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Dare competitività al Sistema Italia: ecco la sfida per il dopo-elezioni

Riforma istituzionale, infrastrutture, nuovo Welfare, divario Nord-Sud, privatizzazioni… Alla vigilia dell'appuntamento con le urne del 13 maggio, sono questi i grandi temi che il Paese dovrà affrontare nell'immediato dopo-elezioni. E la ricetta di Confindustria…


La fotografia è quella di un Paese bloccato, ingessato da una forte rigidità, dall'eccessiva pressione fiscale e da una capacità competitiva in rapida discesa: negli anni Novanta in Italia il Pil (Prodotto interno lordo) è cresciuto del 15%, contro il 19% che è la media degli stati dell'area-Euro e addirittura di quasi il 40% negli Stati Uniti.
Non solo, nel corso del 1999, su un totale mondiale di 865 miliardi di dollari d'investimento estero, in Europa ne sono arrivati 305, ma in Italia meno di 5 miliardi. Siamo ben al di sotto di Paesi comparabili al nostro, come Regno Unito (82 miliardi di dollari), Francia (39 miliardi) e Spagna (9 miliardi), ma anche di realtà più piccole come la Svezia (60 miliardi), l'Olanda (34 miliardi) e l'Irlanda (18 miliardi).
In rapporto al Prodotto interno lordo, l'Italia è negli ultimi posti nella classifica degli investimenti esteri e lo è ormai da anni.
E ancora: tra il 1996 e il 2000 il nostro Paese ha perso quasi il 12% di competitività in termini di costo del lavoro per unità di prodotto. Permane una pressione fiscale e contributiva che rende troppo bassi i salari netti rispetto al costo del lavoro per le imprese.
E rimangono largamente superiori alla media europea il costo dell'energia, il sistema dei trasporti e la qualità e l'efficienza dell'attività della Pubblica Amministrazione.
In definitiva, qualsiasi classifica internazionale si prenda in considerazione, l'Italia si colloca agli ultimi posti fra i Paesi industrializzati quanto a competitività.

Il nostro, peraltro, resta un Paese a elevato grado di sviluppo - l'ammontare della ricchezza prodotta, espressa a parità di potere d'acquisto, ci vede all'ottavo posto assoluto - che è riuscito a uscire da una grave crisi della finanza pubblica, centrando l'obiettivo dell'ingresso nell'Euro. Il prezzo che l'Italia ha pagato, però, è stato altissimo, con minore sviluppo e un'accentuazione delle disuguaglianze al suo interno. E questo, in gran parte, perché non sono stati affrontati e superati i problemi strutturali della spesa pubblica.
Ma anche perché la classe politica non ha saputo avviare quell'indispensabile riforma istituzionale adeguata alle esigenze di una società moderna come la nostra.
La conseguenza è un sistema in cui i contrapposti schieramenti, anziché riconoscere la democrazia dell'alternanza, non fanno altro che - la cronaca della campagna elettorale lo ha evidenziato in modo eclatante - delegittimarsi reciprocamente.
Questo porta nel Paese un clima psicologico d'insicurezza e d'emergenza: esattamente il contrario di quanto serve al mondo dell'economia per puntare a una crescita ordinata e in grado di elevare il livello della qualità della vita d'ognuno.
Un Paese in cui il divario territoriale fra Nord e Sud nell'ultimo decennio si è incrementato: in un Mezzogiorno dove disoccupazione e lavoro sommerso assumono dimensioni ormai patologiche, negli anni Novanta si è accresciuta la distanza del Pil rispetto sia alla media dell'Unione Europea, sia al resto d'Italia.
Un Paese, infine, con gli abitanti in rapido invecchiamento e con le relative, pesanti conseguenze sul sistema pensionistico, ma anche su quello produttivo.
Mantenendo lo stesso rapporto che esiste attualmente tra natalità e mortalità, nel 2025 la popolazione italiana si ridurrà di ben 6 milioni d'unità (il 10% in meno rispetto ad oggi).
Nel 1990 i giovani di 20 anni erano un milione;
nel 2010 saranno 550 mila. La popolazione attiva diminuirà del 20%, con grave rischio per la tenuta del nostro sistema economico, cui verranno a scarseggiare le risorse umane.

L'OBIETTIVO DI CONFINDUSTRIA: CRESCITA AL 4%
L'obiettivo è stato indicato durante le Assise Generali degli imprenditori associati che Confindustria ha tenuto lo scorso mese di aprile a Parma.
Per rilanciare il Sistema Italia, creando sviluppo e occupazione, il Prodotto interno lordo deve crescere del 4% nei prossimi anni: solo così sarà possibile riconquistare quella competitività tale da garantire al Paese uno slancio capace di reinserirlo nel circuito virtuoso della crescita economica a livello internazionale.
Per raggiungere e conservare quota 4% nel quinquennio della prossima legislatura, secondo Confindustria il Sistema Italia dovrà porsi nelle condizioni di vincere una serie di sfide, illustrate in un documento elaborato sulla base di un confronto fra la nostra situazione e quella dei principali partner a livello internazionale.
Le proposte contenute nel Documento - alla cui predisposizione ha partecipato l'intero sistema associativo degli imprenditori industriali - possono riassumersi in cinque punti.

