varese
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Il virus dell'entusiasmo

Imprenditori locali a confronto su Internazionalizzazione, Lavoro, Ricerca e Innovazione: le leve per azionare strategie di sviluppo. Con un'energia positiva: la forza dell'entusiasmo.


Il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno secondo come lo si guarda. E' un dato di fatto che in parte, ma solo in parte ovviamente, spiega il forte pessimismo che si è creato in Italia sul futuro del paese. Un pessimismo alimentato da dati di fatto: la sostanziale stagnazione del Prodotto Interno Lordo, la perdita di quote sui mercati esteri, la forte dipendenza - ad esempio in campo energetico - da fonti estere sempre più care e carenti. Ma l'incertezza della situazione economica nazionale non basta a giustificare un pessimismo dipendente anche da fattori psicologici. Un eccessivo disfattismo, alimentato anche dall'ultima aspra campagna elettorale più tesa ad evidenziare i problemi del paese che a proporre soluzioni per obiettivi comuni, rischia di portare solo alla rassegnazione.
I cambiamenti dei mercati, indubbiamente, possono spaventare e spaventano: la nuova concorrenza dei paesi emergenti, ad esempio, comporta una rivoluzione per l'economia. Nello stesso tempo, però, questa, come le altre rivoluzioni, porta con se' grandi opportunità da non sottovalutare.
Se il bicchiere Italia è dunque per lo più mezzo vuoto, in provincia di Varese non si brinda ma si vive la situazione congiunturale con una certa fiducia: una fiducia basata sulla consapevolezza della solidità di un background produttivo che ha attraversato intere generazioni. I dati del primo trimestre di quest'anno lo confermano: l'ultima indagine congiunturale mostra un miglioramento produttivo che conferma una tendenza già registrata alla fine dell'anno scorso. Per quanto riguarda il commercio estero, il 2005 ha visto una ripresa delle esportazioni con una crescita del 9,4% e un saldo attivo della bilancia commerciale di oltre 2,2 miliardi di euro.
L'economia del territorio sembra dunque avere una marcia in più. Quali sono le leve su cui si è lavorato in provincia per raggiungere questi risultati? Quali gli strumenti per affrontare il cambiamento superando la sensazione di incertezza generale e ponendo solide basi per il futuro?
Sono domande sulle quali i protagonisti del mondo produttivo varesino, imprenditori, ma anche rappresentanti delle istituzioni, sindacati e gruppi bancari, si sono confrontati in occasione di tre Forum, organizzati dall'Unione Industriali di Varese, dedicati ad altrettanti grandi temi strategici per la vita d'impresa: Internazionalizzazione, Lavoro, Ricerca e Innovazione.
Un confronto che ha permesso non solo di condividere le diverse testimonianze, giudizi e proposte di realtà imprenditoriali diverse tra loro per core business e per dimensione, ma che ha portato a conclusioni comuni: per tutte le imprese il primo valore su cui puntare per recuperare competitività è sicuramente rappresentato dalle persone.
Inoltre, è emersa la necessità per le singole realtà aziendali di non sentirsi sole nel cammino verso lo sviluppo. Ne consegue l'importanza di "fare sistema": tra le stesse imprese e con le altre realtà del territorio in vista di un obiettivo di crescita comune. Una comune responsabilità che coinvolge anche le forze politiche.

