Varesefocus.
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
Varesefocus

 
 

Il leone illeopardito

Sono molte le famiglie che vissero lungo le rive del Lago Maggiore ad aver avuto, all'interno e al di fuori della nostra provincia, un grande rilievo politico ed economico. Nei loro stemmi spicca la figura del leone, animale che simboleggia la forza, il coraggio, la grandezza, la magnanimità e il comando.

Riprendendo la nostra "escursione araldica" attraverso la provincia di Varese, in questa puntata visitiamo i confini delimitati dalle acque del Lago Maggiore.
Prima fra tutte ci imbattiamo nell’impresa araldica dei podestà, che da secoli spicca su Maccagno Inferiore. Questo feudo si vuole concesso nel 962 da Ottone I a Tazio e Rubaconte Mandelli, anche se il fatto non è avvalorato da documenti attendibili.
In compenso, è riportato dalle fonti il Diploma dell’Imperatore Carlo V per l’investitura del contado di Maccagno Inferiore al Conte Giacomo Mandelli, con la conferma delle precedenti investiture e con la facoltà di tenere un mercato settimanale (E. Casanova, Dizionario Feudale, Milano, 1930). Questo documento ci consente di trattare un argomento importante per la distinzione del diritto feudale. Infatti, nel Ducato di Milano troviamo esistere due categorie di feudi: i feudi imperiali e i feudi camerali, cui devono essere aggiunte le giurisdizioni allodiali.
I primi dipendevano direttamente dall’Impero e quindi formavano degli stati indipendenti dal Ducato di Milano. I titolari di detti feudi dovevano ottenere l’investitura ad ogni mutamento di sovrano e di feudatario e pagare i sussidi bellici. All’abolizione del sistema feudale, avvenuta al tempo dell’invasione francese del 1796, esistevano ancora nel territorio del milanese solo tre feudi imperiali: Retegno, Maccagno Inferiore e Limonta con Campione, i primi due con diritto di battere moneta.
I feudi camerali, a differenza di quelli imperiali, sono il risultato di composizioni giuridiche che succedevano temporalmente alla concessione del feudo. Pertanto, le investiture venivano effettuate dalla Camera e si concludevano come regolari acquisizioni. Infine, le giurisdizioni allodiali erano dei titoli che assegnavano esclusivamente una giurisdizione sugli abitanti.
Un simile sistema all’interno del medesimo territorio, non poteva che creare continue e furibonde liti, nonostante il fisco cercasse continuamente di restringere il numero di questi diritti.
Tornando allo stemma della Famiglia Mandelli, si legge: "di rosso a tre leoni di oro artigliati del campo, passanti e posti uno sopra l’altro con le teste in maestà e collarinati di una corona all’antica di azzurro". Ecco l’occasione per poter approfondire il significato araldico di un animale molto spesso utilizzato: il leone si pone normalmente all’interno dell’arme rampante e non si blasona, cioè non si descrive, poiché è questa la sua normale posizione. E’ questo il più nobile animale del blasone e viene a presentarsi generalmente nei colori rosso e oro, con le fauci aperte, la lingua sventolante, evidenti attributi sessuali, la coda ripiegata verso il dorso ed infine la testa viene posta di profilo. Quando il leone è passante e con la testa in maestà, ovvero quando guarda verso colui che legge lo stemma, viene detto illeopardito o semplicemente leopardito o leopardo.
Il leone simboleggia la forza, il coraggio, la grandezza, la magnanimità e il comando. In effetti, la Famiglia Mandelli, appartenente al partito aristocratico ostile ai Torriani, diede i natali a personaggi lombardi di rilievo: Anselmo, console di Milano, dovette recarsi a Lodi vestito di sacco e con il capo cosparso di cenere a chiedere perdono per la città all’Imperatore Federico I Barbarossa, vincitore sulla città; Ottone fu podestà di Firenze nel 1218 e a lui si deve la costruzione del ponte sulla carraia; Alberto, subentratogli nel 1219, dovette intervenire nelle lotte tra le famiglie fiorentine dei Mortemanno e Squarcialupi; Rubaconte, podestà di Firenze nel 1237, fece costruire il terzo ponte sull’Arno e lastricare le strade (Dante immortalò queste importanti opere nel Purgatorio, Canto XII n. 100: "Come a man destra, per salire il monte / dove siede la chiesa che soggioga / la ben guidata sopra Rubaconte"); Guido da Mandello fu podestà del libero comune di Brescia nel biennio 1196-1198 e successivamente nel 1216 (Carlo Piovanelli, I podestà del libero Comune di Brescia (1184-1316), Zanetti, 1996).
