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Il cuneo fiscale

Il divario tra il costo del lavoro a carico delle imprese e la retribuzione netta in busta paga. Un problema non nuovo, che (forse) potrebbe essere attenuato tra breve. Finanza pubblica permettendo.

Fatta uguale a 100 la retribuzione lorda di un operaio dell'industria, il suo datore di lavoro sopporta un onere di 144 per via delle contribuzioni previdenziali a proprio carico e degli altri oneri che gonfiano il costo del lavoro, mentre la retribuzione netta in busta paga è uguale a 72.
Il cosiddetto cuneo fiscale e previdenziale sul lavoro è calcolato in Italia pari al 42,7%.
Non siamo in testa alla classifica: prima di noi ci sono Belgio (48,9%), Germania e Svezia (45,9%). Segno, è vero, che il costo del lavoro può non essere l'unico elemento che comprime la competitività delle imprese.
Ma anche che, evidentemente, possono esserci altri fattori in grado di compensare l'alto costo del lavoro attraverso una maggiore produttività: ad esempio, più flessibilità nella prestazione del lavoro e minore assenteismo, in tutte le sue forme (malattia, festività, scioperi, ecc.).
Dopo di noi ci sono Danimarca e Finlandia (40,4%), Austria (39,9%), Francia (37,8%), Paesi Bassi (37,2%), Grecia (34,3%), Spagna (33,9%), Portogallo (29,5%) e già fino all'Irlanda (16,6%). L'Italia è 4,9 punti percentuali sopra la media dell'Unione Europea a quindici (37,8%).
La perdita progressiva di competitività del nostro sistema produttivo - di cui è un segnale preoccupante il saldo negativo della bilancia commerciale (secondo la Commissione europea, l'Italia è il paese che ha registrato il calo più forte dell'export nell'area dell'euro) - passa anche dalla persistenza di un cuneo fiscale eccessivo, che le imprese denunciano da diversi anni senza che, tuttavia, sia mai stato fatto nulla di risolutivo.
E anche il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro chiama in causa questo fenomeno distorcente.
Se, infatti, risulta difficile, in questo frangente di congiuntura debole e affaticata, disporre di risorse per aumentare le retribuzioni, ancor più difficile diventa l'operazione se si considera che, per ogni euro di aumento, le imprese ne devono sborsare in realtà 1,44 (mentre al lavoratore, come detto, ne rimane 0,72).
Il Governo ha pensato, in occasione della Finanziaria 2005, di risollevare le sorti dell'economia agendo, anziché sugli oneri a carico delle imprese, sull'alleggerimento della pressione fiscale a carico dei cittadini-consumatori.
Ha ritenuto, così facendo, di restituire una parte della capacità di spesa alle famiglie con l'aspettativa che queste ultime aumentassero i consumi e ridessero quindi fiato ad un ciclo economico asfittico. In seguito, però, all'interno della coalizione di governo ha iniziato a farsi strada l'idea di rinunciare alla terza tranche dell'alleggerimento fiscale, che avrebbe dovuto scattare nel 2006, per utilizzare le relative risorse in interventi di contenimento del costo del lavoro. Per restituire, questa volta, un margine di competitività alle imprese. Il ministro del Welfare Roberto Maroni ha aperto un tavolo per un confronto con le parti sociali sull'argomento. E lo stesso vicepremier Tremonti ha affermato di volere prendere in considerazione l'ipotesi, formulata da Confindustria, di una detassazione, ancorché parziale, dei prossimi aumenti retributivi che saranno introdotti con i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro. In gioco ci sono, virtualmente, 12 miliardi di euro, che potrebbero essere utilizzati per rendere deducibile dall'Irap (o dalla nuova imposta che la sostituirà nel caso in cui la Corte di Giustizia Europea la dichiari, come pare, incompatibile con l'ordinamento comunitario) tutto il costo del lavoro. L'avverbio "virtualmente" è d'obbligo, perché l'andamento più debole del previsto dell'economia sta facendo traballare l'impianto delle previsioni della finanza pubblica, come hanno segnalato recentemente gli osservatori internazionali: il Fondo Monetario, l'Ocse, la Ue.
E se, addirittura, dovesse prendere corpo l'idea, di cui si parla, di una manovra correttiva di finanza pubblica, si dovrebbe dire addio a quei 12 miliardi, con buona pace sia del bonus per i cittadini, sia del cuneo fiscale per le imprese.
Con tutto ciò, c'è almeno una buona notizia: potrebbero diminuire i premi assicurativi Inail, quelli cioè per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.
C'è un piano secondo il quale la contribuzione potrebbe scendere e determinare una riduzione del costo del lavoro compresa tra il 2,4% e l'1%.
Un bel taglio, non c'è che dire. Come mai?
All'Inail sostengono che tariffe più basse per le imprese sarebbero possibili a condizione, peraltro, che queste ultime si impegnino in un piano di prevenzione e di riduzione degli infortuni. Il sistema aumenterebbe la produttività e si creerebbe uno spazio per nuove risorse spendibili nella contrattazione sindacale. Si stima che la riduzione del premio verrebbe riassorbito nell'arco di tre anni con la riduzione del 20% degli infortuni sul lavoro: un significativo guadagno di produttività, visto e considerato che oggi i 18 milioni di giornate perse per infortuni valgono l'equivalente di 3 punti del prodotto interno lordo. Una buona trovata, sicuramente.
Anzi, doverosa, dato che gli infortuni stanno diminuendo fisiologicamente e che a tale diminuzione è giusto che corrisponda una riduzione del premio. Del resto, gli avanzi di amministrazione dell'Inail sono cospicui, tant'è che nel recente provvedimento per la Competitività l'Istituto è stato chiamato a concorrere con i propri fondi per quasi 4 miliardi di euro, da destinare ad interventi diretti all'acquisto e alla costruzione di strutture pubbliche o private destinate a finalità quali la cura delle persone non autosufficienti, l'edilizia universitaria, gli asili nido, il presidio dell'ordine pubblico e altro ancora.
"Attenzione però - avvertono all'Unione Industriali - in questa operazione occorre evitare di premiare soltanto chi fa investimenti oggi per domani e non anche chi ha fatto investimenti ieri per oggi. Se gli infortuni nell'industria sono in diminuzione è anche perché si sono realizzati importanti investimenti in sicurezza in applicazione del decreto legislativo 626 e sarebbe ingiusto penalizzare chi vi ha ottemperato con solerzia e premiare chi, invece, lo fa in ritardo".

05/05/2005

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