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Portatori di handicap, un collocamento più mirato

La nuova legge sul collocamento obbligatorio dei disabili punta a maggiore efficacia e meno burocrazia. Un convegno della Provincia di Varese, cui la legge assegna la competenza per il collocamento, ha evidenziato le importanti novità.

Alla Provincia le competenze per l'avvio al lavoro delle persone portatrici di handicap. La nuova legge, varata due anni or sono, prevede finalmente un approccio non burocratico al problema e introduce il concetto di un "collocamento mirato", che sviluppi le capacità residue lavorative del disabile e, al tempo stesso, gli consenta un inserimento non estemporaneo nell'organizzazione produttiva.
La Provincia di Varese ha organizzato, sul tema, un convegno per fare un bilancio di quanto è stato realizzato in questi primi due anni e ha coinvolto tutti i soggetti e gli attori del territorio regionale a vario titolo interessati a queste tematiche. Si sono voluti evidenziare gli elementi critici legati all'applicazione della nuova legge e stimolare il dibattito sulle possibilità di miglioramento dell'attuale quadro normativo. Al convegno hanno partecipato il Presidente della Provincia Massimo Ferrario, l'Assessore provinciale alle Politiche del Lavoro Roberto Borgo e la Dirigente dell'Assessorato Marina Rossignoli, l'Assessore regionale alla Formazione e al Lavoro Alberto Guglielmo, oltre ai rappresentanti delle associazioni imprenditoriali - per tutti, Michele Graglia, Vicepresidente dell'Unione Industriali - delle organizzazioni sindacali - Lorenzo Todeschini, della segreteria Cisl - e delle associazioni che si occupano di tutelare i disabili, nella persona di Angela Mazzetti, Presidente della sezione provinciale dell'Unione Italiana Ciechi.
"La nostra Provincia - ha affermato l'Assessore Borgo - nell'ambito delle nuove logiche di approccio dettate dalla riforma si è attivata per realizzare le azioni previste dalla normativa. Abbiamo strutturato i servizi di incontro tra domanda e offerta di lavoro ricercando strumentazioni e metodologie innovative e abbiamo promosso lo strumento della 'convenzione per l'inserimento lavorativo', con l'obiettivo di realizzare una nuova forma di rapporto con i datori di lavoro improntata alla collaborazione e alla sperimentazione di tutti gli strumenti e le modalità innovative di collocazione lavorativa. Questo grosso sforzo ci ha consentito di evidenziare le positività del
nuovo impianto legislativo e, d'altra parte, anche le criticità".
Obiettivo particolare del convegno è stato quello di discutere soprattutto gli elementi di criticità, sottoponendo al Ministro del Lavoro e al Consiglio Regionale alcune ipotesi di modifica alla normativa. Particolare attenzione è stata rivolta al potenziamento di tutti gli istituti giuridici tesi a favorire l'integrazione lavorativa (agevolazioni economiche a favore dei datori di lavoro, sostegno economico ai servizi di inserimento lavorativo, ecc.). E' stata inoltre ribadita la necessità di chiarire quegli aspetti della legge che ancora oggi si prestano ad essere variamente interpretati dalle parti interessate e di conseguenza diversamente applicati sul territorio nazionale, con le ovvie difficoltà di ordine pratico nel dare piena attuazione alla normativa.
Il Ministro Maroni, impossibilitato ad intervenire al convegno, è stato rappresentato dall'Onorevole Dario Galli, componente della Commissione Lavoro della Camera, che ha assicurato l'impegno a trasferire a Ministro del Lavoro le proposte emerse. Nelle pagine seguenti riportiamo il testo integrale dell'intervento al convegno di
Michele Graglia, Vicepresidente dell'Unione Industriali.

