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Il mare a Varese

Dal 1860 i paleontologi studiano i fossili di cui è ricchissima la zona del Monte San Giorgio. Ora il prof. Silvio Renesto dell'Università dell'Insubria punta l'attenzione sulla Valtravaglia.

Un tempo i Caraibi erano… a casa nostra. Duecento milioni di anni fa, un braccio di mare ricopriva la provincia di Varese, quella di Como, spingendosi fino a Lugano. Si trattava di una laguna, dalle acque basse e stagnanti al fondo. Molto probabilmente la temperatura dell'aria era elevata e, ciclicamente, si abbattevano piogge torrenziali come nei paesi a clima monsonico.
Potrebbe sembrare una descrizione immaginaria, una storia da raccontare ai bambini. Invece è la ricostruzione fornita dopo anni di ricerca condotta da studiosi nelle nostre zone e, in particolare, nell'area del Monte San Giorgio. La sua ricchezza di fossili è tale che l'UNESCO non ha esitato a inserire il lato svizzero nel patrimonio mondiale dell'umanità. Ora si attende che la stessa importanza venga riconosciuta anche al versante italiano: è dal 1860 che studiosi e ricercatori provenienti da varie Università e Musei, lavorano per ricostruire la storia dei nostri luoghi nel periodo Triassico (248-213 milioni di anni fa), il primo dell'Era Mesozoica.
Dalla fine dell'800 ad oggi sono stati raccolti centinaia e centinaia di esemplari (custoditi nei Musei di Storia Naturale di Milano, di Zurigo, di Lugano, di Besano ed anche di Induno Olona) che documentano la presenza di circa un centinaio di specie diverse di pesci e diverse decine di specie di rettili: fra cui il Lariosaurus valceresii (un rettile marino predatore): "La zona del Monte San Giorgio, così come tutta la fascia prealpina italiana, si è dimostrata ricchissima di reperti marini - spiega Silvio Renesto, paleontologo, professore all'Università dell'Insubria - perché molto probabilmente le condizioni ambientali di mare relativamente calmo, con fondali tranquilli e poveri di ossigeno, hanno consentito ai resti di rimanere più o meno indisturbati fino a venir sepolti dai sedimenti potendosi così fossilizzare. Ci sono arrivate testimonianze quasi integre che hanno permesso di fare balzi da gigante nella ricostruzione della flora e della fauna locale di oltre 220milioni di anni fa".
Ora il professor Renesto sta per partire con un nuovo scavo: "Con alcuni volontari locali ed altri colleghi dell'Università di Milano, lo scorso settembre abbiamo effettuato scavi campione nella Valtravaglia ottenendo risultati molto incoraggianti. Vorremmo riuscire ad individuare altri siti speciali nell'area compresa tra la Valganna e il lago Maggiore".
Nonostante nella zona si scavi ormai da oltre un secolo e mezzo e molte notizie utili siano state confermate dal punto di vista morfologico, climatico e ambientale, per i ricercatori ogni campagna suscita grandi emozioni: "La novità è sempre in agguato".
Il lavoro del ricercatore è certosino, ci vuole una grande pazienza e un occhio fino: "Dopo il ritrovamento del resto, la preparazione in laboratorio è lunga e delicata. Per far emergere il fossile dalla roccia può occorrere una settimana o mesi. Dipende dalle dimensioni e dalla fragilità dell'esemplare, dalla durezza della roccia e così via. Nella bergamasca, anni fa, abbiamo riportato alla luce lo scheletro di un rettile lungo cinque metri, ma per la preparazione in laboratorio ci abbiamo impiegato 1.200 ore…".
Una cosa interessante è che tra gli animali individuati nelle nuove località in Valtravaglia, alcune specie di pesci non sono presenti nei siti del Monte San Giorgio, ma piuttosto assomigliano a esemplari rinvenuti in Spagna, in Germania e anche in Cina.
Il grande mare, quindi, lambiva l'Italia settentrionale e il Canton Ticino da una parte e il grande paese asiatico dall'altra. Magari, già allora, era una questione di "griffe copiate".

03/31/2005

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