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Finanziaria: non basta per rilanciare la competitività

Stefano Parisi, Direttore di ConfindustriaL'iter della legge Finanziaria, dalla formulazione originaria fino all'approvazione da parte del Parlamento, è stato influenzato dal clima pre-elettorale che ha indotto le forze politiche a perseguire più l'ampliamento del consenso che il raggiungimento di obiettivi strutturali di contenimento della spesa pubblica e di rilancio della competitività.
I risultati ottenuti per le imprese sono: la riduzione di due punti di Irpeg nel triennio, un abbattimento dei contributi sociali per gli assegni familiari, la riduzione dei costi per l'energia elettrica, il potenziamento della Dual Income Tax e la velocizzazione della sua applicazione nel Mezzogiorno, risorse a favore delle zone alluvionate.
Altre misure riguardano la ricerca, la compensazione dei crediti d'imposta, le bonifiche ambientali, la regolarizzazione della posizione contributiva delle imprese che emergono dal sommerso, la finanza di progetto. Il doveroso riconoscimento di questi effetti positivi non contrasta con la critica alla debolezza macroeconomica della Finanziaria, che ha addirittura accentuato la strada di una distribuzione a pioggia delle risorse, che si sono così disperse in rivoli e rivoletti, mentre avrebbero dovuto essere impiegate meglio per la competitività. Questa impostazione non può non destare preoccupazione anche in prospettiva futura. C'è il rischio che, con l'approssimarsi delle elezioni, la ricerca del consenso possa produrre altri interventi legislativi di spesa a danno delle cose necessarie da fare. Se è vero che l'Italia ha bisogno di un vero e proprio salto culturale che ci consenta di entrare compiutamente nella modernizzazione e nel consesso dei Paesi più progrediti dell'Europa e dell'Occidente, lo stesso dibattito sulla legge Finanziaria ha confermato che i passi - che pure sono stati compiuti - sono ancora insufficienti e che il cammino è ancora lungo. Come spiegare altrimenti l'artificiosa contrapposizione tra famiglie e imprese che è stata sollevata a proposito del modo di utilizzare il cosiddetto dividendo fiscale? Se le imprese sono il vettore dello sviluppo per la loro capacità di creare ricchezza e occupazione, non ci può essere contrasto tra le loro esigenze e quelle delle famiglie, che di questo sviluppo usufruiscono. Il vantaggio della crescita è un vantaggio che interessa tutti e per il quale tutti debbono mobilitarsi.
Nel nuovo scenario della globalizzazione del mercato e della rivoluzione tecnologica, e imprese per vivere e crescere debbono essere competitive.
Ma se la competitività dipende dalla loro efficienza, dipende anche in maniera sempre più determinante dall'efficienza del sistema-paese.
Questo spiega perché il fulcro del programma di Confindustria sia oggi il rilancio della competitività. Negli ultimi anni abbiamo subito un consistente deterioramento competitivo.Questa tendenza va assolutamente invertita. E per farlo sono necessarie riforme di portata strutturale. Bisogna intervenire con decisione sul fronte della riduzione della pressione fiscale, rendere meno rigido il mercato del lavoro, ristrutturare lo stato sociale a cominciare dal capitolo pensioni, intensificare il processo di privatizzazione e di liberalizzazione, rafforzare le infrastrutture materiali e immateriali, rinvigorire la lotta al sommerso, rilanciare il Mezzogiorno, garantendogli quelle condizioni di legalità e sicurezza indispensabili per lo sviluppo delle attività produttive e dell'occupazione.
Certamente, il poco tempo che ci separa dalle elezioni politiche non rende agevole lo scioglimento dei nodi che da troppo tempo ostacolano il nostro pieno sviluppo. Ma ciò non deve impedirci di cercare di realizzare sin da ora quei provvedimenti che sono fattibili nel breve periodo e che possono rappresentare tappe di avvicinamento sulla via di un nuovo standard competitivo.

Stefano Parisi
Direttore Generale Confindustria

01/18/2001

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