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E se il Varesotto fosse sismico?

La Facoltà di Scienze all'Università dell'Insubria di Como si sta concentrando sullo studio di alcuni sospetti segni del terreno tra Varese e Como che rivoluzionerebbero il concetto, fin'ora dato come assioma, che la nostra è un'area a basso rischio sismico

Improvvisi buchi nell'asfalto. Massi che precipitano senza apparente ragione. Crepe che solcano i marciapiedi. Sembrerebbero movimenti naturali, di assestamento del terreno o provocati dalle intense precipitazioni. Ma se fosse qualcos'altro?
Il Campo dei Fiori, si sa, è zona carsica, al suo interno esistono cunicoli e vie sotterranee che arrivano sino al lago. Le grotte del Remeron sono una meta apprezzata e gettonata dagli speleologi che ancora non sono riusciti a verificarne l'estensione.
Tra le poche certezze acquisite sin dai bambini c'è quella della relativa tranquillità del terreno su cui poggiamo i piedi: la nostra è un'area a basso rischio sismico.
Allora perché il ministero della ricerca ha deciso di finanziare la ricerca del professor Alessandro Michetti dal titolo: "Mappa delle strutture tettoniche che possono produrre forti terremoti nell'area tra il Lago Di Garda e il Lago Maggiore"? Ci dobbiamo aspettare un contrordine: il Varesotto terra instabile? Le conseguenze sarebbero incredibili, non foss'altro per l'elevata densità abitativa e per la presenza di numerosissimi insediamenti produttivi.
Per il momento siamo nell'ambito dell'incertezza: ci sono alcuni segnali inquietanti e il docente di geologia della Facoltà di Scienze all'Università dell'Insubria di Como ha avuto mandato per analizzare approfonditamente quegli indicatori della terra.
"La valutazione della zona come non sismica è basata su un parametro storico - spiega Alessandro Michetti - significa semplicemente che non si sono segnalate attività particolari negli ultimi anni, circa 700, ed è poco, perché i tempi geologici di ritorno sono molto lunghi".
Esistono ricerche effettuate negli anni '70 ai tempi del nucleare, quando si sondava il terreno per capire dove impiantare una centrale. Studi di massima che, però, non furono suffragati da ulteriori ricerche approfondite.
Il docente dell'Insubria e la sua equipe sono partiti dal parco regionale Spina Verde nel comasco, per poi passare a Novazzano, quindi arrivare al Gaggiolo e al Campo dei Fiori: "Abbiamo bisogno di raccogliere dettagli, informazioni particolareggiate per dare supporto alla tesi generale. Nel giro di un anno penso che riusciremo a definire una prima mappatura".
Al giorno d'oggi, quindi, non possiamo escludere con assoluta certezza che il terremoto che scosse Salò due anni fa, dopo una latenza di quasi 800 anni (Brescia 1222), non possa avvenire nella regione insubrica: "Dobbiamo analizzare il territorio, capire come si sono formate alcune colline recenti che sono nelle nostre zone. A cosa è dovuto quel sollevamento? È certo che sotto i nostri piedi ci siano delle faglie, ma sono ancora 'sveglie'? Dobbiamo svolgere un'analisi di tipo geologico, verificando le variazioni del paesaggio, le frane, alcune liquefazioni e dati simili. Sono questi i parametri che ci permettono di individuare le faglie capaci, in grado di muoversi, di provocare dei sismi".
Oltre ai 14.000 euro in arrivo dal Miur (Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca), Alessandro Michetti può contare sul sostegno del Servizio Geologico d'Italia e dell'Eni, che gli ha dato libero accesso a tutti i suoi dati geologici.
Ma perché proprio oggi indagare su questo terreno? "Chiaramente, in passato si è preferito dare la precedenza ad aree notoriamente più a rischio, come la Sicilia orientale. Ora, però, c'è grande interesse per questa regione e il motivo sta proprio nella sua densità abitativa e produttiva. È un'area molto preziosa e si sente l'esigenza di aver chiaro il rischio che si sta correndo".
Un anno sembra lungo, anche se geologicamente è un istante. Speriamo che, al termine dell'indagine, il professor Michetti confermi le nostre certezze, acquisite sin dai banchi di scuola.

03/31/2006

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