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La coperta troppo corta

Che le promesse elettorali dell'attuale maggioranza di governo fossero basate su aspettative di crescita economica eccessivamente ottimistiche, era apparso chiaro da subito. E per contro, che l'evoluzione della dinamica economica sia stata, nell'ultimo anno, peggiore di quanto ci si potesse ragionevolmente attendere, anche dopo l'11 settembre, è anche questo un dato di fatto. Così, tra attese in parte deluse e scambi di accuse tra governo e minoranza, riemerge prepotentemente una verità che avevamo dimenticato forse troppo in fretta. Una verità che gli ultimi atti del precedente governo dell'Ulivo, di sapore indubbiamente elettoralistico, avevano contribuito a nascondere alla coscienza dei cittadini non meno delle generose previsioni di chi è venuto dopo: la riduzione della pressione fiscale, la ripresa degli investimenti in grandi opere pubbliche e quant'altro. La verità è che, se si vogliono liberare risorse per dare ossigeno al sistema economico e alla qualità della vita degli italiani, non si può fare a meno di ridurre la spesa pubblica. Il risanamento dei conti dello Stato - come ha ricordato di recente il presidente Ciampi (che, detto per inciso, meriterebbe più ascolto, non nel senso di prestargli orecchio, ma di mettere in pratica i suoi moniti) - è un obiettivo ancora lontano dall'essere raggiunto e, pur considerando che il servizio del debito pubblico, nel nostro Paese, è già molto oneroso per via dell'enorme dimensione dello stock, non ci sono comunque alternative alla riduzione della spesa corrente.
Qui viene il difficile, è naturale. Quando si tratta di tagliare, non c'è destra o sinistra che non si trovi in imbarazzo. Eppure, qualcosa occorre fare, perché altrimenti continueremo a rimanere incartati. Ci saranno sempre e sempre più necessità che non si riuscirà a soddisfare. La coperta sarà sempre troppo corta.
Spazi per eliminare privilegi del passato e spese improduttive ce ne sono. E bisogna fare presto, perché ogni giorno che passa, in queste condizioni, è un giorno regalato ai nostri concorrenti. La competitività del nostro sistema produttivo, in una classifica presentata al recente World Economic Forum di Salisburgo, ci vede in penultima posizione nell'Unione Europea davanti solo alla Grecia. E nel primo semestre dell'anno le esportazioni del nostro paese sono diminuite del 5,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. La crescita del PIL, in Italia, è stimata nel 2002 a +0,6%, una soglia che equivale a vera e propria recessione. Sono dati preoccupanti, che richiedono interventi immediati, coraggiosi, efficaci.
Sopprimere presunte agevolazioni al sistema produttivo quando il vero problema, al contrario, è quello di allineare gli oneri fiscali e contributivi, da noi eccessivi, a quelli dei nostri concorrenti europei, è una soluzione di corto respiro che speravamo facesse parte del passato e che speriamo non faccia parte del futuro: quello che realmente occorre è un vero governo delle dinamiche macroeconomiche. E' necessario interrompere la perversa spirale "eccesso di spesa pubblica-alta pressione fiscale-aumento del deficit pubblico-aumento del debito pubblico".
Il governo deve fare la sua parte. Non può più limitarsi ad interventi di emergenza.

09/25/2002

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