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Arsago Seprio o Pisa, per me pari sono

Le similitudini tra il complesso di Arsago Seprio e quello di Pisa. La chiesa, il battistero, la torre campanaria… e un prato verde.

Dico perché, alcuni anni or sono, mi venne l'idea di comparare il complesso di Arsago Seprio a quello di Pisa.
Perché, anzitutto, i monumenti che vi prendono corpo: la chiesa, la torre campanaria ed il battistero, sono gli stessi che troviamo in quel mirabile campo; poi, fatte pure le debite proporzioni, parimenti spiccano sul verde di un prato, mettendo in luce volumi lapidei che suggeriscono un apprezzabile contrappunto cromatico: laggiù di marmi, qui di pietre; infine, appartengono al medesimo momento della storia dell'arte: sono monumenti del romanico, cioè di quel periodo che segna l'inizio del secondo millennio, e si datano tra la fine del secolo XI e tutto il XII.
Ciò, insomma, per richiamare l'attenzione del lettore su di Arsago per via di una singolarissima situazione ambientale e monumentale che altrove, nell'ambito delle terre prealpine, non si coglie con altrettanta evidenza e coerenza di stile.
Se poi si pone mente al fatto che dalle nostre terre mossero pure verso quelle della Toscana i costruttori di cattedrali, i maestri lapicidi e diverse maestranze di muro, un filo più saldo connette due località distanti ma non estranee al flusso di una corrente di cultura e di civiltà.
Cambia, e si vede a colpo d'occhio, il risalto magnifico che hanno i monumenti pisani per essere i segni forti di una Repubblica marinara: una potenza che esigeva di offrire un'immagine di sé rilevante, luminosa e prepotente, mentre il borgo di Arsago si accontentava di un rango più ridotto ma pur dignitosissimo e ben rimarcato.
Resta, e si conferma con le dovute varianti, il Battistero impiantato proprio davanti alla Chiesa vera e propria. Qui, addirittura, le sta tanto appresso da risultarvi quasi appiccicato, il che costituisce una curiosissima caratteristica che fa immediatamente riconoscere di essere ad Arsago.
Ma più importante è rilevare il perché della dislocazione. E' un segno che rinvia a radici originalmente cristiane, all'età del paleocristiano, ai tempi nei quali il rito del battesimo veniva amministrato per segnare la conversione dei pagani. Soltanto dopo essere stati battezzati si poteva entrare nella ecclesia, far parte della comunità, entrare dunque nella chiesa intesa anche come spazio fisico.
Esso segna, dunque, l'avvio di un percorso terreno da compiersi nel segno della Fede. Dal Battistero si passa alla Chiesa, basilica o duomo che siano, dove la tappe della vita del cristiano vengono scandite dai Sacramenti, fino all'ultimo momento, quando, ricevuto il viatico, si passa alla morte in attesa del Giudizio Universale.
Ed il campo della morte, il camposanto, è tutt'intorno alla chiesa come a voler riannodare e rinsaldare un vincolo stretto dal momento del Battesimo, quando venne cancellato il peccato originale.
Il percorso fisico segnato da queste tre tappe nasce da un percorso simbolico ideato da Sant'Ambrogio al quale si deve, in special modo, il progetto del Battistero che si fonda su di una pianta ottagonale e da quella si alza con un volume ben rimarcato e scandito nelle sue otto facce.
Dice Sant'Ambrogio che il numero otto è segno dell'infinito e dell'eterno, di ciò cui si deve pensare nel momento nel quale si rinasce a nuova vita attraverso il rito del Battesimo. Di più, riprendendo San Basilio, che spiegava le caratteristiche della domenica, giorno della risurrezione del Cristo, diceva: è il giorno realmente uno e veramente ottavo.
Ma non solo l'immagine finale spingeva il catecumeno a mirare verso l'eterno; altri passi venivano scanditi con fortissima allusione simbolica ed erano segnati dalle due porte per le quali si entrava ed usciva dal Battistero.
Entrando da quella di occidente si lasciava alla spalle il sole declinante, indizio di un percorso che si perde nelle tenebre del peccato, della notte; uscendo per quella di oriente, dopo l'immersione nella vasca allestita proprio nel centro del vano dell'edificio, si andava incontro alla nuova vita, sigillata dal sole nascente.
Questi messaggi furono affidati ad edifici nei quali era fondamentale il ruolo della luce che doveva attraversare le pareti dell'ottaedro e portare dentro un che di trascendente che si doveva combinare intensamente con il rito, che doveva, insomma, fare intendere l'abbandono dello spessore materiale per la ricerca di quello spirituale.
