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Vincenti anche senza delocalizzare

Un recente studio dei ricercatori dell'Università Carlo Cattaneo - Liuc, svolto su 24 casi aziendali di successo, dimostra che anche le piccole e medie imprese che non vanno a produrre all'estero possono essere competitive. Anche l'innovazione spinta non è, di per sé, una strada obbligatoria. Brand, comunicazione, organizzazione efficiente delle risorse umane sono alternative valide per rimanere sul mercato.


Non per forza quello che viene ripetuto da più parti rappresenta la verità. Un luogo comune, seppur con un fondo di attinenza alla realtà, non si traduce in un dogma. Così è anche negli ambienti economici, nei quali la rilocalizzazione all'estero degli impianti produttivi e l'innovazione costante e spinta vengono indicate come scelte indispensabili per la competitività delle imprese. Non sempre, però, questo si traduce in un dato di fatto. A sfatare il mito è uno studio condotto dai ricercatori dell'Università Carlo Cattaneo - LIUC contenuto in un libro, "Innovazione e delocalizzazione? Solo qualche volta”, presentato recentemente e finanziato dalla Fondazione Cariplo. Più di 180 pagine nelle quali vengono scandagliati 24 casi di piccole e medie imprese con un fatturato al 2004 compreso tra i 30 e i 100 milioni di euro e con performance superiori almeno del 20% rispetto alla media messa a segno nello stesso periodo dal proprio settore.
Case history di successo la cui analisi ha condotto per mano gli esperti a una conclusione: "L'innovazione e la delocalizzazione - spiega il presidente della LIUC, Paolo Lamberti - contrariamente a quanto ci si è spesso sentiti dire in questi anni di rallentamento economico, non costituiscono la sola via di salvezza per le imprese italiane in cerca di eccellenza nei nuovi scenari competitivi”. È vero che per alcune realtà produttive e per determinati comparti, la scelta è obbligata. Ma questa non è una regola generale che vale per chiunque. Le strade che possono essere intraprese per raggiungere un buon collocamento sui mercati nazionali e internazionali sono diverse. Tutte praticabili anche dalle piccole e medie imprese, come quelle oggetto della ricerca che si è concentrata su quattro settori: l'alimentare, il tessile, quello della meccanica e degli apparecchi meccanici e dell'arredo-design.
Realtà eccellenti che hanno saputo affrontare la sfida della competitività puntando su strategie alternative. Come per esempio la dimensione internazionale dell'attività, non intesa come delocalizzazione, ma come forte tendenza all'export. O ancora la decisione di puntare, anziché sull'innovazione spinta e radicale, su quella incrementale, sia di prodotto che di processo. "A testimonianza - precisa Lamberti - che la continuità di un successo deve essere alimentata da costanti piccoli affinamenti tesi a mantenere e possibilmente incrementare il divario competitivo con i concorrenti”. Uno scalino per volta, tutti i giorni. Non solo, le ottime performance messe a segno dalle aziende campione sono dovute, sostengono i ricercatori, anche all'ottimizzazione dell'impiego delle risorse umane, alla lungimirante politica di presidio e valorizzazione del brand, alle alleanze strette, lungo la filiera, in tema di forniture e commercializzazione, ad un'efficiente comunicazione, all'introduzione nell'azienda di origine familiare di una logica manageriale, mettendo ai vertici della società professionisti esterni.
"Salvo sporadici casi - è l'interpretazione di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo - la ricerca condotta dall'Università Cattaneo dimostra come i migliori risultati arridono alle imprese del Made in Italy, quelle che non solo pensano, ma fanno in Italia”. Altro insegnamento da trarre, secondo Guzzetti, è che "le piccole e medie imprese italiane sono ancora forti, nonostante la crisi e nonostante tutto quello che si dica”. Anzi, proprio le realtà imprenditoriali familiari "sono al centro della ripresa oggi in atto”. Una ripresa ottenuta "vincendo la concorrenza che proviene dai Paesi di nuova industrializzazione attraverso prodotti di eccellenza, realizzati da imprenditori che puntano alla qualità e da imprese che hanno saputo adottare soluzioni gestionali e organizzative all'avanguardia”. Realtà, continua, "mai paghe dei successi conseguiti sul fronte dei miglioramenti di prodotto e di processo”.

06/14/2007

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