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Lavoro, il pendolo del frontalierato

Corsi e ricorsi della storia e della cronaca. Solo qualche mese fa ci si preoccupava dei frontalieri italiani in Svizzera rimasti senza lavoro. L'Osservatorio sul frontalierato costituito tra la Camera di Commercio di Varese e il Cantone Ticino pubblicava dati allarmanti e tutti si preoccupavano, giustamente, della sorte di questi lavoratori.
Ora sembra che il fenomeno sia esattamente opposto. La fuga di operai e tecnici verso le imprese del Cantone Ticino è un processo che si sta riacutizzando per via della ripresa economica in atto anche al di là del confine. Gli stipendi, in Svizzera, sono generalmente più elevati, grazie non solo al cambio franco/lira ma anche e soprattutto alla minore incidenza degli oneri contributivi e fiscali sui redditi da lavoro dipendente. Non si tratta peraltro di un fenomeno nuovo e non è neppure in questo momento così vistoso come è stato in passato. Nel 2000, in base ai dati forniti dall'Ufficio Nazionale di Statistica di Bellinzona, sono stati oltre 29.000 gli italiani impiegati in Ticino; nel 1990 erano stati più di 40.000 (dati medi annui). Seppure all'interno di un trend in calo, i dati dell'ultimo periodo indicano tuttavia una inversione robusta: nel gennaio 1999 i lavoratori transfrontalieri erano 27.900, nel novembre 2000 erano superiori a 30.600. La crescita è stata del 9% in poco meno di due anni.
Gli alti e bassi del frontalierato hanno più di una conseguenza negativa per l'economia al di qua del confine. Nei momenti di espansione del ciclo economico, quando cioè anche da noi vi è maggiore necessità di ampliare la base produttiva, le imprese svizzere sottraggono forza lavoro alle nostre. Quando invece l'economia è stagnante, i nostri territori di confine si ritrovano ad avere tassi di disoccupazione preoccupanti. Si potrà osservare che, in un'ottica di bacino economico aperto agli scambi, come quello della cosiddetta Regione Insubrica, si realizza una ridistribuzione sostanzialmente omogenea dei redditi. Ma non si possono negare i problemi per le zone di confine italiane.
Gli accordi bilaterali, sottoscritti tra Unione Europea e Svizzera, finiscono infatti per privilegiare, almeno nel lungo periodo transitorio, soprattutto la Svizzera, in quanto rendono tra l'altro più fluido il mercato del lavoro in quel Paese. Senza ovviamente mettere in discussione quegli accordi - che, in quanto avvicinando la Svizzera all'Europa, non possono che essere guardati con favore - qualcuno ritiene che si possano correggere le distorsioni provocate dal frontalierato sia abbattendo gli oneri sociali per le imprese localizzate in prossimità del confine (meno contributi assicurativi dovrebbero consentire di aumentare le retribuzioni e scoraggiare in tal modo la propensione a cercare lavoro oltre-confine), sia rimettendo in discussione, quanto meno per l'entità degli oneri previdenziali versati dalle imprese svizzere sul lavoro frontaliero, gli accordi Italia-Svizzera sul regime sanitario e previdenziale.
E' un'ipotesi interessante ed è sicuramente il caso che i poteri pubblici coinvolti - dal governo, alla regione, agli enti locali - facciano la loro parte per ottenere un risultato molto importante per le nostre imprese, anche se non ci nascondiamo le difficoltà che tale ipotesi presenta sul piano della compatibilità con la normativa europea.
Perciò bisogna continuare a percorrere, pur senza disdegnare le scorciatoie, la strada maestra. Quella cioè che deve portare, come insistiamo da molto tempo, a restituire competitività alle nostre imprese - tutte le imprese - attraverso un alleggerimento strutturale del costo del lavoro e di quello degli altri fattori di produzione che dipendono non dal mercato ma dallo Stato. Soltanto creando un ambiente economico realmente competitivo potranno essere eliminate distorsioni come quelle evidenziate dalla corsa dei lavoratori in Svizzera. Il costo del lavoro nel nostro Paese deve essere ridotto.
La forbice tra costo del lavoro e retribuzione netta deve assottigliarsi.
Le imprese al di qua del confine devono poter gareggiare ad armi pari con quelle che stanno al di là anche per quanto riguarda il mercato del lavoro.
E poi, il frontalierato è un fenomeno sociale di rilievo, che coinvolge migliaia di lavoratori e di famiglie. Non deve diventare un mordi e fuggi.

Michele Graglia
Vicepresidente Unione Industriali

02/15/2001

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