Quando nei tempi del romanico si provvide a dare corpo ad un Battistero che mettesse in pietra quella simbologia, non era più necessario ricorrere alla conversione dei pagani, essendo ormai più o meno tutti pacificamente cristiani, e rimarcare l'abbandono dei valori terreni. Fu necessario, invece, dare saldezza incrollabile a quel sacramento e a ciò provvidero i maestri costruttori del tempo per i quali fu punto d'onore dimostrare la maestria della loro professione erigendo un solidissimo volume, inattaccabile come deve essere un segno fondamentale della Fede, e chiudendolo con una volta lapidea che dimostrava l'ardimento di gente capace di serrare uno spazio con blocchi di pietra talmente ben combinati da rendere un tutt'uno saldissimo.
Una muratura che pareva quella di una muraglia di difesa eretta per un Castello medioevale; uno spessore di pietre rilevantissimo ed un folgorante messaggio di quella luce che tanto aveva invocato per sé il Santo della chiesa milanese, fatta diventare sigillo irradiante il segno della croce o ininterrotta sequenza di finestre centinate aperte proprio al piede della cupola, noncuranti di indebolirne l'impianto altrimenti solidissimo.
Ci si sente al sicuro in questo mausoleo che pur essendo sede provvisoria di passaggio per quel percorso cui ho fatto cenno, trasmette la certezza nell'incrollabile saldezza della missione che si sta per iniziare.
Ben diverso è il messaggio che manda la vicina basilica la quale, pur essendo stata costruita nel medesimo arco di tempo del Battistero: si pensa attorno ai primi decenni del secolo XII, respira una spazialità di origine paleocristiana.
Ci viene questa impressione perché l'edificio è organizzato con tre navate, con quella centrale ampia ed accogliente per contenere tutta la comunità e quelle laterali giusto di servizio per consentire l'accesso, l'uscita o lo snodarsi di processioni interne.
Essa viene confermata per via delle alte finestre, che trasmettono discreta quantità di luce, e della copertura affidata a capriate di legno a vista. I maestri di muro non se la sono sentita di affrontare la soluzione della copertura con volte a crociera, come s'era già fatto nel Sant'Ambrogio di Milano, e si sono rifatti a più semplici impianti, alternando pilastri a colonne, limitando la costruzione dei muri perimetrali a salde pareti di contenimento che non dovevano però essere indebolite da alcuna spinta.
Ma pur nella elementare scelta del progetto che sembra far tornare indietro nel tempo rispetto alla novità espressa nella costruzione della cupola del vicino Battistero, come se si volesse riannodarsi ai primi segni della chiesa cristiana, un'altra singolare lezione ci viene consegnata ed è quella che deriva dall'aver riusato per le colonne capitelli benissimo scolpiti che appartenevano però ad edifici tardo-romani, cioè pagani.
Chi costruisce sa benissimo valutare se un manufatto gli può tornare buono, e davanti ad una pietra scolpita, ad un capitello, ad un segno del lavoro dell'uomo che è una valida prova del suo mestiere e che può tornare utile per altri usi, non torce il naso e non lo scarta perché pagano. Lo riutilizza e ci dà una lezione sulla quale anche ai nostri giorni conviene meditare perché conserva una tradizione e la ammoderna.
Da ultimo, la torre campanaria: una mole lapidea possente, impiantata accanto alla chiesa come se dovesse servire a sostenerla. Veramente torre, con pochissime aperture, tolte quelle finali a bifora che furono accecate per consentire l'impianto del castello delle campane, altra singolarissima stranezza che segnala da lontano Arsago. Il fusto cresce scandito in specchiature regolari, serrate da saldi profili verticali e rimarcate da cornici marcapiano sotto le quali si distendono ariose sequenze di archetti ciechi pensili in pietra, che sono proprio gli elementi caratteristici dell'architettura romanica. Quando andrete ad Arsago vi accorgerete che anche questa torre… pende. Ma, allora, la mia idea d'apertura non era del tutto balzana!


Arsago Seprio, capo di pieve

La terra varesina, al pari di quella comasca, nell'età dei Comuni, fu la culla dell'architettura romanica (secoli XI-XII).
Essa diede corpo di pietra essenziale e rude ad una fede schietta, profondamente sentita ed espressa dalle nostre genti, specialmente ai tempi del martire Arialdo.
Non v'è paese, o borgo, o città dell'attuale provincia di Varese che non si segnali per una testimonianza del romanico: ora una sola torre campanaria (ad esempio Luino, San Pietro; Casciago-Morosolo, Sant'Eusebio); ora un oratorio campestre (Ligurno, Madonna di campagna; Sesto Calende, San Vincenzo); ora un convento (Badia di Ganna; Voltorre); ora una vera e propria chiesa (Gallarate, San Pietro; Gemonio, San Pietro; Brebbia, Santi Pietro e Paolo; ecc.). Arsago Seprio, però, essendo a capo della pieve, vanta su tutte un complesso monumentale veramente unico.

01/18/2002

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