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Tre sponde un lago

Sulle rive del Verbano si affacciano Lombardi, Piemontesi e Svizzeri. Un'apparente divisione che nasconde un'unità di tradizione. Un'unità storicamente rotta, dal punto di vista politico, prima nel 1513 (Invasione svizzera) e poi nel 1743 (Trattato di Worms), ma ancora ricercata dal punto di vista culturale, grazie al fermento di attività di appassionati, studiosi, enti e associazioni.

Scorcio del Lago Maggiore visto da Stresa
Carlo Alessandro Pisoni1513 - 1743. Solo due numeri, due date. Ma due date fondamentali per chi si appassiona alla millenaria storia delle genti di lago. Diranno poco, forse, agli abitanti della provincia di Varese, poco perfino alla maggior parte dei Verbanesi, ai frontalieri che corrono avanti e indietro, di qua e di là dei valichi e a quegli altri che al mattino gettano uno sguardo assonnato dal finestrino del treno che costeggia il Lago Maggiore, quando si recano a Milano.

LA ROTTURA DELL'UNITA'
Sono date lontane ma significative, che raccontano molto di due momenti in cui un'unità non fu più tale. Nel 1513, infatti, arrivò l'“onda lunga" dell'invasione svizzera, quella che era stata fermata nel 1487 a Crevoladossola dai ferri temprati delle lance borromee: questa volta nessuno riuscì a contenerla e i confederati dilagarono sino ad Angera. Poi l'onda si ritirò sino sopra a Luino, lasciandosi alle spalle le macerie dell'Arx Travalie, la rocca di Caldé. Il confine elvetico si assestò dove è ora. Noi restammo 'taliani, loro sguizzeri. Finì così l'unità, non senza perplessità e qualche amarezza (da entrambe le parti). Per due secoli non si parlò più di frammentare oltre i confini; il ducato era troppo assorto a farsi governare a turno da francesi, spagnoli, austrias... E tra una pestilenza e l'altra, tra una sgovernata e un cambio di regime, tutto restava immutato, di qua e di là del confine. I magnifici dodici signori reggevano d'Oltralpe i loro baliaggi ticinesi (che fino al 1803 non avrebbero conosciuto la dignità di dirsi Stato), e noialtri eravamo sempre sotto il governatore di Milano, pronti a trattenere il respiro per sentire che si pensava a Madrid o Vienna. E questo sia in Valtravaglia, sia in Ossola, con ammirevole coerenza.
Doveva arrivare il 1743, quando quella bella unità territoriale, che il bacino imbrifero del Lago Maggiore è da sempre, già violata dagli Svizzeri che si erano presi dall'alto lago sino ai monti (e le castella, dal triplice castello di Bellinzona allo splendido presidio visconteo di Mesocco), fu definitivamente compromessa. Maria Teresa d'Austria, che tanto di buono fece, ne mise insieme una davvero storta. Per una sistemazione a tavolino, freddamente calcolata, tirò una bella riga e si spartì con sua maestà Sarda il lago Maggiore. Sicché finì sotto i Savoia la sponda occidentale, che sempre era stata lombarda, viscontea e sforzesca per storia, tradizioni e cultura.
E proprio qui sta il guaio grosso. Passi la storia, ma è la cultura viva, quella di tutti i giorni, quella su cui si pone il focus, l'occhio di una comunità, che risente di più di una tale divisione. Dall'epoca di quella doppia frattura le genti del Verbano risentono di queste radici rescisse. Si sente palpabilissima nei Ticinesi la necessità di distinguersi dai confederati d'Oltralpe. Contemporaneamente è vivace la loro necessità di distanziarsi dalla Lombardia, dall'Italia, e pure di continuamente tornarvi, non solo per lo shopping del mercoledì luinese o del sabato. Un sentimento ambivalente di lasciarsi e ripigliarsi, di sentirsi altri e uguali, di fidarsi e isolarsi; un sentimento che ha similitudini dall'altra parte della frontiera, dove i Varesotti (e i Piemontesi) guardano con una certa sufficienza ai cugini rossocrociati, ma finiscono, sottosotto, per ammirarne la stabilità, l'ordine e il rigore.
Non è finita: oltre alla frattura tra Ticino e Lombardia, sussiste quella seconda frattura, tra la riva destra e sinistra del Verbano. Ne deprecava l'esistenza Giuseppe Antonio Ceretti, che non sbagliava individuando la necessità di sanarla almeno parzialmente nel pieno Novecento riunendo - nomi leziosi a parte - in una “provincia azzurra" le due sponde italiane delle tre verbanesi.

