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Enrico Baj, non è un addio

La scomparsa di un uomo e di un artista che in provincia di Varese aveva scelto di vivere e lavorare. Ma non è un addio. Gli artisti di magnifica turbolenza e fantasia continuano nel loro perenne lavoro.

Enrico Bay davanti all'opera "Pinelli"Enrico Baj avrebbe compiuto gli ottanta anni nel 2004. E il 31 ottobre, giorno del suo settantanovesimo compleanno, avrebbe dovuto inaugurare la grande mostra dedicatagli da Varese nella sede del Castello di Masnago. La mostra, ormai pronta e seguita fin qui dall'autore, si terrà ugualmente e apparirà come sollecita celebrazione postuma del suo artista da parte della città in cui aveva scelto di vivere. Milanese di nascita, di radici alto borghesi, Baj viveva a Vergiate, in una vecchia villa spaziosa che aveva sottratto all'abbandono, dopo averla "scoperta" in un giorno di felice ricerca con la moglie Roberta Cerini. Quella casa divenne in breve tempo centro degli affetti domestici e studio d'artista, fucina di quel suo popolatissimo mondo di creature nate da una fantasia ricca e volubile di pittore e scultore che sapeva mettere in fila, con armoniosa coerenza, mostri e burattini, demoni e abitatori dell'Eden. Riflettendo, all'inizio degli anni Novanta, con Jean Baudrillard sul pericolo della massificazione dell'arte e sulla consuetudine sempre più diffusa dell'affollamento attorno alle opere "feticcio", Baj precisava: "Malgrado tutto, l'artista non può che vivere e lavorare nella solitudine del proprio studio… l'arte pittorica non è un teatro, come si vorrebbe dimostrare oggi: l'arte si nutre di solitudine e di silenzio". Forse proprio per dar risposta a quella necessità di silenzio aveva scelto Varese, come un altro grande collega, Guttuso. Ma mentre il maestro di Bagherìa aveva trovato materia per i suoi quadri nei sanguigni tramonti visti da sopra i tetti di Velate, nella casa di campagna di Mimise Dotti, il milanese Baj, nato sui Navigli, s'era fermato più giù, prediligendo l'oscuro e umido fittume della brughiera, non troppo lontano dalla città che l'aveva fatto nascere e crescere uomo e pittore. Quasi a metà strada tra due mondi parimenti necessari e prediletti, quello della Milano della avanguardia con Jorn, delle amicizie e delle discussioni con Piero Manzoni, Lucio Fontana, Arnaldo e Giò Pomodoro, e quello della Varese della riflessione. C'è forse da cogliere, anche in questo sdoppiamento affettivo tra i luoghi di un "prima" e di un "dopo", il segno di una personalità insieme semplice e complessa, lineare e frammentata, che appare evidente a chi indaghi l'uomo e l'artista.
"La Bella e la Bestia", 1990 acrilici e collage su tela, cm150x200E se nel suo silenzio e nella solitudine Baj ravvisava il primo nutrimento di un lavoro serio, lui stesso teneva però a precisare sempre con l'amico "intervistatore" Baudrillard, ritornando sul pericolo della "mediatizzazione" dell'arte e sulla necessità di combatterlo. "In genere mi piace una pittura che prenda l'avvio dalle cose e dagli eventi dell'uomo… in fondo lo si sa benissimo, non esiste un sistema definito per combattere tutto questo. Per quanto mi riguarda, il sistema non è sicuramente quello di rifugiarmi nella mia intimità, ma piuttosto di essere vivo tanto quanto possibile, di combattere e di proporre delle cose". Battaglie e guerre non facevano certo paura al pacifista ma polemico Baj, anarchico dichiarato, convinto nemico delle armi distruttive come di ogni tipo di violenza-compresa quella contro l'ambiente, che non perdonava. Irridente raffiguratore di generali d'armata e di parate militari, lasciando a questi e a simili esponenti dell'autorità costituita il carico di una prosopopea comica e vuota, la cui banalità si divertiva a rappresentare ricorrendo a decorazioni e mostrine di passamaneria raccattate nei mercatini, Baj andava in guerra contro tutti, quando necessario anche contro se stesso, opponendo il segno fermo e sincero delle sue pennellate e delle sue parole. Fa testo in questo senso la grande composizione "I Funerali dell'anarchico Pinelli", una imponente installazione di dodici metri per quattro del 1972. Com'è noto, fu realizzata sotto l'emozione dell'oscura morte dell'anarchico Pinelli, precipitato dalla finestra della questura di Milano, e subì poi, dopo l'assassinio Calabresi, un ostracismo durato anni. Ma fanno soprattutto testo la sua intera opera e la sua vita, in bilico tra desiderio di novità e timore della banalità, tra voglia di concretezza e di impegno e delusione per le promesse da altri disattese. Quando Baj accettò di entrare, da addetto ai lavori, nella amministrazione leghista di Varese venuta dopo Tangentopoli, lo fece perché covava il sogno di poter realizzare grandi cose per la sua città d'elezione. Pensava a una mostra di scultura ai Giardini Estensi, capace di ricalcare i fasti di eventi avvenuti in passato a Varese e mai più riproposti. Ma il sogno durò poco e lui se ne andò, dopo soli cinquanta giorni, appena capì che, con i soldi, venivano meno anche le promesse fatte.
