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Energia i costi si infiammano

Il punto su una questione "scottante" per famiglie e imprese. Tra aumenti e tentativi di porvi un freno, un quadro delle situazione italiana ed internazionale.


"Non ci sono più le mezze stagioni". Sembra un'incredibile banalità ma sottolinea un dato: l'imprevedibilità del clima. Ormai si alternano inverni estremamente rigidi ad altri troppo caldi. Eppure, anche durante questi ultimi, le bollette per il riscaldamento di casa rimangono altissime e non riusciamo a beneficiare, almeno economicamente, di qualche grado in più perchè gli alti costi del combustibile compensano eventuali risparmi. E, se anche la voce "riscaldamento" fosse l'unica del capitolo spesa energetica, basterebbe a sottolineare come gli aumenti incidano sul bilancio di famiglie e imprese.
Le preoccupazioni crescono e la cronaca non aiuta a smorzarle. Dalla fine dello scorso anno il prezzo del petrolio al barile, arrivato a livelli senza precedenti, è diventato argomento comune di discussione, anche se non altrettanto comune è la comprensione della complessità del fenomeno. Quello che, invece, è facile comprendere è l'incidenza della conseguente variazione dei prezzi dei carburanti sui nostri portafogli. Benzina e gasolio nei mesi scorsi hanno raggiunto cifre da record. A marzo il gasolio veniva a costare sostanzialmente come la benzina. Un rialzo che, secondo i rilevamenti di Fegica-Cisl, una delle sigle dei gestori, avrebbe portato ad una contrazione dei consumi italiani mai registrata prima: nei primi mesi dell'anno, infatti, le vendite dei carburanti sarebbero scese complessivamente del 2,5-3%, con un picco negativo per la benzina pari al 9%. Un dato che fa riflettere dal momento che l'andamento di questo mercato è normalmente costante: difficile che oggigiorno si usi meno l'automobile (e, si noti bene, la benzina è un indicatore chiaro soprattutto di quest'uso privato, più del gasolio adottato anche nell'autotrasporto) ma, stando ai numeri, non impossibile...
Lo scenario, dunque, non è roseo e i prezzi delle materie prime non sono l'unica variabile in gioco. Peraltro dalle associazioni dei consumatori e dai rappresentanti degli imprenditori sempre più si formulano appelli alle forze politiche per trovare un'urgente soluzione a quello che è sempre più un problema per il Paese, ma non solo.

La febbre dell'oro nero
Il prezzo del petrolio è un fattore chiave nella definizione dei costi energetici internazionali. Un valore, in esponenziale ascesa già dal 2002, che alla fine dello scorso febbraio raggiunge una soglia storica, i 100 dollari a barile, per salire ulteriormente nel mese di marzo. I Paesi industrializzati chiedono all'Opec (il soggetto di maggior peso nella questione) di aumentare l'offerta per frenare i prezzi, ma l'Organizzazione, nel vertice di Vienna, decide di mantenere invariate le quote. E, mentre alcuni esperti affermano che la produzione è ormai ad un livello di saturazione, l'Agenzia Internazionale per l'Energia sostiene che le risorse per soddisfare la crescente domanda ci sono, ma che, nello stesso tempo, sono necessari nuovi investimenti per rispondervi adeguatamente.
Tuttavia, in gioco sono non solo il valore "nudo e crudo" del greggio e il rapporto tra domanda e offerta, ma anche fattori geopolitici - i maggiori rifornitori mondiali o i paesi di passaggio degli oleodotti, sono notoriamente paesi instabili - e speculativi finanziari. Secondo gli economisti, infatti, sarebbe quest'ultima la vera new entry tra le variabili coinvolte, oltre che quella più difficile da arginare e di maggior peso.
In questo quadro incide, poi, la quotazione da sempre calcolata in dollari e la contemporanea debolezza della moneta statunitense rispetto all'euro e ad altre valute: in soldoni, per molti paesi questo dovrebbe in parte smorzare l'effetto rincaro, ma non diminuisce l'impatto degli aumenti per gli importatori e rappresenta un grave fattore di incertezza nel mercato. Lo stesso presidente della Bce, Trichet, sottolinea come "l'eccessiva volatilità e i movimenti disordinati dei tassi di cambio" siano "elementi non desiderabili per la crescita".
Molti produttori poi spingerebbero per il mantenimento dei prezzi alti per compensare la svalutazione del biglietto verde e non compromettere la stabilità interna. Basti pensare che, secondo lo studio della britannica Pcf Energy, ripresa da La Repubblica-Affari&Finanza, per mantenere in equilibrio i propri conti con l'estero il Venezuela avrebbe bisogno di 95 dollari al barile, ma alla Nigeria ne basterebbero 70, all'Arabia Saudita 60, al Kuwait solo 50. Il resto sarebbe speculazione.
Ulteriore aspetto della questione è legato ai prodotti della raffinazione: sul loro prezzo non incide solo il costo della materia prima. Ad esempio, nel 2005-06, le quotazioni della benzina sono state influenzate dalla precarietà dei sistemi di raffinazione americani, messi a dura prova dai disastrosi uragani. Si aggiungono poi altre dinamiche, che in parte potrebbero condizionare l'andamento internazionale, come logiche solidaristiche esclusive tra paesi esportatori ed importatori. Il progetto Petrocaribe, ad esempio, è un'iniziativa di cooperazione sudamericana voluta in primis dal Venezuela (la terza riserva mondiale) per la vendita di petrolio a prezzi preferenziali ai paesi più poveri.

