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Campo dei Fiori un Parco sempre più "naturale"

A due passi dalle città sopravvive il "delizioso giardino" di fine Ottocento. Anzi, una recente delibera regionale ne rilancia l'immagine e gli obiettivi


"A mezzogiorno l'ampia vallata del Po si confonde col lontano orizzonte là dove, come nastro d'argento, luccica il corso del nobile fiume e si vedono adombrate le prime creste degli Appennini. La gigantesca catena delle Alpi, dagli eterni ghiacciai, ad occidente, a settentrione ed a levante e si avanza sino alle Prealpi che circondano il Lario, il Ceresio e il Verbano. I minori laghi di Varese, di Monate, di Ternate ed altri meno importanti, specchiando il limpido e splendido cielo nelle loro acque increspate scintillano come gemme frangenti i raggi del sole. I paeselli, i borghi, le lontane città, gli ameni colli popolati di case e di vigneti, le fertili campagne coltivate con ogni più generosa cura, danno alla sottoposta pianura lombarda l'aspetto d'un immenso delizioso giardino".
Certo c'è dell'enfasi retorica nella magnanimità letteraria con cui Eugenio Galli descriveva il paesaggio ammirato dal Campo dei Fiori in quel 1865 che vide la pubblicazione della sua "Guida al Sacro Monte". Ma c'è anche il legittimo orgoglio col quale l'intellettuale varesino invitava il nascente tourisme post-unitario a considerare la regione lombarda dei laghi e la sua montagna come mete privilegiate per la lunga stagione della villeggiatura che privilegiava nobili e borghesi.
LA DELIBERA DELLA REGIONE
Centoquarant'anni dopo quel piccolo evento editoriale, viene da chiedersi cosa possa essere rimasto di quei paeselli e ameni colli e fertili campagne che facevano del baluardo prealpino un giardino e un "campo di fiori" addirittura. Con sorpresa di chi non conosce la montagna di Varese e fatte salve le fertili campagne frutto più d'immaginazione che di realtà in una terra morenica, scopriamo come gran parte del Campo dei Fiori sia rimasto incredibilmente intatto, acerbo, quasi selvaggio nonostante l'estendersi dei borghi abitati e la scomparsa dei vigneti. A due passi dalle città, quasi un miracolo. Tanto che la giunta della Regione Lombardia ha deliberato lo scorso 22 dicembre il passaggio da Regionale a Naturale del Parco che da vent'anni tutela il rilievo prealpino. Non solo una variazione formale, ma il riconoscimento di un valore naturalistico e l'impulso a migliorarne la tutela.
PENE PIU' SEVERE PER I CACCIATORI
Si tratta di estendere fino ad un terzo del totale, pari a 1.560 ettari, norme più ferree in tema di tutela delle biodiversità, conservazione ed incremento delle potenzialità faunistiche, flogistiche, vegetazionali, geologiche, idriche, ecosistemiche e paesaggistiche, garanzia circa l'uso dei suoli, salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici, architettonici e legati alle attività agro-silvo-pastorali. In più, su quel terzo di territorio (200 ettari più che in precedenza) non si potrà cacciare. "Per adeguarci alle direttive nazionali abbiamo formato la nuova area naturale, sottoposta a particolari vincoli, semplicemente unendo fra loro le Riserve esistenti da tempo - ricorda il presidente del Parco, Giovanni Castelli -. Collegamenti che avvengono attraverso corridoi faunistici larghi anche alcuni chilometri. Più che sul piano dell'estensione territoriale, il vero cambiamento è su quello dell'inasprimento normativo: se prima verso il cacciatore colto sul fatto spettavano solo sanzioni ammi
nistrative, adesso possono scattare anche quelle penali".
UN'ATTENZIONE CHE VIENE DA LONTANO
In definitiva, il passaggio da Parco Regionale a Parco Naturale è il risultato di un adeguamento legislativo, un passo obbligato per ottenere i riconoscimenti giuridici e finanziari, ma che non ha trovato impreparati né la Regione né il Consorzio di gestione dell'area protetta varesina. Segno di un'attenzione verso il nostro patrimonio naturalistico che non è nato ieri e che perciò ha messo radici. Anzi, che non ha mai tranciato i ponti con quell'immenso delizioso giardino cui accennava il varesino Eugenio Galli quasi un secolo e mezzo fa.

