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Rilancio dell'economia cosa fanno gli altri

Le esperienze con cui confrontarsi perchè il Sistema Italia non resti indietro lungo la via dello sviluppo

Non sempre dati e statistiche confermano l'opinione comune, che spesso rischia di gettare una luce negativa su situazioni che non lo sono. Il parere di imprenditori e cittadini sulla situazione del nostro paese è che la politica da molti anni freni, o meglio non promuova, l'economia. In Italia non si fa altro che invocare riforme e nuove misure per snellire la burocrazia e incentivare lo sviluppo: la percezione è quella di una certa lentezza, farraginosità che tende a soffocare l'innata vocazione imprenditoriale. In questo caso, purtroppo, i numeri confermano il sentire comune. Per quanto riguarda la produzione, gli ultimi rilievi Istat, relativi a luglio, parlano di una flessione dello 0,4% rispetto al mese precedente, in contrasto con il resto della zona Euro, dove si ha una crescita media dello 0,6% (3,7% annuo).
Illuminante, sullo stato di salute del Belpaese, è la classifica della Banca Mondiale che lo colloca al 53esimo posto su 178 economie prese in esame. L'Italia è salita di 30 posizioni quest'anno: tuttavia rimane il penultimo dei Paesi Ocse, davanti alla Grecia. Ma l'aspetto più interessante è che la classifica si basa sulla capacità di fare impresa e considera alcuni parametri che confermano le opinioni di cui parlavamo: si comparano vincoli, obblighi e regole all'iniziativa economica, oneri pratici che frenano l'organizzazione del lavoro e, quindi, la produttività. Evidenziando come siano proprio le procedure a creare ostacoli: ad esempio, l'apertura di un'azienda da noi è un processo lungo che prevede molte autorizzazioni e costose licenze. Per non parlare delle tasse gravanti sulle imprese, l'incapacità di far rispettare i contratti in tempi ragionevoli, del costo del lavoro nel settore industriale cresciuto nel secondo trimestre 2007 ben oltre la media Ocse e diminuito, invece, in Austria, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Portogallo e Spagna. E, non ultimo, del fatto che in Italia il costo dell'energia elettrica e del gas sia tra i più alti in Europa.
Una situazione che fa riflettere, soprattutto se confrontata con quella di paesi che presentano una vitalità sorprendente, una voglia di fare che può essere d'esempio.