Il traghetto da Laveno verso VerbaniaUN'IDENTITA' DA RICOMPORRE
È indubbio che la cultura verbanese sia una: è sempre stata una, anche se poi si è spezzata. Tentativi di ricomporla e riunire quei frammenti ereditati dai secoli antichi in cui il Verbano non era trino, furono fatti, specie a inizio Novecento. La stessa madrelingua dialettale, che pure muore lentamente (specie nel Varesotto), ha unito il bacino in un unico abbraccio con leggere diverse inflessioni.
Innumerevoli dunque i tentativi di ricomporre l'identità. Tentativi nobilissimi di fare cultura, come la nascita del Museo del Paesaggio, voluto nel 1909 da menti elette quali quella di Antonio Massara, Renzo Boccardi, Sergio Ronchi, Giberto VII Borromeo Arese e altri, tra cui Febo Bottini, Francesco Melzi D'Eril, William B. Kaupe, Silvio Della Valle di Casanova, Marco De Marchi... Ma anche tentativi ben precedenti nei più svariati campi di applicazione. Ad esempio, le prime gare nautiche di cui fa menzione Vincenzo De Vit nella grande opera “Il lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee", che si tennero a Stresa. Caldeggiate nel 1858 da un pensatore del calibro di Ruggero Bonghi, segnarono l'inizio di una non mai terminata tradizione di cultura velica, nautica e cantieristica che si sviluppa tutt'oggi sulle tre sponde del Verbano. Le iniziative di Bonghi, dando l'avvio a manifestazioni a cavallo tra il culturale, lo sportivo e il ricreativo (la grande stagione della nascita delle attuali “Pro Loco" verbanesi ne è l'esempio), furono il naturale sviluppo del confronto tra locali e forestieri iniziatosi nel Seicento, durante le prime, barocche avvisaglie del “Grand Tour" verbanese. E se nel Settecento le colte descrizioni del Verbano fanno da ghirlanda alle ultime corografie approntate dal Vagliano e alle prime guide di viaggio, dove si comincia a parlare del Verbano e delle sue delizie, è nell'Ottocento che nasce la cultura del territorio. Questa porterà da un lato alla costruzione dei grandi tracciati stradali (la via del Sempione, la ferrovia Arona-Gravellona, la Novara-Pino...), dall'altro alla edificazione delle ville e dei parchi di cui va fiero il nostro lago e ancora al controllo delle selve e dei boschi.
“Pensiamo ai monti", auspicava l'ispettore forestale Carlo Fanchiotti nelle sue conferenze tra 1896 e 1904, caldeggiate dalla sezione verbanese del Club Alpino Italiano per favorire il giusto sfruttamento del patrimonio silvicolo, al contempo ripiantumando le pendici delle valli. Erano i tempi in cui da Ghiffa scriveva di storia e cultura di lago un ecclesiastico, don Giovanni Cavigioli; dopo che un marchese di origini napoletane, Silvio Della Valle di Casanova, finissimo scrittore e musicista, aveva dato forma ai sogni artistici propri e a quelli della moglie irlandese, Sophia Browne, nei giardini e nella villa di San Remigio, sulla cima della Castagnola di Pallanza; poco più sotto, un tedesco naturalizzatosi americano, William B. Kaupe, si era costruito un raffinato Eremitaggio riempiendolo di tesori d'arte raccolti in ogni dove in Italia; poco più in là Gian Della Quercia (nom-de-plume dell'inglese Edward Capel-Cure) scriveva d'arte e letteratura in ottimo italiano su riviste nostre.
Erano tempi in cui in sponda “Magra" (com'è chiamata - amabilmente e un poco ingiustamente - la sponda lombarda del Verbano) un Attilio Bricchi, storico e giornalista trapiantato a Milano, ma di origini germignaghesi, poteva fondare un giornale, intitolato “Sul Lago Maggiore", il cui manifesto programmatico era: “Far meglio conoscere il Lago Maggiore ai figli suoi, innamorarli delle sue bellezze naturali ed artistiche, evocare alle anime loro le memorie dei padri; illustrare a loro esempio le nobili figure degli uomini superiori che passarono tra noi, studiando, lavorando, beneficando" (un'impresa che oggi è l'orgoglioso vessillo di un gruppo di giovani che su Internet coltivano la stessa passione per il Verbano). Erano tempi in cui un Giulio Moroni, avvocato varesino, scrittore oriundo di Bosco Valtravaglia, appassionato conoscitore della propria terra, corrispondeva con i fondatori di una rivista destinata a viver solo quattro anni, ma a segnare indelebilmente la vita culturale del lago, “Verbania, rivista mensile illustrata del Lago Maggiore". Quella rivista, nata dalle idee di Antonio Massara e Raimondo Beverina, “sotto gli auspici della Pro Verbano e del Comitato Verbanese della 'Dante Alighieri'", si proponeva di additare a chiunque, indigeno o forestieri che fosse, l'armonia che intercorre tra natura, arte e storia verbanese. “Aiutar a ritrovar quest'armonia dovrebbe esser compito della Rivista". E così intorno a quelle pagine si riunirono i nomi della cultura verbanese, che da dove il Ticino si fa lago a dove ritorna fiume si affaccendarono a narrare la storia delle terre rivierasche e delle loro genti. Un esperimento che spianò la strada a tutta una serie di altre esperienze che sarebbero venute, in altra forma, con altre maggiori e minori entità ed estensioni geografiche verbanesi: associazioni, società storiche, gruppi di ricerca, magazzeni, sodalizi che oggi, cent'anni dopo, ognuno secondo il proprio sentire perseguono l'alto scopo culturale prefisso.

