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Incognite nel nuovo anno delle relazioni industriali

Si apre, dopo un anno di grandi tensioni e incertezze, una nuova stagione per le relazioni industriali con una grande incongnita dovuta alle divisioni all'interno del movimento sindacale.

In un quadro economico, interno ed internazionale, di forte incertezza le relazioni industriali si preparano ad affrontare una nuova stagione estremamente complessa. Non che l'ultimo anno sia stato "pacifico", al contrario la firma separata sul Patto per l'Italia aveva segnato - nell'estate scorsa - il livello più alto delle lacerazioni all'interno del sindacato confederale. Gli ultimi mesi, soprattutto per effetto della crisi Fiat, avevano riportato in secondo piano le spaccature. Inutile nasconderselo: aver trovato a dicembre un atteggiamento comune (che poi si è tradotto in un "no" a Governo e azienda) sugli esuberi della casa automobilistica torinese non è stato sufficiente a rilanciare la prospettiva unitaria tra i confederali. Nonostante le intenzioni proclamate dai tre leader sindacali (Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti) il sindacato italiano continua a essere diviso perché la sensibilità è troppo differente su vari temi, basti pensare a quello, decisivo, che riguarda le regole della rappresentanza e della rappresentatività.
Specchio fedele della situazione attuale è la stagione contrattuale alle porte e, in particolare, il rinnovo del contratto dei metalmeccanici in uno scenario che, proprio nei primi giorni di gennaio, ha alimentato i rischi di pericolose rincorse salariali. Un appuntamento che torna a caricarsi di una forte carica simbolica.
La vertenza del contratto metalmeccanici rischia di diventare il momento clou di una stagione sindacale che sembra essere di transizione tra due epoche diverse. Innanzitutto siamo di fronte a un fatto insolito: per la prima volta - dopo 40 anni - Fim, Fiom e Uilm si presentano al tavolo delle trattative con tre piattaforme separate e con una carica di veleni e accuse reciproche che hanno schierato da una parte i meccanici della Cgil e dall'altra quelli di Cisl e Uil. E non è soltanto una "coda" dell'ultimo accordo firmato da tutti ad eccezione della Fiom (Cgil). Adesso lo scenario si è caricato di ulteriori elementi polemici. Le tre sigle sono d'accordo a bocciare i tassi d'inflazione programmata per il 2003 e 2004 contenuti nel Dpef del Governo, ma le valutazioni sono molto differenti: e così la Fiom rivendica un aumento di 135 euro, intorno all'8,5% nel biennio, mentre Fim (Cisl) e Uilm (Uil) si fermano rispettivamente a 87 e 92 euro. L'aspetto nuovo è che la Fiom ritiene messa in discussione la validità dell'accordo del '93 e quindi della politica dei redditi: il risultato è che si sente svincolata e quindi libera di muoversi. Fim e Uilm, invece, pur riconoscendo la necessità di aggiornare un Protocollo oramai vecchio di 10 anni, sembrano, almeno formalmente, intenzionate a rispettarlo.
La preparazione delle piattaforma è stata accompagnata da duri scambi di colpi tra i metalmeccanici perché in gioco non è solo una questione salariale ma la diversa visione della democrazia sindacale con la Fiom che insiste sul ricorso al referendum e le altre due sigle sostenitrici della democrazia delegata. Già prima di cominciare a discutere la Fim è stata chiara: "Siamo pronti a firmare anche da soli" e Angeletti ha accusato la Fiom di aver elaborato una piattaforma "per fare gli scioperi e non il contratto".
Rischio di effetto domino sulle altre trattative? Considerate le prossime scadenze e i settori interessati ai rinnovi (dal turismo al commercio, dagli assicurativi al pubblico impiego) tutto lascia prevedere che i metalmeccanici resteranno un'anomalia considerata anche la posizione Fiom all'interno della stessa Cgil. Non bisogna, infatti, dimenticare che molti suoi esponenti (a cominciare dall'attuale leader Gianni Rinaldini al precedente Claudio Sabattini) sono impegnati sul fronte politico per far decollare la formazione "Libertà & lavoro" che si colloca alla sinistra dei Ds. Restano, però, le preoccupazioni che possano prevalere le spinte al rialzo salariale proprio in coincidenza con una possibile (ma timida) ripresa economica e produttiva. D'altra parte il tema salariale riporta d'attualità quello della riforma degli attuali assetti e il diverso peso da attribuire alla contrattazione nazionale e a quella decentrata e aziendale.
Anche su questo versante il sindacato viaggia in ordine sparso con tutte le conseguenze che queste lacerazioni possono comportare in una fase così complessa. Gli ultimi dati dell'Istat - relativi all'ottobre scorso - hanno evidenziato come il lavoro sia in contro tendenza rispetto a molti altri indicatori ancora negativi; anche nel 2002 è continuata la corsa ai nuovi posti con 234mila occupati in più. Questo, però, non deve trarre in inganno perché a partire dall'autunno sono emerse numerose situazioni di crisi: a soffrire sono pure aree fino a pochi mesi fa considerate a prova di recessione, come quella dell'high-tech e dell'informatica. Aziende e sindacati hanno superato senza traumi (come nel caso della Banca Intesa) i primi casi di vera emergenza del credito avviato a una fase di profonda ristrutturazione. Ma anche altri settori (dalle telecomunicazioni ai trasporti) sono interessati a riassetti organizzativi.
Finora il sindacato ha saputo mantenere una sostanziale unità d'azione nella gestione delle emergenze occupazionali. Ma si tratta, molto spesso, di un equilibrio precario che risente della situazione di aspra competizione tra Cgil, da una parte, e Cisl e Uil dall'altra. E se in Lombardia aziende e sindacati hanno saputo superare le spigolosità "nazionali" e affrontare con pragmatismo i diversi problemi, altrove il dialogo sembra interrotto anche dove - per esempio in Piemonte e in Emilia Romagna - la concertazione era largamente praticata.
Le spaccature tra i metalmeccanici, in vista della stagione contrattuale, rischiano quindi di avvelenare il clima e le relazioni tra le parti rendendo più difficile la possibilità di intercettare i segnali di ripresa che potrebbero manifestarsi nei prossimi mesi.
Nel frattempo, il ministro del lavoro Maroni ha iniziato il confronto con parti sociali e forze politiche per cercare di giungere ad una proposta condivisa di riforma del sistema previdenziale. Uno scoglio difficile, che deve essere tuttavia affrontato e superato se si vuole approdare ad un modello di welfare in grado di continuare a svolgere la propria funzione anche per le generazioni future.

01/16/2003

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