COSI' FAN TUTTI (O QUASI)
Si tratta di fenomeni eclatanti, come quello francese, dove, a dispetto di una tradizione piuttosto conservatrice, fervono le nuove proposte, o altri meno noti, come quello del Belgio, dove la capacità di superare le divisioni interne ha portato a riforme fondamentali. In giro per l'Europa, in ogni caso, si registra un fervore di iniziative per accrescere la competitività dei sistemi-paese.
Nicolas SarkozyDa Parigi arrivano di continuo notizie sulla ricetta Sarkozy. La vera innovazione della presidenza è quella di aver riunito, lo scorso ottobre, intorno ad un tavolo presieduto da Attali, esperti da diversi paesi per progettare il rilancio dell'economia nazionale. Tra questi, i “nostri” Bassanini - noto per le omonime leggi di semplificazione amministrativa del 2001, non ancora completamente attuate qui da noi! - e Monti. Chiaro l'intento programmatico di superare le divergenze d'opinione per il fine comune, spaziando dal rilancio del potere d'acquisto, alla modernizzazione del commercio, alle liberalizzazioni, alla riforma del mercato degli alloggi. I risultati andranno verificati in fieri e non mancano le polemiche che considerano troppo ambiziose le aspettative, o le proteste da parte di chi oggi vanta privilegi incompatibili con la volontà di riforma. Il primo passo organizzativo è comunque stato estremamente rapido. Per ora, tra l'altro, un punto a favore del governo, è sicuramente l'esenzione da tasse e contributi sugli straordinari, a vantaggio di datori e lavoratori e spinta per la produzione. O, per citare un altro esempio, si prevede l'innalzamento del credito d'imposta per la ricerca.
L'aria di novità che si respira Oltralpe potrebbe essere un pungolo per noi. Anche il presidente della Confindustria, Montezemolo, ha sottolineato l'importanza di un dialogo con la Francia, evidenziando la capacità del neo presidente di ridare passione alla politica, superando le divisioni tra destra e sinistra, e accelerando il momento decisionale. Chissà che non si possa prendere una boccata della benefica ventata innovativa anche nel nostro paese, dove, a volte, la capacità di riforma è ostacolata dal dibattito ideologico.
Anche da Bruxelles arriva un insegnamento concreto. Se 15 anni fa il Belgio aveva un debito pubblico da capogiro, oggi ci distanzia di misura. La cura? Il superamento dei localismi a favore di un'autorità centrale, il taglio alla spesa pubblica, la riduzione delle imposte che gravano sulle imprese e le azioni per attrarre investimenti esteri. Risultato: il pareggio di bilancio.
Angela MerkelPassiamo alla Germania. Quest'anno, per la prima volta dalla caduta del muro, il bilancio dovrebbe chiudere in pareggio. O almeno così sostiene la cancelliera Merkel. Comunque vada, la riduzione del deficit porta risparmi, cui attingere per gli investimenti pubblici. La disoccupazione, poi, una sorta di problema atavico per il paese, ha cominciato a scendere, segnando a dicembre 2006 un aumento di occupati oltre il doppio rispetto alle aspettative. E, soprattutto, per il 2008 si annuncia una riduzione del carico fiscale delle imprese, che lascia all'Italia la triste pole position tra i paesi europei più “tartassatori”. In soldoni la pressione fiscale, che da noi si aggira sul 35%, in Germania si ferma al 29,8%. Interessante è la capacità del governo di ottenere il consenso e di dare il via alle riforme (anche quella pensionistica in vigore dal 2011) nonostante le frammentazioni.
In Italia si fa invece sempre troppo poco e se l'imprenditore italiano trova difficoltà in patria, all'estero lo attendono al contrario maggiori attrattive e non solo nei paesi più “tradizionali” ma, soprattutto, in quelli più interessati ad attrarre investimenti esteri per crescere. In Croazia, ad esempio, lo aspetterebbero oltre al basso costo del lavoro, pacchetti di leggi ad hoc per le pmi, agevolazioni per creare società locali e una tassazione sulle imprese che non arrriva al 20%. In Marocco, invece, è previsto, tra l'altro, che le nuove aziende che si affacciano all'export, lo facciano senza alcuna tassazione sui prodotti per i primi cinque anni.
Di quali altre misure avrebbe bisogno il Sistema Italia? Da casa nostra - dal nostro territorio in particolare - una risposta senza equivoci: di infrastrutture. Anche su questo, dovremmo imparare dagli altri.
Josè Luis Rodrìguez ZapateroVedi la Spagna. Un traino all'economia è proprio l'investimento in quest'ambito. Il piano del governo prevede una spesa di 249 miliardi di euro nel 2005-2020, per progetti che coinvolgano anche il resto d'Europa. Facilmente intuibili i benefici per la competitvità delle imprese. Dal confronto l'Italia esce sconfitta, non solo in termini di gestione delle risorse, ma anche in tempistica e dunque in risultato finale. Per quanto riguarda la rete autostradale, negli ultimi 10 anni, la nostra ha registrato un incremento di appena il 4,8%, la Spagna + 19,1% (...e il Portogallo un forte recupero: + 142, 2%!). Un esempio, relativamente “piccolo”, ma significativo. Nel 2001 vengono progettate le nuove linea 12 della metro di Madrid e la C di Roma. La prima, lunga quasi il doppio della seconda, è operativa da due anni e i costi di costruzione per chilometro sono un quarto dei nostri. Si commenta da sé. Per non parlare, poi, del contrasto Fiumicino-Malpensa costantemente all'ordine del giorno, mortificante per entrambi: in Spagna gli scali di Madrid e Barcellona convivono e... crescono. Oltre a quest'eccellenza, vale la pena di ricordare che la Spagna ha raggiunto un'economia particolarmente dinamica: basti pensare che il 60% dei nuovi posti di lavoro in Europa nel 2006, sono stati creati proprio nella nazione di Zapatero.

