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Le lunghe liste di attesa al primo posto nelle lamentele

Per l'Organizzazione Mondiale della Sanità, l'Italia è al secondo posto dopo la Francia. Eppure...

I dati sulla sanità in provincia di Varese indicano che, se non ci troviamo proprio in un'sola felice, siamo quanto meno attestati sulle migliori posizioni al confronto con la media nazionale. E se consideriamo che il sistema sanitario italiano viene giudicato uno dei migliori al mondo - per l'Organizzazione Mondiale della Sanità risulta in seconda posizione, dietro la Francia - allora dobbiamo proprio ricrederci su uno dei tanti luoghi comuni che circolano.
La sanità, a dispetto di quanto abbiamo spesso creduto, è una delle punte di diamante del Bel Paese. Ve n'eravate accorti?
Più d'uno risponde affermativamente, a giudicare almeno dalle "lettere al Direttore"che vengono inviate ai quotidiani da assistiti soddisfatti. Ma sembrano di più gli scontenti, se si fa la conta, per esempio, dei più numerosi servizi televisivi sulla malasanità. Del resto, un'indagine Eurostat del settembre 2000 evidenzia che i cittadini soddisfatti o molto soddisfatti sono meno del 15% della popolazione, mentre quelli insoddisfatti oltrepassano il 50%.
E allora? E' verosimile pensare che, come in altri campi, ci si trovi a che fare con una situazione a macchia di leopardo, nella quale sono presenti punte di eccellenza e punte contrarie. Senza differenziazioni territoriali per le punte di eccellenza, ma probabilmente con una situazione generale di migliore qualità al Nord e di minore qualità al Sud.
Che cosa viene percepito come elemento peggiore di questa sanità? Il Rapporto annuale del Censis del 1999 ha registrato che, per l'85% degli intervistati, la lunghezza delle liste di attesa pesa molto o abbastanza nel funzionamento del servizio sanitario; per il 78% a pesare è l'iniqua distribuzione territoriale dell'offerta sanitaria, mentre il 60% sottolinea il peso dell'accesso privilegiato alle cure tramite relazioni di amicizia.
A ben guardare, però, la domanda è mal posta. Ci si dovrebbe infatti chiedere non se il servizio sanitario è tout court di qualità, ma se lo sia e quanto lo sia in relazione al suo costo. Se, cioè, quanto viene prelevato dalle tasche dei contribuenti sia ripagato in misura adeguata con i servizi resi.
Un significativo indicatore della qualità è la spesa che oggi si deve affrontare per il servizio pubblico: dal 1986 al 1996 essa è passata dal 1,7% al 2,3% del PIL, è ancora in crescita e viaggia su cifre ragguardevoli (oltre 150.000 miliardi). Il punto è che i cittadini non hanno la percezione di questo onere: infatti, la spesa sanitaria è sostenuta in Italia dalle imprese, dapprima con i contributi INAM, ora con l'IRAP, l'imposta regionale sulle attività produttive. Ciò determina una pericolosa tendenza verso la deresponsabilizzazione. Quando i cittadini non pagano di tasca propria, c'è evidentemente il rischio che, per far quadrare i conti, si scelga di ricorrere all'inasprimento di quel tributo anziché razionalizzare le spese. Con buona pace per la competitività delle imprese.
Ci sono margini per ridurre la spesa sanitaria senza compromettere la qualità? Sembrerebbe di sì, se solo si considera che le case di cura private accreditate riescono, ottenendo dalle regioni lo stesso rimborso dovuto agli ospedali pubblici per ogni giorno di degenza, a realizzare degli utili, pur sostenendo in proprio gli investimenti nelle costose apparecchiature medicali, mentre così non è per le strutture pubbliche.
Questa semplice considerazione - ancorché attenuata dalla circostanza che gli ospedali pubblici sono tenuti ad offrire servizi di per sé non remunerativi, ma essenziali per la salute pubblica - resta pur sempre un'indicazione importante che deve far riflettere sull'opportunità di spingere ulteriormente l'acceleratore sul processo di aziendalizzazione delle strutture pubbliche, giungendo anche in questo settore a realizzare una privatizzazione: aprendo cioè gli ospedali pubblici all'ingresso di capitale privato e permeandone sempre più la gestione di criteri manageriali.
Invece, gli ultimi atti della riforma sanitaria sono stati ispirati da un'ulteriore "pubblicizzazione" del sistema sanitario. Lo Stato fa le regole, distribuisce le risorse, gestisce il servizio acquistando le prestazioni alle tariffe da lui stesso stabilite, controlla se stesso.
L'obiettivo deve essere invece un sistema sanitario nuovo che, pur mantenendo gli obiettivi solidaristici e di universalismo (cioè tutti i cittadini devono poter usufruire di una copertura sanitaria obbligatoria), sia più aperto, efficiente, di qualità: la sanità, da spesa pubblica da tagliare, deve diventare risorsa del Paese in termini di sviluppo, occupazione, tecnologia.

02/15/2001

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