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L'antica arte della ceramica varesina

Da Cunardo a Laveno, fino al museo di Saronno, la storia di un'arte-mestiere che nella nostra provincia ha raggiunto livelli di altissimo prestigio.

La fornace Ibis di Cunardo
Strana vicenda quella della ceramica d'arte nel territorio varesino. Tanto sono profonde le sue radici storiche - come stanno a dimostrare i reperti fittili della civiltà di Golasecca - tanto è difficile l'attenzione per una importante realtà che meriterebbe ben altra considerazione. Basti soltanto citare ciò che ha rappresentato a Laveno, l'illustre nome della Richard Ginori famoso in tutto il mondo.
E se i collezionisti avveduti non ignorano i nomi di località che hanno fatto e ancora fanno, in alcuni casi, storia - come Ghirla, Cunardo, Castello Cabiaglio, Laveno, Cislago - sanno bene gli addetti ai lavori, quelli rimasti, quanta fatica comporti portare avanti una attività che altrove (basti pensare solo a Albisola o Faenza) gode dei giusti spazi e riguardi. Il primo ostacolo sta forse proprio nella non conoscenza, o nel non adeguato riconoscimento, di un legame storico e di una tradizione.
"L'importante - dice Gianni Robustelli delle Ceramiche Ibis di Cunardo - è riuscire a formare artigiani di alta qualità".
Una ricerca recente di CNA Federazione regionale Lombarda realizzata in collaborazione con CNA e Confartigianato della provincia di Varese (finanziata dalla Regione e da Unioncamere Lombardia sull'artigianato artistico in provincia di Varese) segnala la presenza di ottanta realtà nel settore ceramico distribuite su tutto il territorio. Ma sono poco più di un quarto, secondo esperti e collezionisti, quelle che toccano buoni livelli.
Con alcune punte di elevata artisticità: come i Robustelli o come il lavenese Albino Reggiori - che lavora in coppia con la figlia Angela - e che è cresciuto alla scuola della ceramica di Laveno. Più facile invece che scultori o designer sconfinino con soddisfazione nel campo della ceramica: come Oreste e Antonio Quattrini, come il designer gallaratese Ambrogio Pozzi, come Marcello Morandini.
Da Cunardo a Cerro, all'eccezionale raccolta di Saronno, un viaggio nel mondo della ceramica varesina.
CUNARDO, LA STORICA FORNACE
Gianni e Giorgio Robustelli, delle ceramiche Ibis di Cunardo, in località le Fornaci, hanno raccolto l'eredità dei genitori e festeggiano quest'anno i cinquanta anni di attività. Ricordano che in Cunardo si faceva ceramica già ai tempi di Tiberio, come attestano le fonti scritte, e che proprio un Robustelli, un loro avo, era stato chiamato con altri quattro compaesani a metà Ottocento dal parroco di Premia, in Val d'Ossola in Piemonte, a far scuola agli aspiranti ceramisti del posto. Segno di una fama della ceramica locale che usciva già allora dai confini regionali.
E le fonti orali e le leggende raccontano anch'esse di magiche ricette e di uno strano personaggio, “il monco", depositario dei segreti del famoso blu di Cunardo. Nel '64, con Cunarte, i due Robustelli hanno creato un' intensa e parallela attività culturale, allacciando rapporti duraturi con esponenti del mondo dell'arte e della cultura, realizzando rassegne d'arte di levatura internazionale.
Nelle stanze del laboratorio ci sono pareti interamente coperte di piatti d'artista: è parte del nucleo storico alla base di un futuro museo che è nei progetti da tempo. Secondo i desideri dei Robustelli dovrebbe essere un museo vivo, sempre in movimento, il cui filo costitutivo sia il rapporto tra la ceramica artistica e l'arte contemporanea, e sia polo di interscambi con altri paesi d'Europa dove la ceramica d'arte è di casa, come, ad esempio, la Grecia e la Spagna o la Francia del sud.
