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L'opinione: Il non profit mascherato

Un'opinione di Marco Vitale mette in luce il diffondersi di un finto "non profit", da cui - secondo l'autore - il non profit vero e proprio va assolutamente protetto.

"Il primato della politica" è un'espressione coniata nel 1962. L'anno nel quale iniziò il declino di tutte le partecipazioni statali sino alla loro debacle negli anni '90. Pensavamo che questa espressione e il sottostante pensiero fossero consegnati alla storia. E invece sono riapparsi, con crescente vitalità, nei nostri giorni. Di essi si servono i rappresentanti di alcuni partiti, sedicenti liberali, per pretendere posizioni di amministratori e dirigenti per i loro membri di partito o, comunque, per i loro accoliti, in tutti i casi in cui l'azienda ha, direttamente o indirettamente, qualcosa da fare con il pubblico. La faccenda non è solo molto noiosa (per il fatto di dover ritornare su battaglie che pensavamo concluse), ma è, anche, molto pericolosa come lo era nel 1962. Non perché le persone indicate dai partiti siano, per definizione, negative. Molte di queste sono eccellenti. Ma perché le persone scelte dal partito, in una logica di partito, guidano le aziende secondo i desideri e gli interessi del partito e non secondo gli interessi e le necessità dell'azienda e, quindi, dei suoi clienti, dei suoi lavoratori, dei suoi fornitori. Come è successo, in grande maggioranza, dal 1962 per le partecipazioni statali. A Milano si cerca di tenere una distanza di sicurezza dal "primato della politica", ma un altro fantasma si aggira per la città: è il profitto mascherato da "non profit". Premetto che sono da tempo un sostenitore convinto ed entusiasta, sia sul piano teorico che sul piano pratico, del ruolo del terzo settore (il "non profit" appunto) sia in un'economia e società sviluppate, che in Paesi arretrati. Per questo lo voglio proteggere. E per questo è necessario proteggerlo dal finto "non profit". Definisco finto "non profit" quel ramificarsi di organizzazioni in attività schiettamente economiche e aziendali, che si maschera con questa etichetta per perseguire obiettivi di potere politico ed economico. Molti anni fa (sempre nel 1962) l'allora vice-presidente di un grande gruppo industriale, delle partecipazioni statali, permanentemente in perdita e, quindi, in sostanza permanentemente operante come una organizzazione "non profit" mascherata, mi confidò: "Quando io intravedo il pericolo del profitto corro subito ai ripari, aumentando gli stipendi, distribuendo benefici, investendo e spendendo". Molte "non profit" si comportano allo stesso modo. Ciò che caratterizza il vero "non profit" non è la mancanza di profitto esplicito, ma gli obiettivi che si perseguono, i contenuti oggettivi dell'attività svolta e la metodologia di lavoro. È necessario fare chiarezza su questo punto sia per difendere il "non profit" vero che per proteggere la vita economica da competizioni improprie e distruttive.
Il cardinal Martini ha recentemente sottolineato che bisogna guardare alla coerenza tra "il senza fini di lucro" e "la missione autentica". Ha aggiunto che il valore cardine del "non profit" è la "solidarietà nel senso più ampio il controllo sociale vero": rendere ragione del perché e del come si fa, è per il "non profit" un ineludibile passaggio etico. Le spese di gestione e di organizzazione interna debbono essere il minimo necessario, in quanto il «non profit» rimane un settore di frontiera, chiamato a risolvere problemi nuovi. Ancora una volta la riflessione morale seria e la buona economia vanno a braccetto.
(Articolo apparso sul Corriere della Sera. Per gentile concessione)

11/21/2002

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