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Le trasformazioni del mercato del lavoro

Una ricerca sul mercato del lavoro in provincia di Varese condotta con taglio non solo economico-statistico ma anche sociologico. Un'iniziativa dell'Unione Industriali e dei sindacati, con il contributo della Camera di Commercio, realizzata da ricercatori universitari con l'obiettivo di giungere ad una base di conoscenza condivisa, da cui partire per progettare azioni a sostegno dell'economia locale e dell'occupazione. E un modello per un monitoraggio in continuo.

In base alle tendenze più recenti, quali sono le prospettive del mercato del lavoro in provincia di Varese? Come leggere i dati relativi al mercato del lavoro, non solo in un'ottica di breve periodo, ma anche in una visione di lungo periodo? Quali sono i punti di forza e i punti di debolezza del sistema produttivo in provincia di Varese? Quali le sfide della trasformazione?
Questi sono gli interrogativi a cui ha cercato di rispondere la ricerca appena conclusa e che ha visto la collaborazione di docenti e ricercatori di diverse università lombarde.
L'obiettivo dello studio era duplice: da un lato infatti veniva a rispondere ad una esigenza di conoscere a fondo e di interpretare l'evoluzione della realtà economico-produttiva del territorio e dall'altro voleva fornire uno strumento di analisi e di monitoraggio del mercato del lavoro locale usufruibile in futuro.