Alla canna del gas
A fronte dell'aumento del petrolio, è inevitabile in prospettiva anche l'incremento del prezzo del gas sui mercati mondiali. A sostenerlo anche il numero uno di Edison, Umberto Quadrino, che a margine di un convegno a febbraio afferma: "l'aumento del gas sarà inevitabile, lo sarà di conseguenza anche quello dell'elettricità". Fortemente compromesso nel 2005, per l'instabilità metereologica e politica, il mercato mondiale del gas è ritornato alla normalità nel 2006, secondo l'annuale sintesi dell'Autorità dell'Energia. Tuttavia, accanto a questo miglioramento, si segnalano un aumento della dipendenza di tutta l'area europea dalle importazioni (dal 39% al 45% tra il 2004 e il 2006) e ritardi nella realizzazione delle infrastrutture di trasporto e di stoccaggio, in particolare in Italia. In misura minore, per l'istituto, hanno un peso fattori geopolitici, come le restrizioni negli approvvigionamenti di gas russo nel 2006. Tutt’oggi i paesi Ocse rappresentano oltre il 50% dei consumi globali.

Le altre "care" fonti
Non di soli petrolio e gas vive il mercato. La spinta a ricercare forme alternative di energia deriva da necessità non solo economiche ma anche ecologiche, purtroppo non sempre le due esigenze vanno di pari passo. Si pensi, solo per fare un esempio, ai biocarburanti. Si tratta di prodotti derivati da fonti agricole (cereali e oli vegetali), creati per sostituire benzina e diesel. Per la loro origine naturale e la possibilità di ridurre le emissioni, sono fortemente promossi dalla Ue che fissa un tetto minimo nazionale di energia da coprire con l'uso di queste fonti per arrivare ad un 6% circa entro il 2010. Nel mondo, però, la corsa ai biocarburanti starebbe stravolgendo i mercati agricoli, spingendo molti coltivatori a destinare terreni allo scopo, anche a causa degli incentivi proposti da alcuni governi, in primis Usa. Così facendo, però, si riduce l'offerta dei mercati alimentari, la cui domanda è pure in crescita. Il risultato contribuisce ad aggravare l'aumento dei prezzi di cereali ed olii vegetali (già spinti alle stelle dall'aumento di materie prime come il petrolio), questi ultimi essenziali nelle diete asiatiche e africane. Infine, il prezzo degli stessi biocarburanti è condizionato dal fatto che per produrre modeste quantità (che garantiscano un potere energetico paragonabile alle fonti tradizionali) sono necessari ingenti quantitativi vegetali.

04/04/2008

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