Collocamento dei disabili: a due anni dal varo della nuova legge c'è il rischio di ripercorrere, nell'applicazione, gli schemi della legge vecchia.
"Le leggi - diceva Jean Foyer - sono come i vestiti. Prima si adattano bene, poi diventano lise e, infine, giunge il momento di cambiarle".
Questa "nuova legge" sul collocamento dei disabili - che compie proprio oggi il suo secondo anno di vita - è certamente un abito nuovo, molto differente da quello che i disabili e le imprese sono state costrette ad indossare per oltre trent'anni. Quello era un abito che - rimanendo nell'immagine di Foyer - assomigliava ad una camicia di forza che, peraltro, non si era mai, neppure minimamente, adattata alle necessità per le quali era stata introdotta.
Il vecchio collocamento obbligatorio non prestava, sostanzialmente, alcuna attenzione alla disabilità, non prevedeva nessuna forma di sostegno alla persona né prima, né durante e neppure dopo l'inserimento lavorativo. Si poneva ad anni luce di distanza da esperienze - che, peraltro, altri paesi europei praticavano da tempo con successo - come quelle dei cosiddetti "laboratori protetti". Non poneva attenzione alla formazione professionale del disabile, alle sue reali capacità e non offriva alle imprese alcun sostegno nel momento dell'inserimento al lavoro, né con consulenze di tipo medico-professionale, né con provvidenze di carattere economico.
Sappiamo tutti molto bene che il vecchio collocamento obbligatorio produceva esclusivamente atti formali di avviamento e delegava, in primo luogo alle imprese, ed alla magistratura in seconda istanza, la soluzione di un problema che aveva - ma, per onestà, bisogna dire che continua ad avere - una valenza di carattere sociale.
La nuova legge sul collocamento obbligatorio dei disabili, approvata nel 1999, ha confezionato, ispirandosi a principi diametralmente opposti rispetto a quelli che animavano la vecchia legge del 1968, un abito su misura per dare ai portatori di handicap un nuovo diritto al lavoro.
Ho la sensazione che a distanza di due anni non ci siamo ancora completamente spogliati del vecchio vestito, né abbiamo indossato il nuovo.
C'è il pericolo, a mio giudizio, che, per tante ragioni, alcune anche oggettive, questo cambiamento non avvenga e si rimanga sostanzialmente "a metà del guado".
C'è il pericolo, inoltre, che tutte le parti interessate - che non sono più solo le imprese private - continuino a guardare al collocamento mirato, come se fosse ancora il collocamento obbligatorio.
Vedo questo pericolo anche con riferimento alle imprese. Per troppi anni gli imprenditori hanno vissuto quella che dovrebbe essere una "collaborazione" che il mondo del lavoro può e, per certi versi, deve offrire a persone meno fortunate, come una imposizione, perché tale era. La nuova legge, che pure contiene più di uno spunto innovativo, chiede di essere pienamente attuata proprio per superare quella vecchia ed anacronistica impostazione.
Dobbiamo però affermare, con molta onestà, che questa nuova legge deve anche essere completata, per potersi ben adattare alle esigenze rispetto alle quali vuole essere rimedio.
Il collocamento deve essere davvero un collocamento "mirato". Si devono realizzare tutte le condizioni che rendano possibile un corretto e, almeno parzialmente proficuo, inserimento al lavoro del disabile a partire, proprio, dall'accertamento delle sue reali e concrete capacità lavorative.
Questo accertamento è indispensabile per dare corpo alla cosiddetta "preselezione", cioè a quei processi preliminari che rendono possibile per le imprese l'individuazione e l'inserimento corretto, mirato appunto, del disabile, in modo che il lavoro di questi risulti compatibile con l'attività imprenditoriale e con le sue residue capacità lavorative.
L'applicazione della nuova legge coinvolge ora le Province. E' un'eredità pesante.
Il poco che è stato lasciato dal vecchio sistema è del tutto inadeguato al nuovo. Non per questo, le imprese potrebbero accettare che, sotto mentite spoglie, si ripropongano logiche di avviamento al lavoro che nulla hanno a che vedere con il nuovo modello.
Le "convenzioni" sono sicuramente uno strumento di inserimento al lavoro del disabile, adeguato e già apprezzato dalle imprese, ma non devono essere l'unico strumento. Il soggetto pubblico chiamato a dare vita al nuovo collocamento mirato, infatti, deve dare sostanza ai sistemi ed ai processi che permettono la selezione e l'incontro della domanda con l'offerta di lavoro. L'attività di preselezione, del resto, non è solo un adempimento previsto dalla nuova legge ma è la condizione stessa per il suo pieno realizzarsi.
Le imprese si attendono dal soggetto cui è affidato questo gravoso compito, la Provincia, pur con la gradualità che sarà necessaria, proprio questo risultato: superare la vecchia logica dell'avviamento cieco e burocratico. Si aspettano un servizio serio e credibile. Un collocamento efficace, efficiente, collaborativo che, certamente, la Provincia di Varese è in grado di realizzare, come l'esperienza di questi due anni testimonia.
In caso contrario, per tutti quanti, sarà come indossare il vecchio vestito.
Le imprese non possono, tuttavia, essere lasciate "sole" di fronte a questo problema, come è avvenuto in passato.