INTERNAZIONALIZZAZIONE: ADESSO FACCIAMO BENCHMARK
Un tema imprescindibile per le imprese è l'internazionalizzazione. Anche in quest'ambito un confronto con gli altri può evidenziare i nostri limiti.
A questo proposito, l'Unione Industriali ha presentato, lo scorso ottobre, un'analisi comparativa all'interno di un convegno del Geie “L'Europe des Entreprises” (il raggruppamento europeo che lega le associazioni industriali di Parigi Est, Hannover e Santander, oltre a Varese, che quest'anno è al suo turno di presidenza).
Lo studio si prefigge di evidenziare bisogni e strumenti, messi in atto dai singoli paesi d'origine, a favore delle imprese nei vari step del processo di internazionalizzazione. A confronto le soluzioni di Francia, Italia, Germania e Spagna. Il risultato non tende ad individuare un “migliore” ed un “peggiore”, quanto piuttosto a diffondere reciproci stimoli, evidenziando pregi e difetti dei singoli sistemi.
Si parte dalla condivisione di best practices, come il pacchetto francese Lagarde, un insieme di iniziative del governo per accompagnare le pmi ai mercati internazionali. Azioni concrete, informative e finanziarie, legate da un comune denominatore: la volontà di diffondere tra i giovani la “cultura” dell'internazionalizzazione e di formare così una nuova generazione di esperti, attraverso un lungimirante investimento di lungo periodo. Per questo spiccano misure dedicate alle neoassunzioni, con agevolazioni per le imprese e incentivi a favore delle esperienze dirette all'estero. Ancor più interessante, se si pensa che la Francia è relativamente neofita in questo campo.
La Germania, invece, riserva grande attenzione al supporto informativo e agevola il legame tra imprese ed organizzazioni specializzate. La Spagna vanta un programma finanziario volto a promuovere il primo contatto con i mercati esteri, che arriva a coprire persino le spese di viaggio.
Per quanto riguarda l'Italia, i plus non nascondono i nostri limiti. Da noi si dà grande importanza allo strumento agevolativo per fornire ad esempio un supporto nelle fasi legate alla realizzazione di investimenti produttivi e commerciali all'estero. Tuttavia il limite è quello già sottolineato per il contesto economico generale e consiste nella consueta difficoltà burocratica di dare l'avvio a nuove attività, nella tassazione, nella necessità di rendere più flessibile la normativa dei contratti di lavoro. Anche le stesse agevolazioni, si passi il gioco di parole, non sono accessibili “agevolmente”. I tempi biblici, le difficoltà di accesso e la mancanza di continuità nel tempo nell'operatività delle agevolazioni, dovuta alla precaria situazione della finanza pubblica, costituiscono i limiti dei nostri interventi.
Il confronto tra il nostro e gli altri sistemi, dunque, evidenzia un quadro di luci ed ombre ben definito. In tema di internazionalizzazione, di fronte ad altri limiti, in positivo il nostro è il paese che più degli altri sostiene all'estero la propria immagine, il Made in Italy.
Né è possibile pensare che la capacità di introdurre riforme, abbia annullato i problemi di Germania o Francia: di sicuro, quello che oggi chiamiamo benchmarking dovrebbe servire da stimolo alla politica italiana - di qualsiasi colore - cosicché, superati i limiti acquisiti, si dia un nuovo impulso concreto alle riforme. Perché, per citare Montezemolo, non si rischi di “pagare tra qualche anno, le non scelte di oggi”.

11/21/2007

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