  • Riguardo al primo obiettivo, la ricerca ha svolto un'analisi molto dettagliata del sistema produttivo della provincia di Varese, attraverso uno studio quanti-qualitativo degli andamenti e delle trasformazioni riscontrabili dai primi anni '90 ad oggi, con un tentativo di previsione di possibili scenari futuri ipotizzabili. A ciò è stato affiancato uno studio approfondito della struttura e degli andamenti del mercato del lavoro del territorio, di natura quantitativa, cui è seguita una lettura sociologica che fornisse delle chiavi di interpretazione anche, e soprattutto, in chiave prospettica.
  • Riguardo al secondo obiettivo, si è messo in piedi, attraverso la creazione di una banca dati e di un software ad hoc, un sistema di monitoraggio costituito da oltre 1000 indicatori che, divisi in 9 sezioni, fornissero una fotografia dettagliata del mercato del lavoro dell'area, e che permettesse di continuare a seguire le performances future.
Quali sono state le principali indicazioni emerse da questa ricerca? Consideriamo i diversi aspetti in cui essa è stata articolata.
L'analisi del sistema produttivo della provincia di Varese, curata da Gianni Amisano ed Enrico Marelli dell'Università di Brescia, ha ripercorso, a partire dagli inizi degli anni '90, le tendenze delle attività produttive, disaggregate a livello settoriale e studiate in termini di performances comparative rispetto al contesto regionale.
Riguardo al decennio 1991-2001, si evidenzia una sostanziale tenuta del sistema produttivo, con una crescita delle unità locali e degli addetti, che però ha visto una ricomposizione tra i diversi settori produttivi, dando luogo ad un ridimensionamento del settore industriale a favore del terziario. Ciò nonostante, la provincia di Varese ancora agli inizi degli anni 2000 aveva un settore industriale di considerevole rilevanza, mantenendosi tra le prime 10 province italiane in termini di incidenza di numero di addetti nell'industria. Il processo di terziarizzazione dell'economia varesina sembra essere stato indubbiamente in parte "fisiologico" e spiegato largamente dalla riorganizzazione interna al sistema industriale, che ha portato all'esternalizzazione di alcune rilevanti funzioni prima svolte all'interno delle imprese e in parte, com'è noto, è stato dovuto all'avvio dell'hub di Malpensa, che ha pesato enormemente sulla crescita occupazionale del settore dei servizi.
Gli andamenti più recenti hanno consolidato le tendenze degli anni '90, con un ridimensionamento di quasi tutti i settori industriali e particolarmente del tessile e del metalmeccanico e con crescenti difficoltà, soprattutto da parte delle microimprese e dell'ambito della subfornitura.
Come leggere questi dati? Dalla ricerca emerge una interpretazione decisamente non pessimistica. Il ridimensionamento del settore industriale, che ha portato anche una contrazione consistente dell'occupazione in tale ambito, è infatti riconducibile ad una crescita fisiologica propria di un qualsiasi contesto ad antica industrializzazione che ha portato a fenomeni, come si accennava, di outsourcing e di ristrutturazioni e riorganizzazioni interne alle imprese volte a migliore la qualità delle produzioni. Inoltre la caratterizzazione dell'industria varesina, che si distingue per la presenza di una pluralità di distretti industriali sul territorio, spiega citando la ricerca, "un progressivo allontanamento dalle industrie mature ed un rafforzamento di alcune nicchie produttive" tecnologicamente avanzate. Tale configurazione sembra essere avvalorata dalle indicazioni emergenti dall'analisi dell'andamento del valore aggiunto e della produttività in provincia di Varese, anche in rapporto alle altre province lombarde. Considerando il triennio 2001-2003, il valore aggiunto in provincia di Varese è cresciuto ad un tasso medio annuo del 4,1%, maggiore rispetto all'1,6% della provincia di Milano e al 3,1% delle altre province lombarde.
Come ha risposto il mercato del lavoro a simili tendenze ed evoluzioni del sistema produttivo? Questa parte della ricerca, coordinata da Daniela Feliziani e da Manuela Samek Lodovici, docenti presso l'Università Carlo Cattaneo-LIUC, ha esaminato pressoché lo stesso arco temporale dell'analisi precedente.
Viene chiaramente alla luce un incremento dell'occupazione nel decennio 1993-2003, maggiore anche alla media lombarda, anche se più bassa rispetto agli obiettivi fissati dal Consiglio Europeo di Lisbona nel 2000. Le indicazioni che emergono dall'analisi dei dati sul mercato del lavoro mostrano, coerentemente con quanto emerso precedentemente, la permanenza di una forte caratterizzazione manifatturiera della provincia, nonostante una riduzione del peso sull'occupazione totale da un valore pari al 48% nel 1993 al 44% nel 2003. L'incidenza del terziario aumenta significativamente, anche se rimane inferiore alla media regionale e si è mediamente innalzato il livello di istruzione degli occupati.
Inoltre, è stato riscontrato un notevole incremento del peso del lavoro atipico, per il quale però si riscontra una minore involontarietà rispetto al dato medio regionale: per i contratti a causa mista e di validità temporanea abbiamo un 7,8% contro il 6,7% regionale; per il part-time si riscontra un 10% contro il 9,4% regionale; anche il lavoro parasubordinato è cresciuto di più che a livello regionale ed è più femminilizzato.
