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Occupazione e lavoro, le mosse del Governo

Dopo il Libro bianco sulla riforma del mercato del lavoro, i risultati della Commissione Brambilla sulla riforma del welfare e gli incontri con le parti sociali, il Governo ha prospettato le prime concrete decisioni. Con apertura, ancora, al dialogo.

Avanti adagio, ma non troppo. Questa sembra essere l'impostazione che si è dato il Governo dopo gli incontri con le parti sociali sulla riforma delle pensioni e del mercato del lavoro. Una posizione giustificata da almeno due motivi: da un lato l'Esecutivo di centro-destra non intende correre i rischi di un eventuale conflitto sociale anche se tutti sono convinti che non sarà una ripetizione dell'esperienza del '94 ma, dall'altro, vuole stringere i tempi su due riforme considerate decisive per la competitività del sistema Italia e quindi si sente legittimato a procedere anche in maniera autonoma per non lasciarsi invischiare nel gioco dei veti incrociati che troppo spesso hanno caratterizzato la stagione della concertazione.
Il Governo e il suo ministro del Welfare, Roberto Maroni, continuano a riproporre il metodo del dialogo, ma non si nascondono i pericoli di allungare i tempi nella ricerca esasperata di un accordo a tutti i costi con le 32 sigle partecipanti al tavolo della concertazione: di qui la decisione di utilizzare il metodo della delega parlamentare.La fase due nella doppia partita su previdenza e lavoro parte con un atteggiamento di forte ostilità del sindacato alle proposte del Governo: un'opposizione, nel metodo oltre che nel merito lamentano i confederali, che dopo una serie di scioperi articolati hanno agitato lo spauracchio dello sciopero generale. Una decisione non semplice e non soltanto perchè all'interno delle confederazioni le divisioni sono ancora forti nonostante la ritrovata unità di massima, ma anche perchè non c'era la sicurezza che l'iniziativa fosse capita dagli stessi lavoratori chiamati a scendere in piazza. E' seguito un muro contro muro che ha visto, in particolare, contrapporsi duramente il Segretario Generale della CGIL, Sergio Cofferati, al Ministro del Welfare Roberto Maroni.I nodi, quindi, sono da sciogliere soprattutto con i sindacati. Le organizzazioni imprenditoriali scommettono sulle proposte di riforma previdenziale e del mercato del lavoro pur sostenendo che si può fare di più già in questa tornata del confronto. Conviene, allora, sintetizzare i punti della delega in fatto di previdenza:
- liberalizzazione dell'età pensionabile con un meccanismo di incentivi contributivi per il lavoratore che decide di rimanere al proprio posto;
- incentivi a rimanere: per chi, dopo aver ottenuto i requisiti per l'anzianità, s'impegna a restare almeno due anni con un contratto a termine è prevista l'esenzione totale dal pagamento del contributi;
- decontribuzione: per incentivare l'occupazione il Governo punta a una riduzione tra il 3 e il 5% degli oneri contributivi a carico del datore di lavoro alla previdenza pubblica per i neoassunti;
- possibilità di cumulo: sarà ampliata la possibilità di unire pensione di anzianità e altri redditi da lavoro;
- per i parasubordinati, una fascia sempre più vasta del mercato del lavoro, aumenta l'aliquota contributiva dal 13 al 16,9% e dovrebbero migliorare prestazioni come quelle per la maternità e la disoccupazione;
- fondi pensioni: la seconda "gamba" del sistema previdenziale dovrà essere rilanciata facendo leva sulla destinazione di tutto il Tfr maturando ai fondi pensione.
Al tema della riforma pensionistica si aggiunge quello del mercato del lavoro che, nelle settimane precedenti alla sosta di fine anno, si è concentrato esclusivamente sulla revisione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Eppure il "pacchetto" e la conseguente delega, vanno ben al di là di questo aspetto e comprendono riforma del collocamento, nuove regole per l'impiego atipico, revisione del sistema contrattuale. Il sindacato ha fatto dell'articolo 18 una sorta di battaglia di principio agitando lo spettro di una mossa apripista per allargare le flessibilità in uscita e i licenziamenti "facili".
Il confronto tra Governo e parti sociali presenta ancora molti ostacoli: si tratta di verificare fin dove l'Esecutivo è disposto a venire incontro alle osservazioni e alle riserve dei sindacati su decontribuzione, meccanismo degli incentivi, articolo 18 e a rassicurarlo sui rischi di uno smantellamento della spesa pubblica. Finora il Governo ha voluto dare impressione di fermezza garantendo che non farà marcia indietro di fronte ai tanti no di Cgil, Cisl e Uil. Una verifica di questi propositi da parte governativa non tarderà ad arrivare nelle prossime settimane: resta il fatto che una ricerca ossessiva del consenso a tutti i costi potrebbe non soltanto allungare i tempi di un'operazione che al contrario non può aspettare ma anche partorire una "riformicchia". E proprio adesso che si entra nell'era dell'euro l'Italia non può permettersi di perdere ancora competitività.
Mai come in questa occasione il sindacato è chiamato a dare una prova di modernità, guardando avanti piuttosto che arroccarsi su posizioni ideologiche più da opposizione politica che da protagonista autonomo dei cambiamenti.
E anche l'appello a Carlo Azeglio Ciampi con la richiesta di intervento per frenare le deleghe e ripristinare la concertazione sembra solo un tentativo di tirare la giacca del Presidente della Repubblica. Non ci si ricorda forse che proprio Ciampi, artefice di quel metodo, soltanto pochi mesi fa aveva ricordato: chiamiamola come vogliamo, dialogo o concertazione quel che conta è la capacità di "portare avanti sempre meglio questa nostra realtà".

01/18/2002

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