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Riprende il dialogo sociale. Senza Cgil

La ripresa del confronto sociale segna alcune prevedibili difficoltà di dialogo con la Cgil. Una strada difficile quella delle riforme ma da intraprendere con urgenza per adeguare il quadro economico agli obiettivi del Governo.


La ripresa, all'inizio di giugno, del dialogo sociale tra Governo e parti sociali ha subito espresso un primo verdetto forse prevedibile alla vigilia delle trattative: la Cgil si è "sfilata" dal confronto sul mercato del lavoro e ha ingaggiato un corpo a corpo con l'Esecutivo riproponendo una pericolosa spaccatura nel mondo sindacale.
Nell'ultimo mese alla guida della Cgil, Sergio Cofferati - un leader arrivato al vertice della confederazione 8 anni fa con l'etichetta di riformista - ha ulteriormente alzato il tiro dello scontro: "l'iniziativa del Governo - ha detto Cofferati - sull'articolo 18 è un trabocchetto e quindi non merita di essere discusso. Meglio lo sciopero (6 ore) subito anche se da soli e la minaccia di scatenare un autunno caldo".
L'altro dato che emerge dalla ripresa del confronto è il nuovo strappo tra Cgil - da una parte - e Cisl e Uil dall'altra. Gli ultimi anni (dalla firma separata del contratto dei metalmeccanici nel luglio 2001 ad altre spaccature a livello aziendale come nel caso dell'Electrolux Zanussi) sono stati caratterizzati da un innalzamento delle tensioni interne al movimento confederale che hanno progressivamente allontanato le prospettive di quell'unità sindacale considerata a portata di mano a metà anni '90.
Adesso lo scontro è a tutto campo con accuse reciproche tra Cofferati e il leader della Cisl, Savino Pezzotta, e inevitabili riflessi all'interno del Centro-sinistra: la "guerra" tra i confederali rischia di surriscaldare i rapporti soprattutto tra Margherita e Ds, questi ultimi da sempre considerati una sorta di sponsor della Cgil. L'uscita di Cofferati all'inizio di luglio, e l'arrivo di Guglielmo Epifani (il primo segretario generale della Cgil di estrazione socialista) potrebbero chiarire le ragioni delle attuali scelte della maggiore confederazione italiana.
Intanto il tempo stringe e non solo perché entro la fine di luglio si tireranno le somme delle trattative in corso tra Governo e parti sociali, ma soprattutto perché la situazione economica richiede interventi urgenti.
Il quadro generale, infatti, è meno ottimistico rispetto a quanto previsto all'inizio dell'anno al punto che per il 2002 la crescita potrebbe scendere dal 2,3% a un range tra l'1,7 e l'1,9% se non all'1,2% come ha prospettato il Fondo monetario internazionale. Intanto il primo trimestre si è chiuso con un incremento del Pil soltanto dello 0,1% (la variazione tendenziale più bassa da diversi anni) e anche i dati dei mesi immediatamente successivi evidenziano come la ripresa stenti ad affermarsi anche per effetto di una congiuntura internazionale ancora sofferente.
Una situazione che ha fatto dire al ministro delle Attività produttive, Antonio Marzano, che "la notte non è ancora passata" considerando che "la congiuntura oramai è decisa al di fuori dai confini nazionali".
Questo non deve togliere l'alibi al Governo per insistere sul terreno delle riforme.
Ed è quanto il presidente della Confindustria, Antonio D'Amato, ha ripetuto in occasione dell'assemblea degli industriali a fine maggio.
"Non bisogna lasciare le riforme nel limbo" - ha avvertito D'Amato - "perché il prezzo da pagare sarebbe altissimo. L'obiettivo, non più rinviabile, è avviare un circolo virtuoso che, attraverso una riduzione della spesa e un taglio della tassazione, consenta maggiori investimenti e quindi più occupazione e più crescita. La nuova Maastricht è, dunque, Lisbona, vale a dire un tasso di occupazione al 70%".
La marcia di avvicinamento sarà progressiva ma non può essere rimandata.
Lo ha ripetuto la recente relazione del Fondo monetario internazionale: "La direzione è giusta, ma bisogna accelerare".
Vanno superati gli ostacoli alle riforme, attuati subito i tagli alla spesa sanitaria e gli interventi sul lavoro. Nei giorni scorsi il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha presentano il Piano nazionale per il lavoro da inviare a Bruxelles pronosticando già un aumento del 4% del tasso di occupazione entro il 2005 con 1,4 milioni di posti in più.
Questo è lo scenario sul quale si proiettano i 4 tavoli in discussione dopo che il tanto contrastato articolo 18 è finito in un disegno di legge ad hoc, e di riforma delle pensioni chissà quando si parlerà.
Una mossa che non è servita alla Cgil per sedersi al tavolo sul mercato del lavoro che dovrà definire le misure per dare più sprint all'occupazione: dalla riforma del collocamento agli incentivi, alle nuove tipologie contrattuali.
Ma sono aperti anche altri tre tavoli altrettanto importanti e sui quali le valutazioni dei confederali sono già state differenti con la Cgil sempre piuttosto critica sulle intenzioni del Governo.
Si sta discutendo di Mezzogiorno con l'obiettivo di aumentare la capacità di spesa dei Fondi strutturali Ue, insieme ai temi delle infrastrutture, della sicurezza e delle linee di delocalizzazione produttiva.
Altra sfida è quella del Sommerso: le parti sociali saranno coinvolte sui temi degli incentivi, della flessibilità salariale e dei controlli.
Ultimo argomento è il Fisco: tutti d'accordo ad abbassare la pressione fiscale e il Governo ha già incassato un primo sì di Cisl e Uil sulla riforma a patto che venga garantita la progressività del prelievo. Ancora da definire i tempi e le modalità della riforma, il tutto - ovviamente - nell'ambito delle compatibilità di finanza pubblica.
Insomma dopo tante false partenza questa potrebbe essere la volta buona per arrivare al traguardo, anche se parziale, di un accordo.
Resta l'incognita dell'atteggiamento della Cgil e dei rischi di conflittualità che potrebbero ricadere soprattutto in periferia e a livello aziendale.
Una prospettiva - legata alle conseguenze di un sindacato diviso e in aperta competizione interna - pericolosa proprio in coincidenza con una più decisa accelerazione della ripresa produttiva nella seconda parte dell'anno.

06/20/2002

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