"ANDARE" ALL'ESTERO
La prima realtà con cui un'impresa oggi si deve confrontare è il mondo: non esiste business che prescinda dalla globalizzazione e che non vi debba fare i conti. I dati congiunturali dimostrano come la nostra provincia sia fortemente orientata all'export. Tuttavia, il confronto tra gli imprenditori durante il Forum sull'Internazionalizzazione ha evidenziato alcuni fattori di problematicità.
Un'indagine condotta su un campione di 200 imprese varesine ha dimostrato che il metodo per affacciarsi all'estero è a volte ancora un po' tradizionale, legato all'import-export, che si affida cioè ad agenti o a canali di distribuzione esterni poco attenti alla promozione dei marchi, e che si rivolge ancora ai mercati più ricchi della "vecchia Europa" - Francia e Germania, che da sole concenrano più di un quarto dell'export totale - e meno ai mercati innovativi, come ad esempio l'India.
Se dunque l'attenzione all'estero delle imprese lombarde, e varesine in particolare, è un dato di fatto - alcune vantano fruttuose esperienze decennali, che hanno portato a valori di crescita altissimi - appare altrettanto chiara l'esigenza di adeguare i metodi alla dinamicità del mercato. E' necessario un cambiamento di mentalità e di organizzazione che, però, trova un primo ostacolo nelle dimensioni aziendali: non sempre, infatti, le risorse, non solo economiche ma anche semplicemente di tempo, di un'impresa medio-piccola permettono di essere aggressivi in maniera strutturata sui mercati.
Si tratta, come emerge dalle testimonianze del Forum, di un ostacolo superabile unendo le forze, trovando, cioè, diverse formule di aggregazione tra imprese, reti, consorzi di aziende che permettano di collaborare in virtù di un obiettivo comune, superando le logiche del condominio, in cui si discute sempre e non si decide mai.
La necessità di "andare" all'estero per giocare ad armi pari contro la concorrenza è un argomento condiviso: è una tappa obbligata verso la crescita, un percorso che ha portato grandi risultati a chi lo ha già intrapreso. Un messaggio che, tra l'altro, gli imprenditori lanciano a tutto il sistema italiano, particolarmente agli istituti pubblici e alle banche, che accompagnino le imprese in quest'esperienza, anche - ma non solo - nel vero senso del termine con adeguate strutture all'estero. L'esigenza è che ognuno prenda coscienza del proprio ruolo e del fatto che in un'epoca globale è necessario "fare sistema".
"Andare" all'estero peraltro acquista un'accezione nuova secondo i partecipanti al Forum. Non semplicemente delocalizzare, ma acquisire quote di mercato all'estero e portare la propria identità, farsi percepire dove si va come imprenditori locali.
Questo comporta un notevole cambiamento di mentalità: in primo luogo bisogna spostare l'attenzione dal momento produttivo a tutto ciò che sta intorno, puntando sull'informazione e la formazione, curando la comunicazione, sviluppando i servizi. E, poi, significa avvicinarsi a nuovi paesi non soltanto fisicamente, ma anche condividendo modi di vita e di pensiero diversi dai nostri: in sintesi, occorre andare in Cina non solo sapendo il cinese, ma con la consapevolezza di doversi confrontare cun una cultura diversa dalla propria. Significa non guardare alla delocalizzazione (o meglio ri-localizzazione) come un'alternativa al lavoro in Italia, ma come a una scelta complementare, che comporta una crescita di tutta la struttura e dello stesso territorio.
Le persone coinvolte in questo nuovo approccio ai mercati, persone disponibili a spostarsi e a conoscere, competenti e adeguatamente formate, diventano la chiave di volta di questo processo.