Tra le illustri firme rimaste alle Fornaci si leggono quelle di Fontana e Burri, di Guttuso e Ennio Morlotti, di Baj e di Schumacher. E vibra ancora il ricordo della presenza di Aldo Carpi e delle gustose liti tra Guttuso e Alberto Milani. Anche Piero Chiara veniva a dilettarsi alle Fornaci, tanto da aver lasciato una collezione di piatti, dipinti di sua mano e destinati a essere riprodotti sulle copertine di alcuni suoi romanzi. Vittorio Tavernari ha sua volta prodotto per gli amici Robustelli le sue uniche ceramiche. Piaceva lavorare qui anche ai Frattini, padre e figlio, a Spaventa Filippi e Sergio Pasetto, a Gottardo Ortelli e Luciano Ferriani. E ancora da qui sono uscite opere per il Cimitero monumentale di Milano e per la città di Como, che ha richiesto un grande pannello dei Robustelli per un muro della città vecchia. Le soddisfazioni, insomma, non mancano e i clienti e i collezionisti arrivano anche dal Nord Europa e dall'America. Ma per intraprendere oggi un lavoro come questo ci vuole coraggio e voglia di combattere: contro la mancanza di fantasia e di passione, ma soprattutto contro la scarsa flessibilità della burocrazia. “Sappiamo di allievi che vorrebbero rilevare le botteghe di artigiani che lasciano, ma gli adeguamenti richiesti comportano oneri e spese immediate, insostenibili per chi comincia. Occorrerebbe concedere tempi più ampi". Di fatto, invece di puntare sempre sul terziario, molti giovani potrebbero trovare nel settore artigiano artistico una risposta occupazionale soddisfacente.
A CERRO, TRA VASI E SERVIZI
Nell'antico palazzo tardo rinascimentale di Cerro fatto costruire dai conti Guilizzoni e conosciuto come palazzo Perabò, dal nome del sacerdote Leopoldo Perabò - che vi pose la sede dell'Istituto di agraria nel 1907 - ha sede la Civica Raccolta di Terraglia, oggi anche Museo internazionale del design ceramico. Nato all'inizio degli anni Settanta attorno ad un nucleo originario di pezzi - un deposito della Richard Ginori e due collezioni provenienti dalle donazioni Scotti Meregalli e Franco Revelli - contiene un pregevole campionario che ben rappresenta gli oltre cento anni di ceramica che hanno caratterizzato l'economia di Laveno a partire dal 1856. In quell'anno, fondatori i soci Caspani, Carnelli e Revelli - che provenivano dalla Richard Ginori di Milano San Cristoforo - nacque la Società ceramica CCR, che diventerà nel 1883 SCI, Società ceramica Italiana. Tale denominazione verrà mantenuta fino al 1965, anno della fusione con la Richard Ginori.
Cartellone pubblicitario eseguito per l'Esposizione Nazionale di Torino del 1898Il museo, un museo decisamente specialistico, racconta e testimonia oggi non solo l'importanza in cifre di tale attività (nel periodo d'oro, dal 1935 al 1960, le fabbriche del settore davano lavoro a circa 4500 operai) ma soprattutto la indubbia, alta qualità raggiunta dalle ceramiche di Laveno, note nel mondo. Ai nuclei originali delle collezioni museali, che ricordano le tendenze storiche e artistiche della ceramica lavenese, si sono poi aggiunte nel tempo anche le donazioni di privati e soprattutto recenti produzioni di artisti di fama che con il museo hanno intrattenuto rapporti o hanno addirittura lavorato. Così Cerro può vantare opere di Arturo Martini e Lucio Fontana, di Pablo Picasso e Agenore Fabbri, di Marcello Morandini e Ico Parisi. Nelle sale del piano terreno sono ospitate diverse sculture di maestri come Enrico Baj, che ha lavorato in coppia con il figlio Andrea, Echaurren, Hsiao Chin, e alcuni esponenti della Keramika Leningrada, i bravi allievi di Valdimir Vasilkovskij: Gorislavstev, Kopylkov, Tsivin, Tsygankov, le cui opere, presentate in una importante mostra degli anni Novanta, sono oggi patrimonio della Civica Raccolta.
