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Riannodare i fili della concertazione

Nella maratona pre-elettorale, perso il significato vero e serio di un confronto sui contenuti.

A sinistra il Segretario Generale della Cgil Sergio Cofferati, a destra il Presidente di Confindustria Antonio D'AmatoToccherà al prossimo Governo riannodare i fili della concertazione. Per troppo tempo in questa inesauribile maratona pre-elettorale è stata oggetto di ricatti, veti e strumentalizzazioni.
E ha via via perso di significato, allontanandosi sempre più da un vero e serio confronto sui contenuti. E l'episodio della direttiva sui contratti a termine è stato solo l'ultimo esempio di un dialogo sociale che ha perso il proprio mandato, che ha smarrito i confini della sua azione e le modalità con cui esplicarla.
La Cgil ha detto no allo schema di accordo a cui, invece, altre 19 organizzazioni, tra sindacali e datoriali, avevano lavorato congiuntamente.
Il Ministro del Lavoro, Cesare Salvi, ha scelto di non fare propria quell'intesa separata, ma nemmeno di intervenire d'ufficio, come invece aveva fatto in occasione della direttiva sul part time.
La situazione è di stallo. Se ne stanno occupando i legali delle parti interessate: Salvi sostiene che le direttive europee si possono trasporre, attraverso l'avviso comune, solo se tutte le sigle sindacali sono d'accordo.
Altri giuristi contestano questa interpretazione e sono pronti a dimostrare che una direttiva Ue si può adattare all'ordinamento nazionale anche con intese separate, purchè sottoscritte da organismi rappresentativi. In ogni caso questa ulteriore diatriba sancisce una volta di più il logoramento della formula concertativa.
O meglio la perdita di entusiasmo degli attori una volta raggiunto l'obiettivo del risanamento dei conti, l'abbassamento dell'inflazione, il ribasso dei tassi e una certa qual stabilità macroeconomica, principali target definiti nel '92-93 quando le intese concertative suonavano come vere e proprie chiamate alle armi per una patria in serio pericolo di bancarotta. L'argomento dunque slitta alla prossima legislatura.
Restano i dubbi su una politica eccessivamente invasiva rispetto alla sovranità delle parti sociali.
La flessibilità rimane un argomento che l'Italia dovrà affrontare senza ideologismi e senza tabù, ma con la serenità di essere un Paese europeo ricco, in fase di accelerata crescita e con forte vocazione all'innovazione e alla modernità.
E sarà, questo della flessibilità nel mercato del lavoro, uno dei temi più delicati per tutto il prossimo quinquennio di lavoro parlamentare e di Governo.
L'eredità della legislatura lascia molte incompiute sulla tela del lavoro e del welfare.
Si è perso tempo a lungo con il dibattito sulle 35 ore; per fortuna si è riusciti a far entrare nell'ordinamento italiano il lavoro interinale, che rimane l'unica vera conquista della legislatura che sta morendo. Rimangono agli atti mesi e mesi di discussione sul lavoro atipico, disciplinato al Senato con una norma che lo appesantisce e lo porta diritto sul crinale del sommerso per necessità.
Negli archivi di Camera e Senato e non solo si troveranno centinaia di pagine di audizioni di parti sociali e Governo sul tema della rappresentanza sindacale.
Un altro dei capitoli rimasti senza finale.
Il welfare diventa la prima vera riforma istituzionale nel Paese che fa meno figli in tutta Europa e rischia il collasso generazionale nel 2030 che, in termini previdenziali, è domani. Il colpo di spugna sulle pensioni di anzianità, retaggio antico di privilegi senza più storia; un adeguamento delle aliquote tra lavoro dipendente e lavoro autonomo; un allungamento dell'età del ritiro più consona all'aumento delle aspettative di vita e al cambiare dei costumi del Paese sono altrettanti temi ineludibili per il prossimo futuro.
E su tutti la concertazione troverà nuovo terreno di confronto se vorrà essere costruttiva.
Ma se diventerà, ancora una volta, un gioco di veti per bloccare il Paese a metà del suo cammino verso la modernizzazione, allora non avrà senso.

03/15/2001

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