IL NUOVO LAVORO
Di fronte ad un mercato locale e globale che si modifica ed evolve, cambia anche il modo di intendere e vivere il lavoro.
Su questo tema - che gli imprenditori varesini considerano una leva del cambiamento - si è centrato il secondo forum dal quale sono emersi interessanti spunti di riflessione.
Il lavoro - pur in una provincia ad elevata presenza manifatturiera - sembra guardare con grande interesse all'intelligenza. La sfida si gioca sempre più sull''innovazione, sulla ricerca e per questo le imprese chiedono non solo braccia ma soprattutto cervelli.
Gli stessi processi di selezione del personale vanno sempre più alla ricerca delle potenzialità piuttosto che delle competenze perché la sfida sembra destinata a spostarsi sulla adattabilità, sulla flessibilità, sulla capacità delle persone di mettersi in discussione e di mettere in discussione gli stessi risultati raggiunti.
I giovani lavoratori esprimono alle imprese una domanda di sicurezza, di stabilità. Le imprese rispondono indicando le condizioni per ottenere il diritto ad essere impiegabili piuttosto che ad essere impiegati. Questo diritto risiede nella capacità di migliorarsi, di crescere, anche professionalmente, insomma, in una parola, formarsi. E sulla formazione dei giovani si concentra la grande attenzione delle imprese: lo confermano le numerose collaborazioni tra le realtà aziendali e il mondo della Scuola o dell'Università, in particolare con l'Università Carlo Cattaneo-LIUC, creata nel 1991 dagli industriali proprio allo scopo di generare competenze.
Ma l'altra carta da giocare per le imprese è quella della formazione continua, che accompagna cioè il lavoratore lungo l'arco del suo percorso lavorativo. Si tratta di creare competenze in azienda, una vera e propria "arma per costruire talenti". Un sistema che viene sempre più praticato dalle imprese e che incontra anche il favore dei lavoratori, che in questa modalità vedono chiaramente un investimento sul futuro. L'interesse per questo strumento è confermato dal successo di adesione al programma di corsi di aggiornamento professionale finanziati tramite Fondimpresa (v. Varesefocus 2/2006), merito di un'intesa tra Unione Industriali e sindacati, che finora ha coinvolto più di 6.000 lavoratori.
Sul tavolo del Forum anche altri argomenti. Negli ultimi anni, anche con la cosiddetta legge Biagi, hanno preso piede nuove forme contrattuali utilizzate in particolare per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro. Sono nate però anche nuove problematiche sulle quali imprese e sindacati sono chiamati a confrontarsi. Sono, in particolare, le questioni connesse con la flessibilità e la precarietà che, per il vero, sono concetti ben distinti e non sovrapponibili. La precarietà, sostanzialmente la reiterazione di contratti a tempo determinato, è un tema che riguarda in minima parte le imprese manifatturiere del nostro territorio, che da diversi anni sono alle prese con la carenza di manodopera, mentre la flessibilità, che è ormai una modalità della prestazione di lavoro delle stesse organizzazione aziendali, come sostengono con forza gli imprenditori varesini, ha di fatto aiutato l'ingresso di molti nel mondo del lavoro e ha permesso la trasformazione della maggior parte dei contratti a termine in contratti a t
empo indeterminato. Una flessibilità in ingresso cui però non corrisponderebbe un sistema flessibile in uscita e che andrebbe supportata, secondo il sindacato, da misure di sostegno alla professionalità dei lavoratori e di tutela rispetto al reddito. Secondo il presidente dell'Unione Industriali Alberto Ribolla la flessibilità va, comunque, vista come "condizione imprescindibile del competere, opportunità da cogliere piuttosto che come limite da combattere. L'impresa oggi, infatti, deve essere flessibile e questa flessibilità è la precondizione per stare sul mercato, per creare occupazione, anche trasformando rapporti di lavoro temporanei in rapporti stabili".
La sfida dunque sta nel prendere atto che al cambiamento bisogna rispondere col cambiamento. Di qui la necessità di nuove regole, che tengano anche in conto le aspettative dei giovani lavoratori, che non si limitano oggi alla qualità di stipendio o di contratto ma alla necessità di un coinvolgimento nella vita aziendale. Ancora Ribolla sottolinea come "non ci sia più tempo per scontri e contrapposizioni ideologiche. Dobbiamo ragionare, insieme al sindacato, su un nuovo piano che non sia solo quello dell'allargamento dei diritti o della riduzione delle tutele, ma sia il piano della redistribuzione dei diritti e delle tutele tra le diverse forme di lavoro".
Per stabilizzare l'occupazione inoltre, secondo le imprese varesine, occorrono le condizioni favorevoli. Sono importanti le politiche attive del lavoro che sostengano il lavoratore nel suo eventuale reinserimento, ma soprattutto, dal punto di vista finanziario, è necessario un ambiente fiscale meno oneroso, che non incida pesantemente come ora sul costo del lavoro.

