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Il Sistema Italia visto da fuori

Abbiamo chiesto ai corrispondenti in Italia delle principali testate di Francia, Gran Bretagna e Germania un commento sulle difficoltà che si incontrano nel nostro Paese nel supportare e rilanciare i sistemi produttivi.

LA GRAN BRETAGNA PREMIA IL MERCATO
Credo che i laburisti non abbiano dimenticato le lezioni offerte dai fallimenti degli interventi statali degli anni Sessanta e Settanta, e ritengo che anche gli italiani farebbero bene a ricordare i disastri delle partecipazioni statali e gli altri pessimi tentativi di dirigismo economico-industriale. Purtroppo il Bel Paese soffre ancora dell'avere troppi enti in cui c'è una presenza pubblica, e i politici, sia da una parte che dell'altra, sono sempre desiderosi di interferire in cose improprie.
Anche se il rigore degli anni Ottanta è stato doloroso per tanti britannici, la cura della Thatcher ha dato i suoi risultati, sui quali ancora si basa l'attuale buon andamento dell'economia di oltre-Manica. Quale è stata la medicina della Signora di Ferro? Liberalizzare, tagliare la burocrazia, introdurre flessibilità nel mercato del lavoro, scegliere la regolamentazione leggera, ridurre le tasse, bloccare le domande eccessive dei sindacati, togliere le stampelle dalle aziende, insomma imporre misure impopolari. Non sorprende quindi che da anni la Gran Bretagna sia il paese europeo più attraente per gli investimenti esteri diretti. Comunque, sarebbe sbagliato parlare di piani di governo per rilanciare sistemi produttivi in Gran Bretagna sia trenta o dieci anni fa sia oggi. Gli obiettivi erano quelli di preparare il terreno ad una riconversione industriale/economica/sociale e di far accettare il concetto che il mondo cambia e che anche la gente deve cambiare. Convincere tante persone a prendere possesso del proprio destino è stato un risultato molto positivo.
Certo, sono stati commessi degli errori nel fidarsi troppo del mercato come soluzione a tutti i problemi - penso in modo particolare al trasporto pubblico. Ma sicuramente il mercato funziona benissimo nelle telecomunicazioni, nell'energia e nel trasporto aereo, per dare solo tre esempi. Il governo potrebbe avere un ruolo in certi settori, ma in un numero estremamente limitato. Per concludere: convertirsi da malato d'Europa, come è stata definita la Gran Bretagna alla fine degli anni Settanta, in un'economia funzionante significa aver fatto scelte giuste.
David Lane, corrispondente dall'Italia per The Economist