L'incontro col tasso e il capriolo

Nelle vallette ombrose e umide compaiono il frassino, il ciliegio, il tiglio, la farnia, il carpino bianco, l'acero montano e lungo i corsi d'acqua l'ontano nero. I versanti assoltati e aridi ospitano la roverella, il castagno, il faggio, la betulla, il pino silvestre, mentre preziosa è la flora rupicola con specie rare e quella palustre nelle zone umide di cui l'area protetta non manca. Quanto alla fauna, si va dalla martora al tasso alla volpe, dai piccoli roditori come lo scoiattolo al devastante cinghiale, dal raro picchio nero all'airone cinerino, dal cervo al capriolo.
Le presenze floro-faunistiche del Campo dei Fiori valgono la pena di una bella passeggiata nei boschi. Specialmente la presenza di ungulati ha destato sorpresa vista la limitata estensione del territorio protetto (5400 ettari, che dovrebbero sfiorare i 6000 a breve con l'allargamento dei confini ad un paio di nuovi Comuni) e la sua vicinanza ad aree fortemente antropizzate. Si tratta in particolare di cervi con non più di due o tre coppie e di caprioli, leggermente più abbondanti.
Il collegamento naturale con la Valcuvia, la Valganna-Valmarchirolo e le Valli del Luinese, interrotta soltanto da strade poco trafficate di notte, oltre alla scarsa presenza di attività umane legate alla coltivazione forestale, hanno di certo favorito la presenza di questi animali, che purtroppo hanno già fatto l'incontro nefasto con l'uomo: non meno di una decina gli incidenti che nel corso del 2004 hanno coinvolto automobilisti e ungulati.
Sedici sentieri per trovare l'anima del Parco

Sedici sentieri, regolarmente "palinati" e dotati di cartelli esplicatori, per camminare in sicurezza e sapendo cosa vedere. Il Parco Campo dei Fiori gestisce, a volte assieme agli agricoltori, una rete sentieristica di tutto rispetto, ricchissima anche sotto il profilo storico-architettonico.
Il sentiero più noto è il numero 1, che dalla Prima Cappella porta al Forte di Orino; nove chilometri con un dislivello di cinquecento metri da coprire in quattro ore tra Cappelle del Sacro Monte, prati magri, edifici liberty, palestre di roccia e la Cittadella di Scienze della Natura a Vetta Paradiso. Panorami mozzafiato, specie in queste giornate di limpido inverno.
Il sentiero numero 10 A conduce in dodici chilometri, trecentocinquanta metri di dislivello e quattro ore di cammino da Velate ad Orino: sorgenti, cascine, laghetti, distese di boschi a perdifiato lungo una direttrice che scavalca la montagna da sud a nord per conoscerne entrambi i versanti, molto diversi tra loro per esposizione al sole e vegetazione.
Il sentiero numero 16 mette in collegamento Bedero Valcuvia con il Monte Martica: oltre mezzo chilometro di dislivello, quattro chilometri e un paio d'ore abbondanti per scoprire centri storici, strade militari, torbiere, magnifici colpi d'occhio sul Verbano e le Alpi Centrali. Un pratico contenitore raccoglie le schede, ognuna dedicata ad un sentiero, edite dal Parco su testi del direttore, Giancarlo Bernasconi, e della guardia ecologica volontaria Mauro Colli. Fra le tante possibilità offerte un po' in tutti i quattordici Comuni del Parco, ne segnaliamo una davvero particolare quanto ad offerta gastronomica: è l'Antico Crotto Gesiola che si trova a pochi minuti dal centro di Orino, in splendida posizione panoramica. La costante ricerca dei piatti della tradizione lombarda porta i gestori a proporre piatti irripetibili in un ambiente completamente rinnovato, aperto di solito solo nei fine settimana e dove è preferibile prenotare allo 0332-631387.

02/25/2005

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