L'analisi si è anche rivolta al fenomeno dell'immigrazione, meno accentuato in provincia di Varese (che risulta essere la quarta provincia lombarda, con un valore del 3,1% sulla popolazione in età lavorativa), anche se in forte crescita e con connotati piuttosto specifici. C'è infatti una più elevata presenza di cittadini comunitari rispetto alle altre province lombarde e una crescente femminilizzazione dei flussi migratori.
Andando a considerare la disoccupazione, dalla ricerca emerge per il decennio considerato una tendenziale riduzione che riguarda anche la disoccupazione giovanile (al di sotto dei 29 anni). Tuttavia, dall'analisi quantitativa si riscontra un aumento della disoccupazione sia di coloro che sono in possesso di diploma o di laurea sia di coloro che hanno la licenza elementare o la licenza media, nonchè delle donne, con un gender gap (con cui si intendono le differenze legate al genere uomo/donna) che tende ad incrementarsi.
Date queste indicazioni di massima come spiegare il mismatch, vale a dire il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro in provincia di Varese? Quali i vincoli tuttora presenti nel sistema?
La ricerca ha svolto un'analisi delle cause del mismatch, sottolineando come, anche a differenza del contesto regionale, le figure professionali tuttora maggiormente richieste dalle imprese locali riguardano gli operai specializzati e altre figure legate al sistema industriale. Tali esigenze dal lato della domanda (e desumibili anche dall'indagine Excelsior 2004) sembrano non essere in linea con le scelte riguardanti l'offerta di lavoro, poiché il livello di istruzione della popolazione continua ad aumentare (pur posizionandosi al di sotto della media regionale), con un conseguente incremento dell'incidenza delle persone con qualifiche professionali o diploma di maturità e dei laureati. Da ciò deriva la difficoltà di reperimento di alcune figure, anche tra gli immigrati.
Se quindi la disoccupazione tuttora esistente può essere spiegata da scelte formative divergenti rispetto alle esigenze del sistema produttivo locale, la domanda spontanea è: esistono dei bacini attivabili, si può parlare di alcuni lavoratori che, scoraggiati, non cercano più neanche un proprio posizionamento nel mercato del lavoro? La ricerca sembra dare una risposta chiara. Dal quadro riassuntivo si desume che la forza di lavoro attivabile (calcolata pari al 7,9% delle non forze di lavoro) è concentrata prevalentemente nella fascia intermedia tra i 30 e i 49 anni, è caratterizzata da un basso livello di istruzione ed è prevalentemente femminile. Da qui si apre tutta una serie di ipotesi e di spunti di riflessione in merito alle politiche del lavoro e all'opportunità di agire attivamente su alcuni bacini occupazionali.
Proprio questi ultimi e sulle connotazioni di fondo del sistema produttivo varesino si è concentrata l'ultima parte della ricerca, curata da Marino Regini e Renata Semenza dell'Università Statale di Milano, con un chiave di lettura sociologica.
In particolare, oltre a ribadire l'opportunità dell'attivazione e della formazione di alcuni bacini potenziali (donne, anziani "giovani" e immigrati), i sociologi si sono concentrati sui punti di forza e di rischio di sistemi locali a industrializzazione diffusa e matura come la Provincia di Varese, ponendo il problema dell'opportunità o meno di una sempre più spiccata emancipazione rispetto a Milano e al Ticino, ed evidenziando già la presenza di aree di eccellenza nella ricerca, nei trasporti, nella formazione terziaria. La creazione di un grado di maggiore fiducia interno al sistema sembra essere la via per poter accettare la sfida del cambiamento.
D'altro canto, cruciale sembra essere il rapporto scuola-impresa. La tendenza verso l'innalzamento del livello di istruzione delle giovani generazioni e il contemporaneo invecchiamento tendenziale della popolazione, portano con sé da un lato il rischio di una sempre maggiore carenza di figure tecniche o di una sovraqualificazione e dall'altro di un rafforzamento della mobilità dei più istruiti verso altre aree territoriali. Tali considerazioni sembrano avvalorate dai risultati di un'indagine (che si riporta nella ricerca) presso alcuni giovani iscritti all'ultimo anno della scuola secondaria, che evidenzia una sempre maggiore propensione a proseguire negli studi, ma anche una tendenza ad orientarsi presso gli atenei milanesi, con una diffusa inquietudine riguardo al successivo collocamento del mercato del lavoro. Ma proprio in questi giovani, sempre più qualificati, si riscontra un asset decisivo per affrontare la sfida di una innovazione sempre più radicale di cui un sistema industriale quale quello di Varese necessita.
E ciò è quanto permea da tutta la ricerca: la provincia si trova di fronte alla sfida della trasformazione e possiede tutte le carte per affrontarla, purché sfrutti le proprie potenzialità, vale a dire tutta una serie di vantaggi localizzativi, la presenza di settori di nicchia, la sempre maggiore apertura ai mercati internazionali e soprattutto generi un forte grado di coesione interna.

06/17/2005

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