IL GRAN MANTO CULTURALE INSUBRICO
Nonostante i tentativi, in questo variegato paesaggio manca certamente un riconoscimento dell'unità d'identità culturale. È, una volta di più, un risultato della frattura nata dal 1513. Il gran manto culturale insubrico, che dovrebbe essere unico (certo non monocromo, ma almeno senza lacerazioni eclatanti) presenta zone per cui al contrario urgono cuciture forti. Progetti di grande respiro sono stati varati, ma forse non sono sempre noti alla gente comune. Qualche tentativo più umile è stato fatto, coinvolgendo, non solo enti ed istituzioni (come è giusto e tipico dell'InterReg) ma soprattutto persone, appassionati e studiosi, con, a volte, poca capacità di coordinarsi e fare squadra, ma al contempo grande determinazione. Occorre rimboccarsi le maniche e lavorare tutti assieme, soprattutto coinvolgendo i giovani, in cui suscitare passione, curiosità per la propria antica cultura: una cultura non stantìa, non muffa e noiosa, ma vivace, capace di esprimersi con i nuovi mezzi di comunicazione e insieme di sposarsi con la grande tradizione della carta stampata, delle conferenze, dei concerti, dei convegni.
Parafrasando e aggiornando quel che fu il manifesto programmatico di “Verbania" nel 1909, si sciolgono voti una volta ancora: l'intento di chi lavora a favore della cultura verbanese sia di ben operare “nel comune intento di promuovere il benessere generale della regione [...] sollevando gli animi oltre il tetto della casa, oltre il campanile del paese nativo, ad una altezza ove tutto il lago si dispiega sotto l'ardente carezza del sole". Pro Verbano, in modo dinamico, giovanile, passionale e appassionato, corale e unitario sulle tre sponde di un unico lago: sempre, soltanto e solamente Pro Verbano!

Per saperne di più sul Lago Maggiore
Enti culturali
Magazzeno Storico Verbanese: enciclopedia del Verbano, fondata nel 2001 (quasi 13.000 schede: biografie, bibliografia, monografie, iconografia, testi, monumenti, letteratura verbanese... e molte curiosità).
Società dei Verbanisti: la Rivista Storica del Lago Maggiore: 25 anni,
25 volumi: indici sommari ed analitici.
Circolo culturale Gian Vincenzo Omodei Zorini
Parchi e riserve naturali
Parco Nazionale della Valgrande
Fondazione Bolle di Magadino
Parco del Ticino
Giardino Alpinia
Turismo
Ente Cantonale del Turismo
Villa Taranto
Isole di Brissago
Funivie del Lago Maggiore
Borromeo Turismo

05/05/2005

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