Né il flusso delle donazioni s'è mai arrestato. Tra le ultime, anche lavori di Oreste Quattrini, di Attilio Antibo, di Giorgio Robustelli.
Per tornare alla produzione storica locale, le undici sale del piano nobile contengono alcuni tra i pezzi più interessanti e noti, come il vaso liberty di Giorgio Spertini del 1906, il piatto con Madonna e San Giovannino di Focosi (1892-93), i piatti con paesaggio e bordura liberty di Jacopini del 1906. Ma la varietà degli oggetti in mostra è forse inattesa. Si parte da grandi vasi su colonna e portaombrelli, usciti dalle mani di artisti della SCI come Spertini, Beltramini, De Ambrosis, ma si ammirano anche rari pezzi da tavola dell'Ottocento, preziosi tête a tête e raffinati servizi di piatti, come quello in oro blu e cobalto eseguito nel 1906 per casa Savoia, con “ala smaltata in blu, corona in oro fino e colori sopra smalto". Nella sala Casanova Scotti spiccano, accanto al rinomato vaso liberty con montatura in metallo dello Spertini, due vasi blu e oro dell'architetto Portalupi. Una intera sala, con soffitto decorato da amorini, è dedicata all'arte innovatrice di Guido Andlovitz.
L'architetto che lavorò alla SCI dal 1923 e ne fu per molti anni direttore artistico, rappresenta con Giovanni Gariboldi uno degli esponenti più ragguardevoli dell'arte della ceramica lavenese tra le due guerre. Il secondo dopoguerra è invece raccontato dall'avveniristica fantasia di Antonia Campi, “nata e cresciuta" nella ceramica lavenese, autrice di una produzione ricca e interessante sia per interpretazione stilistica che per la varietà degli oggetti creati e, fin dalla nascita del museo, amica e collaboratrice di palazzo Perabò. Suo anche il grande vaso a smalti in terraglia, acquisito per volontà della stessa, come pure il grande pannello in terraglia forte che fu esposto alla IX Triennale di Milano.
Ma non è questo il solo pannello ceramico in mostra a Cerro: gli fanno compagnia quelli di Angelo Biancini, autore qui di altre pregevoli sculture, e del faentino Pietro Melandri. Al piano nobile del palazzo è infine in mostra una imponente parata di pezzi per uso igienico; dai decoratissimi “pot de chambre" (“jerry" per gli inglesi) alle romantiche tazze da bagno guarnite con delicatissimi motivi floreali, ai raffinati e praticissimi (almeno per l'epoca) servizi da camera. Si trattava di vere e proprie parure per l'igiene quotidiana, composte da vaso da notte, catino e brocca, piccole scatole porta sapone e porta pettine. Il tutto ingentilito da eleganti bordi in rilievo, decorazioni floreali o marmorizzate e preziose filettature in oro.
Oggi il museo di Cerro continua a dimostrare il suo amore per l'arte e gli artisti della ceramica con una serie di appuntamenti di livello. Fino al 13 luglio sarà in mostra la produzione del ceramista abruzzese Alessandro Pandolfi (1887-1953), che fu legato alla nostra terra da vincoli d'affetto e di lavoro.
CERAMICHE IN VILLA
L'elegante atmosfera di una villa di città, costruita nei primi del '900 e rimasta pressoché intatta nella disposizione delle stanze e degli arredi, è la cornice dell'esposizione permanente delle ceramiche a Saronno. La Fondazione Gianetti è la testimonianza più diretta dell'amore per l'arte di Giuseppe Gianetti che ha collezionato, fra gli anni trenta e quaranta, questa eccezionale raccolta, frutto di una ricerca nei maggiori centri europei e che è stata definita, dalla direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano, come una delle più belle raccolte private italiane dei nostri tempi.