L'imprenditore che deve offrire la sua collaborazione alla società a favore delle persone disabili va accompagnato nel percorso. Alcuni paesi europei da anni praticano forme di sostegno al lavoro dei disabili, offrono, cioè, alle imprese ambienti e laboratori protetti in cui formare professionalmente queste persone, garantiscono forme di assistenza, anche materiale, consulenze specialistiche in modo da consentire che l'inserimento e lo svolgimento delle attività lavorative possano avvenire nell'interesse reciproco del disabile e dell'impresa, senza pregiudizio per alcuna delle parti.
Invece, in Italia, anche con questa nuova legge siamo lontani dal prevedere simili forme di sostegno. Continuiamo a coltivare la comoda illusione che la stipula del contratto di lavoro costituisca il traguardo del collocamento mirato. Non può essere così. Chiunque, consideri con attenzione e serietà il problema può capire che le vere difficoltà cominciano con il lavoro e si ripropongono ogni giorno. Bisogna orientare l'assistenza socio sanitaria anche a questi temi, bisogna integrare la formazione professionale del disabile con il suo lavoro. Anche in questo ambito molti paesi europei hanno realizzato interessanti forme di alternanza o integrazione fra formazione professionale e lavoro.
Il processo di riforma del nostro collocamento dei disabili, che pure prevede qualche lodevole iniziativa in questa direzione, non pare capace di dare concretezza a questi principi. Come è accaduto sovente, le azioni appaiono spesso discontinue e non coordinate fra loro e le risorse - sempre peraltro esigue - che le dovrebbero sostenere non raggiungono mai, purtroppo, i buoni propositi per cui vengono stanziate.
Forse un po' di benchmarking non farebbe male anche sotto questo profilo.
Da ultimo, se è pur possibile, ed anzi auspicabile con il collocamento mirato, che la prestazione offerta dal disabile abbia una proficuità economica per l'impresa, è anche realistico riconoscere che in alcune circostanze ciò non possa avvenire. In questi casi non sarebbe eticamente corretto immaginare una ripartizione sociale degli oneri sostenuti dalle imprese? Qui il discorso porterebbe lontano. Probabilmente porterebbe il nostro paese più vicino ai suoi partner europei, porterebbe cioè ad una consapevolezza sociale maggiore, a riconoscere con onestà intellettuale che le imprese devono essere sostenute in quel compito che viene loro affidato e che consiste nel favorire la piena integrazione sociale del disabile, attraverso un'esperienza di lavoro che non risulti mera imposizione legale ma effettiva condizione per il pieno realizzarsi della persona umana.
Temo che non si possa perdere anche questa occasione.
Perché ciò non avvenga, dobbiamo dirci con chiarezza che la legge sul collocamento mirato è un punto di partenza e non un traguardo. Questa consapevolezza è la premessa per indossare il nuovo abito.
Dubito, come del resto dubitava il legislatore, che la nuova legge sul collocamento dei soggetti disabili, così com'è, possa bastare a dare pienezza a questo diritto. Se si rileggono gli atti parlamentari, la relazione di presentazione alla Camera dei Deputati della legge, se si considera attentamente lo stesso provvedimento, ci si rende subito conto che necessitano altri interventi per completare la riforma e adattare, così, l'abito alle necessità per le quali è stato confezionato.
Sono certo che non abbiamo il miglior abito "europeo" e ciò, più che di sconforto, deve essere motivo di sprone. Dobbiamo guardare con umiltà alle migliori esperienze altrui e, nel contempo, non tralasciare la ricerca di soluzioni che possono essere attuate in modo sinergico e rapido. In questa prospettiva non vanno trascurate le opportunità che il processo di riforma, in senso federalista, sta delineando anche con riguardo a questa materia.
Non a caso faccio questo riferimento: bisogna riflettere sul fatto che, mentre si confezionava la nostra riforma, in Andalusia veniva introdotta una legge speciale che già nel titolo "Ley de atencion a las personas con discapacidad" indicava significativamente un'attenzione centrata sulla persona del disabile. Una legge di una regione dotata di autonomia che pure si armonizzava con la legislazione nazionale, si inseriva in un piano quinquennale di azione per la tutela dei portatori di handicap e che era stata addirittura preceduta da un decreto ministeriale che stanziava fondi di sostegno all'occupazione.
Credo che sia questo un atteggiamento da assumere a riferimento e chiuderei ricordando il monito contenuto nella relazione che introduceva la discussione del provvedimento di legge alla Camera dei Deputati: "E' necessario creare le condizioni normative in base alle quali ciascun cittadino, col proprio lavoro, possa dare un contributo alla creazione della ricchezza collettiva, commisurato alla propria capacità".
Sono convinto che sia proprio questa la sfida che attende di essere vinta.

Diverse in provincia di Varese, le associazioni che si interessano di disabili.
Per informazioni si segnalano alcuni siti:

In merito al nuovo collocamento dei lavoratori disabili,

02/15/2002

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