Scendendo verso Luino, si incontrano altre famiglie: per esempio i Rusca, feudatari della Valtravaglia, di cui faceva parte la terra di Luino. Il loro stemma è di particolare interesse: "troncato nel 1° d’argento al leone passante di rosso, accostato da sei scorzature d’albero al naturale diverse poste 2 e 1, nel 2° bandato di rosso e d’argento; al capo dello scudo d’oro con aquila di nero linguata di rosso". Un esempio di stemma parlante: le figurine accostanti il leone hanno ricevuto nel tempo diverse interpretazioni, trifogli, tau, lettere r minuscole gotiche, e così via. La denominazione "fogli di rusco" è dovuta al cistercense don Roberto Rusca nel suo celebre testo "Il Rusco, ovvero historia dei Rusca" del 1680. In realtà, leggendo quanto è dipinto nel quattrocentesco Stemmario Carpani (C. Maspoli, Edizioni Ars Heraldica, Lugano, 1973), è più logico affermare che la corretta interpretazione sia quella che vede in queste figure dipinte di colore verde la corteccia della quercia o rovere, che nel dialetto lombardo è detta "rusca". L’ipotesi che, invece, sia rappresentato lo strumento scortecciatore è da tralasciare, a causa del colore verde, anziché del nero abitualmente usato per dipingere gli oggetti di ferro. Infine, non si può escludere che, con il trascorrere del tempo, si sia preferito rappresentare al posto dei vecchi strumenti le foglie di rusco che meglio alludevano al nome della famiglia.
Infine, la Famiglia Marliani, che ricevette l’investitura camerale nella persona del Conte Ruggero, capitano di cavalleria leggera, del Feudo di Luino il 24 gennaio 1600. La Famiglia Marliani ebbe numerosi feudi e proprietà nel territorio varesino (E. Casanova, Nobiltà Lombarda - Genealogie, Milano, 1930). Infatti, il 21 marzo 1573 ottennero anche l’investitura di Busto Arsizio, con annesso titolo di Conte.
E’ curioso notare che questo ramo della casata non ebbe grande fortuna. E’ ben noto, infatti, che i Marliani di Busto Arsizio subirono più volte la confisca dei beni a causa di una loro spiccata tendenza all’omicidio. Carlo Maria Marliani venne condannato a morte nel 1652 per avere fatto uccidere la reverenda madre Teodora Pusterla, precedentemente sua moglie e successivamente monaca professa del Monastero del S. Sepolcro di Tradate. Dopo solo due anni, nel 1654, il figlio Luigi Marliani, capitano di fanteria, venne condannato per essere stato il mandante dell’omicidio dell’Alfiere Marziale Gallarani, bandito nel 1657 e successivamente graziato. Ciò nonostante, per ben due volte, il feudo venne confiscato e successivamente restituito alla famiglia, che in entrambi i casi richiese ed ottenne di essere ammessa nuovamente al feudo e di prestare giuramento di fedeltà (Stefano Ferrario, Busto Arsizio, Bramante Editrice, 1964).
Lo stemma di questa famiglia si legge in: "di nero al leone con la testa in maestà d’oro, lampassato, armato ed osceno di rosso". Questo stemma porta uno smalto particolare: il nero, colore simbolo di tenacia, forza e costanza, ma anche di dolore o tristezza. In araldica, dove non è possibile adoperare i colori, come ad esempio sui sigilli o sui metalli, il nero si rappresenta con linee verticali ed orizzontali sovrapposte fra loro. Si noti un termine di notevole importanza adoperato in riferimento ad animali quadrupedi, ovvero il vocabolo "lampassato": esso discende dal francese "langue-pasée" e araldicamente significa che un animale ha la lingua sventolante e di un colore (smalto) diverso da quello dell’animale cui appartiene.
Molti altri sarebbero gli stemmi di famiglie che vissero lungo le rive del lago, ma è fuor di dubbio che quelli che abbiamo esaminato finora testimoniano tre importanti casate che ebbero all’interno e al di fuori della nostra provincia un grande rilievo politico ed economico.
Non è di poco conto ricordare, in questa sede, l’importanza politica che ebbero diverse famiglie vissute, cresciute e rimaste a lungo legate al nostro territorio. Tutto ciò ha un notevole rilievo poiché è una testimonianza storica del fatto che le grandi vicende non videro il territorio varesino come un semplice subalterno della potente città di Milano o degli altri centri lombardi. Possiamo tranquillamente affermare che per svariati secoli abbiamo avuto un ruolo tutt’altro che marginale e che il nostro territorio ha avuto una parte fondamentale nel gioco degli equilibri per l’amministrazione del potere politico ed economico.

11/15/2001

Editoriale
Focus
Economia
Inchieste
L'opinione
Territorio

Politica
Vita associativa
Formazione
Case History
Università
Storia dell'industria
Natura
Arte
Cultura
Costume
Musei
In libreria
Abbonamenti
Pubblicità
Numeri precedenti

 
Inizio pagina  
   
Copyright Varesefocus
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
another website made in univa