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Una riforma in codice

Il governo ha dato il via libera nel marzo scorso al Codice delle Autonomie. Si tratta di un disegno di legge delega che, ottenuto il parere favorevole da parte di regioni, province ed enti locali, inizia ora l’iter di approvazione parlamentare. Obiettivi fondamentali del provvedimento sono la ridefinizione delle funzioni fondamentali degli enti locali per semplificare, ridurre i costi e consentire il controllo da parte dei cittadini. In altri termini: la riduzione o la razionalizzazione dei livelli di governo, mai l’aumento.

Chiediamo al ministro per gli Affari regionali, Linda Lanzillotta, qual è la portata di questa riforma.
“Si definisce chi fa cosa, per aumentare l’efficienza e ridurre i costi. Quando la riforma sarà attuata, ogni ente avrà compiti precisi e non sovrapponibili. Non ci saranno più due enti che fanno la stessa cosa. I cittadini avranno il vantaggio di parlare con un solo interlocutore, che sarà integralmente responsabile del servizio da fornire”.
Oggi i compiti sono suddivisi tra comuni, province, regioni, comunità montane...
“Abbiamo garantito che i comuni, anche se di piccole dimensioni, mantengano il loro forte elemento di identità civica, ma che - quando sono troppo piccoli per essere sempre efficienti - debbano gestire alcuni servizi in forma associata. Al raggiungimento di un ambito ottimale per l’esercizio di servizi e funzioni, gli enti locali in grado di conseguire avanzi di bilancio potranno acquisire funzioni aggiuntive di carattere culturale, sociale, economico. Le province, in particolare, avranno competenza esclusiva nei compiti e funzioni di “area vasta”: la programmazione e il coordinamento di attività e servizi attinenti la gestione del territorio e la regolazione dei servizi a rete”.
Come sarà individuato l’ambito ottimale?
“Occorre ottimizzare il rapporto tra estensione territoriale e popolazione residente. Per questo, è prevista all’occorrenza una revisione delle circoscrizioni provinciali e, conseguentemente, verranno sottoposti a revisione anche gli ambiti territoriali degli uffici decentrati dello Stato”.
Lo Stato potrà trasferire ulteriori funzioni a regioni ed enti locali?
“Sì, sulla base di due criteri. La sussidiarietà verticale, per cui le funzioni devono essere attribuite all’ente più vicino ai cittadini e la sussidiarietà orizzontale, che significa favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale che per le loro caratteristiche non richiedono un controllo pubblico”.
Entra in gioco in questo disegno anche il federalismo fiscale?
“Certamente, perché esso è la gamba finanziaria per correre o almeno camminare con un passo sufficientemente spedito. L’obiettivo è costruire un federalismo sostenibile sul piano dei costi in modo tale da ridurre il carico fiscale per i cittadini. Si ridurranno i trasferimenti di risorse da parte dello Stato, a vantaggio dei tributi propri degli enti locali e compartecipazioni al gettito”.
E per quanto riguarda le città metropolitane?
“Si tratta di attuare, dopo diciassette anni, quanto previsto già nella legge 142 del 1990. Non abbiamo comunque stabilito un modello rigido, perché ci rendiamo conto che Milano, ad esempio, è diversa da Bari. Saranno gli stessi territori a promuovere l’iniziativa, a scegliere il modello che più si adatta alle proprie caratteristiche con forme organizzative e funzioni amministrative che saranno indicate nei decreti legislativi che daranno attuazione al Codice delle Autonomie”.

05/11/2007

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