LE TRE COLPE DELL'ITALIA
Mezzogiorno, debito altissimo, crescita debole, investimenti esteri in affanno, stipendi troppo bassi, precariato esteso a dismisura: i motivi del forte calo di competitività dell'Italia sono tanti. Ma le loro cause si possono riassumere in parole simplici: conservatismo e corporativismo, rifiuto del liberalismo e della concorrenza, conflitti di interessi a tutti i livelli, rigidità dei meccanismi decisionali e del mercato del lavoro.
Dopo otto mesi dall'elezione di Nicolas Sarkozy, il contrasto tra i due paesi è forte. Da un lato, c'è un Presidente che decide, un Governo che lo segue, un Parlamento che vota le sue legge. Mai la Francia ha conosciuto un cambiamento tanto forte, con riforme profonde in tutti i campi, dall'immigrazione alla giustizia, alla scuola, all'abolizione dei regimi speciali di pensione di cui sono beneficiari una minoranza.
Queste riforme vanno avanti con determinazione, anche a costo di confronti sociali duri.
Dall'altra parte, c'è un paese invischiato nel rifiuto delle riforme, in nome di una pseudo-uguaglianza che non è altro che conservatorismo, un paese dove comandano le minoranze, che siano comuniste, verdi o corporative come i tassisti, i benzinai, i farmacisti e tanti altri.
Non è più il paese delle cento città, ma delle mille cappelle, dei diecimila veti. Con un potere centrale debole e un governo che fatica ad imporre la sua politica.
Tre esempi: l'Alta Velocità Torino-Lione. Sul lato francese, i lavori preliminari sono quasi finiti. Sono stati realizzati a spese dello Stato, con la pressione fortissima dei comunisti e dei verdi che vedono nel treno un elemento di progresso rispetto al trasporto su gomma. Dal lato italiano, comunisti e verdi hanno cavalcato un'ostilità locale di tipo arcaico, per biechi interessi politici. Il progetto di tracciato sul versante italiano non è ancora iniziato e la linea ferroviaria, se mai verrà fatta, non lo sarà sicuramente prima del 2022/2025, già troppo in ritardo per consentire all'Italia di approfittare pienamente della modernizazione dei trasporti in atto in tutta l'Europa.
Secondo esempio: la politica salariale. La Fiom parte in guerra contro il bonus di trenta euro della Fiat da distribuire a ciascuno dei suoi dipendenti. Lo vede come un attaco al contratto nazionale del settore, uguale per tutti i metalmeccanici. Una maggiore contrattazione aziendale consentirebbe però di dare flessibilità alla grande industria e aiuterebbe le piccole imprese a reclutare più facilmente.
Ha ragione però Guglielmo Epifani quando dice che non si potrà far emergere il lavoro nero senza una politica fiscale che stimoli la crescita dei salari, cioè con 100 euro di tasse in meno sul salario. Terzo esempio del "mal” italiano, il più grave: il costo eccessivo della politica e dell'apparato dello Stato, centrale e soprattuto locale, come rilevato da Sergio Rizzo e Gianantonio Stella nel loro libro "La Casta”. Domare questo costo è la sfida sulla quale l'Italia giocherà la sua competitività. Si puo temere che sia una battaglia già persa.
Richard Heuzè corrispondente dall'Italia per Le Figaro

RIFORME IMPOPOLARI
Il fatto che riforme sociali taglienti possano essere impopolari, mentre gli effetti positivi si sentiranno solo in un futuro più lontano, esiste anche in Germania: l'Ex-Cancelliere Gerhard Schröder ha perso molta popolarità con un suo programma di riforme chiamata "Agenda 2010”. Pur non essendo molto incisivo, in retrospettiva non piace più ai socialdemocratici di oggi e non l'ha mai fatto suo il partito cristiano-democratico della nuova Cancelliera Angela Merkel. In questo modo, qualche taglio del passato viene adesso smorzato, allungando il periodo dell'indennità di disoccupazione da 12 a 18 mesi per i tedeschi relativamente anziani. Il Vice-Cancelliere socialdemocratico Franz Müntefering aveva lottato invano contro questo smorzamento, dicendo che "bisogna investire nell'occupazione, non pagare la disoccupazione”.
Comunque, ci sono tanti fattori e riforme che attualmente facilitano la ripresa in Germania. Il primo è più un dato di fatto che un elemento della politica: durante la crisi degli ultimi anni tante aziende hanno fatto ristrutturazioni pesanti, con il licenziamento di migliaia di dipendenti. In questa situazione, anche gli aumenti di salari si sono fermati. Vista la crisi della competitività, i sindacati non hanno potuto fare molto per impedirlo. Così le aziende sono diventante molto più snelle e produttive, e adesso, con l'economia ripartita, devono assumere nuovi collaboratori, da inserire in strutture rinnovate.
Di fronte ai tanti licenziamenti, si poteva chiedere un sacrificio anche a chi aveva un posto sicuro nella Pubblica Amministrazione. Questi si sono trovati così, un aumento dell'orario settimanale di lavoro tra 30 minuti e due ore, senza avere un aumento di retribuzioni. Adesso gli insegnanti devono dare 30 o 32 lezioni ogni settimana, il doppio dell'Italia. Va da se che non c'è necessità di una discussione su "fannulloni” nell'Amministrazione Pubblica, perché i dirigenti ed i politici responsabili, all'opposto, chiedono produttività e prestazioni ai dipendenti pubblici, per avere istituzioni funzionanti.
Tobias Piller corrispondente dall'Italia del Frankfurter Allgemeine Zeitung

11/21/2007

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