Artista colto e ironico, abile anche nell'uso della penna (fu critico e polemista per il Corriere della Sera, oltre che autore di numerosi saggi e pubblicazioni sull'arte) credeva all'unicità e irripetibilità dell'opera d'arte e alla sua fondamentale funzione di stimolo. "Noi affermiamo l'unicità dell'opera d'arte; e che l'essenza della stessa si ponga come 'presenza modificante' in un mondo che non necessita più di rappresentazioni celebrative ma di presenze." Così si esprimeva nel settembre 1957, nel nuovo manifesto "Contro lo stile" del "Movimento Arte Nucleare"- fondato a Milano nel 1951 (in confronto e polemica con il Movimento Arte Spaziale di Fontana) con Dangelo e Joe Colombo - al quale aderirono, tra gli altri, Piero Manzoni, Yves Klein, i Pomodoro, Pierre Restany. Allievo di Carlo Carrà, arrivato alla professione d'artista dopo studi classici e di giurisprudenza condotti in concomitanza con quelli d'arte, Baj contava tra le sue più intense amicizie internazionali quella con gli artisti Marcel Duchamp, Max Ernst - di cui ereditò negli anni Sessanta lo studio parigino di Rue Mathurin-Règnier - e con gli scrittori Andrè Breton e Raymond Queneau. Assieme a quest'ultimo, oltre che a Man Ray, Arturo Schwarz e al futurista Farfa, fondò nel 1963 l'Institutum Pataphysicum Mediolanensis. Erano gli anni dei "Generali", dei "Meccano", degli "Specchi", con cui Baj partecipò nel 1964 alla Biennale di Venezia e anche alla XIII Biennale di Milano nella sezione ideata da Umberto Eco.
Avverso all'ossequio di convenienza, incapace di assoggettarsi a qualunque condizionamento imposto dall'alto, sincero e lealmente critico coi critici che non gli andavano, Baj passava il mondo e la gente, compreso se stesso, al setaccio della sua coscienza caustica e pulita. E non nascondeva di rinvenirvi preoccupanti segni, grumi d'un malessere diffuso, enzimi di quel kitsch che gli pareva di vedere ormai ovunque. Hanno questo senso le sue opere sull'Apocalisse degli anni Settanta-Ottanta e la sua produzione fino ad oggi. Eppure la fiducia non è mai venuta meno: "Benché ciò possa sembrare ridicolo in questo stato di piattezza e di noia… ho una grande fiducia nell'immaginario, nell'invenzione e nel sogno. Ho questa speranza per me, ma la auguro anche agli altri. Credo che gli uomini usciranno da questa situazione che abbiamo sotto agli occhi, così piatta ed agnostica, situazione d'indifferenza, senza pulsione". Guardava con speranza anche alla donna, che vedeva come portatrice di vita e amore. Sbandierò questa sua altra fede nell'eterno femminismo nel "Manifesto per un Futurismo Statico", che stilò con la consueta ironia provocatoria, il 31 ottobre del 1983, "dalla stazione di Cimbro Mornago" "in nome dell'immobilismo plastico per liberare gli uomini dalla cancrena del moto, del motore, del turismo dopolavoristico o intellettuale che sia". Scriveva al punto 9: "Vogliamo glorificare la Donna, e disprezzare la guerra, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore e le 'belle idee' per cui si muore. Unica morte accettabile è nel proprio letto." E al 10: "Musei, biblioteche, accademie non ci riguardano, ma non vi è alcun bisogno di distruggerle. Siamo per il femminismo e riteniamo la donna superiore all'uomo perché portatrice di vita e non di distruzione. Respingiamo quindi l'immagine aberrante di una parità sessuale che non esiste e la maschilizzazione della donna avente come obiettivo il capitanato d'industria, la competizione e la violenza".
Ora la sua produzione s'è fermata, la sua vita s'è arrestata. Sbrigativo e fulmineo come d'abitudine, Baj ha lasciato per sempre la sua Vergiate, in un breve spazio dall'inizio della malattia. Ma non è un addio. Gli artisti di magnifica turbolenza e fantasia come Baj continuano nel loro perenne lavoro. Che è anche quello di interrogarci, guardandosi d'attorno e in alto.
"L'immaginario dei cieli è il nostro spazio che il tempo scandisce nel divenire della memoria. Stesi sul letto del mondo, noi accarezziamo la volta stellare".

06/26/2003

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