CREDERE NELL'INNOVAZIONE
La ricerca e lo sviluppo del nuovo nei processi e nei prodotti, tema del terzo Forum di confronto tra gli imprenditori varesini, è senza dubbio alla base di un'attività imprenditoriale. Oggi, però, si può parlare addirittura di necessità per rimanere sui mercati e superare la concorrenza, proponendo sempre qualcosa di diverso rispetto agli altri.
Di fronte ad un'Italia che poco investe nel campo della ricerca e dello sviluppo - l'incidenza sul PIL degli investimenti è appena dell'1,1% contro il 2,1% della Germania e il 3% previsto negli obiettivi di Lisbona - le singole realtà italiane e varesine hanno una grandissima capacità innovativa: lo testimoniano i risultati d'eccellenza dovuti ad una ricerca costante ma non formalizzata. Lo testimonia il fatto che che il prodotto made in Varese all'estero è sinonimo di qualità e gusto. Per esempio, si innova parecchio in un settore considerato maturo come il tessile-abbigliamento (l'allestimento ogni sei mesi di nuovi campionari significa certamente fare innovazione di prodotto), dove pure si fanno avanzate sperimentazioni nell'impiego delle nano-tecnologie per migliorare le qualità dei tessuti o per accrescere le capacità dei cosiddetti "tessili tecnici". Non sempre, però, le piccole imprese registrano brevetti, soprattutto quelli validi in campo internazionale, per una questione di costi.
La necessità dunque fa virtù ma non soltanto, perché, da quanto emerge dal Forum, alla base della ricerca del nuovo c'è principalmente la passione innata degli imprenditori, degli studiosi e di tutte le persone coinvolte nella vita d'impresa. Una capacità sia di problem solving, sia creativa che ha reso la provincia di Varese terreno piuttosto fertile in questo campo. Non è un caso che qui si siano sviluppati centri di ricerca specialistici e addirittura due Università: la LIUC e l'Insubria.
Pertanto sul territorio si manifestano diverse formule di fare e innovare come le forme di innovazione sono diverse tra loro. La relazione tra l'attività di ricerca e l'innovazione viene misurata con la rinnovata fiducia dei clienti al progetto aziendale, una fiducia che oggi, però, non può essere data per scontata. Se le imprese di questa provincia, infatti, possono ancora vantare questa preferenza, sono ben consapevoli che il futuro dei mercati esige una tensione al nuovo continua e costante.
Bisogna, secondo gli imprenditori varesini, avere la capacità di combattere contro alcune sindromi diffuse. Quella della disillusione: non esiste più niente che si possa migliorare. Quella del "not invented here": se un'idea viene dall'esterno non va bene. Quella del "mandiamo avanti gli altri" per non rischiare in prima persona. Timori che si sconfiggono con una ricetta semplice: "Crederci, crederci con entusiasmo". "Crederci" è un motto che non vale solo per chi guida l'azienda, ma per chiunque vi opera a tutti i livelli. Una sorta di virus dell'entusiasmo che si deve diffondere nell'intera struttura aziendale, con un coinvolgimento motivazionale di tutti. Ancora una volta le persone sono al centro del dibattito e il cervello di chi lavora, la curiosità intellettuale, rappresenta il valore aggiunto su cui investire... l'unico capitale non tassabile!
L'attenzione alla ricerca e all'innovazione dovrebbe quindi permeare tutti gli ambiti all'interno dell'impresa ma anche coinvolgere le realtà esterne: altre imprese, università, centri di ricerca. Esperienze positive di imprese del territorio dimostrano come anche in quest'ambito "fare sistema"
porti ottimi risultati. "Si tratta - citando il presidente dell'Unione Industriali Ribolla - di un salto culturale perché richiede di superare barriere anche psicologiche in una coesione di intenti che stia alla base di un disegno strategico comune per il futuro".

06/16/2006

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