Pubbliche amministrazioni
In quasi tutte le attività di competenza dei poteri pubblici permane una sproporzione, non più tollerabile, fra i costi e i benefici dei servizi resi ai cittadini e alle imprese.
A una pressione fiscale e contributiva prossima alla media europea per le persone fisiche e superiore per le imprese corrisponde una qualità ben inferiore del "prodotto" pubblico: che si tratti d'infrastrutture, piuttosto che di scuola, di sanità, di tutela dell'ambiente e del territorio, d'attività amministrative per autorizzazioni, controlli…
L'attività d'impresa è ostacolata tanto dall'eccesso dei costi fiscali, quanto dall'inadeguatezza dei servizi pubblici.
"Occorre migliorare drasticamente la qualità dei servizi e ridurre i costi - recita il Documento - diminuendo anche il numero dei Ministeri.
Vanno ridisegnate, inoltre, le funzioni degli uffici centrali in seguito al decentramento regionale.
Non si può prescindere, poi, da una politica di opere pubbliche realizzando infrastrutture con decisioni rapide, project financing e con il potenziamento di alta velocità ferroviaria, porti, valichi e aeroporti."

Società della conoscenza e dell'informazione
L'Italia è in notevole ritardo per quanto riguarda i dati quantitativi e la qualità del sistema scolastico, della formazione professionale, dell'Università e della ricerca, nonché per la diffusione delle nuove tecnologie.
Una situazione che rappresenta uno degli ostacoli più gravi per la competitività del Paese, poiché ritarda il necessario processo di trasformazione dell'apparato produttivo verso le fasce più alte della catena del valore e ci rende più fragili rispetto alla concorrenza dei leader nella tecnologia, da un lato, e dei mercati a basso costo del lavoro, dall'altro.
"Bisogna introdurre elementi di concorrenza nel sistema formativo, liberalizzare le tasse universitarie e autorizzare gli Atenei a raccogliere contributi privati per la ricerca. Inglese e Internet vanno resi obbligatori in ogni scuola."

Privatizzazioni e concorrenza
La cultura del mercato e della concorrenza, la stessa costituzione di un'Authority preposta alla sua tutela, sono acquisizioni recenti nel nostro Paese e, purtroppo, non ancora da tutti condivisi. I processi di privatizzazione e di liberalizzazione attuati negli ultimi anni sono stati segnati da numerose limitazioni di carattere sia quantitativo che qualitativo.
"Settori come l'Università, la scuola, la formazione professionale e la sanità potrebbero trarre grande benefici dall'introduzione di elementi di concorrenza fra pubblico e privato.
Servono, poi, la cessione di Enel, Eni, Alitalia, Finmeccanica, Poste, Rai e di molte ex-municipalizzate.
Bisogna puntare sulla dismissione delle banche controllate dalle Fondazioni e alla liberalizzazione di commercio e professioni."

Qualità della regolazione
Troppe norme, pesanti e spesso contraddittorie, penalizzano l'assunzione del rischio imprenditoriale.
Al contrario, una migliore qualità della regolazione è anche, insieme alla riduzione della pressione fiscale, una leva essenziale per qualunque politica di lotta al sommerso.
"In un mercato del lavoro dove la dinamica salariale deve essere coerente con l'inflazione e legata alla produttività, servono sia la liberalizzazione dei contratti a termine sia l'esclusione dell'obbligo di reintegro per i licenziamenti individuali.
Quanto al Fisco, bisogna puntare all'eliminazione dell'Irap, alla riduzione dell'Irpeg dal 50 al 35% in cinque anni, al calo dell'aliquota sulle plusvalenze derivanti da cessione di partecipazione dal 27 al 19%."

Credito e mercati finanziari
Nonostante i progressi degli ultimi anni, l'Italia resta un Paese con pochi investitori istituzionali, poche società quotate e scarso dinamismo del sistema bancario.
A ciò contribuisce anche l'avvio lento e ritardato dei processi d'internazionalizzazione, attivi e passivi, delle banche e delle imprese.
"Ci sono, però, anche compiti che spettano all'operatore pubblico per quanto riguarda, in particolare, la normativa fiscale, la riforma del diritto societario, quello fallimentare e il sistema previdenziale. Occorre estendere il metodo contributivo, innalzare l'età pensionabile e dare sviluppo ai Fondi Pensione con l'uso del Tfr su base volontaria."

L'insieme di questi problemi si concentra e assume caratteri d'emergenza nel Mezzogiorno.
Per quest'area d'Italia, il Documento di Confindustria propone l'accelerazione dei processi di riforma che si ritengono validi per tutto il Paese, con riferimento particolare ai quattro temi cruciali delle infrastrutture, del fisco, della sicurezza e della flessibilità del lavoro.
Si inserisce in questo quadro la proposta di anticipare al Mezzogiorno quella riduzione dell'imposta sui redditi d'impresa da estendere in seguito all'intero Paese, sia pure in tempi più lunghi e coerenti con il pieno rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

04/19/2001

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