La storia la racconta la responsabile del Museo Gianetti, Maria Rosa Tagliabue, volontaria della fondazione Coe (Centro orientamento educativo) un'associazione nata nel 1959 per valorizzare l'arte e l'animazione culturale nei paesi in via di sviluppo e della quale il Museo fa parte. Dopo un attento lavoro di catalogazione e ricerca, nel 1994 la villa, donata dalle sorelle Biffi, cognate di quel Gianetti fondatore della collezione, è stata aperta come Museo e il piano interrato è adibito a spazi espositivi offerti gratuitamente ad artisti dei paesi in via di sviluppo.
Il Museo saronnese si compone di una raccolta di circa 1.500 pezzi, molti dei quali sono rari e alcuni unici e che comprendono ceramiche orientali, maiolica fine e porcellane europee. Il periodo della raccolta è compreso tra il XVIII e il XIX secolo. La visita del Museo, ricavato nelle stanze della villa, tuttora permeate di un'atmosfera d'altri tempi, con quadri di ottima fattura alle pareti, mobili, tappeti e arazzi sempre facenti parte dell'arredo originale della villa, inizia con le bacheche contenenti le porcellane cinesi che durante il XVIII secolo conquistarono l'Europa e fecero furore tra i collezionisti dell'epoca. I temi ricorrenti di queste finissime porcellane sono le figure tratte dalle filosofie taoiste o buddiste, finemente disegnate secondo il gusto dell'epoca. Proprio per favorire l'esportazione dei manufatti, e quindi il commercio nell'Europa aristocratica di quel periodo, i cinesi dipinsero parte delle loro ceramiche con una grande varietà di motivi occidentali e, anche questo, fa parte di una “curiosità" per il collezionista e per il visitatore. Seguendo il percorso indicato e istruito da chiare schede storiche e spiegazioni, ci sono le porcellane di Meissen, in Sassonia, considerata la prima manifattura europea di porcellane e il cui metodo di lavorazione fu mantenuto segretissimo dal 1710 al 1719, anni in cui fu clandestinamente trafugato e successivamente divulgato in tutta Europa.
La particolarità di queste finissime porcellane, è da attribuirsi all'alchimista Johann Friedrich Bottger che abbandonò le ricerche alchemiche sulla fabbricazione dell'oro per dedicarsi allo studio delle terre colorate. Dopo molti tentativi, l'alchimista provò ad impastare caolino e alabastro calcinato e ottenne la famosa “Bottgerporzellan", un prodotto simile alla porcellana cinese per durezza, lucentezza e trasparenza. A quel punto, proprio per emulare le preziose porcellane cinesi, i pittori dell'epoca pensarono di decorare la nuova porcellana con motivi cinesi, le cosiddette “cineserie". Oggetti curiosi come il servizio da tè e caffè da viaggio, si trovano accanto alle teiere in forma antropomorfa o alle zuppiere e salsiere, ispirate ai prodotti della natura. Altre stanze della villa contengono le famose maioliche di Milano di Felice Clerici e dei suoi artisti, celebrate per la loro qualità che in breve tempo varcò i confini della Lombardia ottenendo, nel 1748, per merito della qualità eccezionale del prodotto, un aiuto dal governo cittadino attraverso l'esenzione delle tasse. Altre stanze contengono le porcellane di Venezia con un interessante repertorio di statuette del periodo rococò, raffiguranti i personaggi della commedia dell'arte. Un percorso davvero eccezionale che vale la pena di visitare, tenendo presente che il periodo e l'orario di apertura sono limitati, poiché la collaborazione si fonda sul volontariato.

Museo internazionale del Design Ceramico
Civica Raccolta di Terraglia
Palazzo Perabò, Cerro di Laveno Mombello
Apertura:
Martedì, mercoledì, giovedì 14.30/17.30
Venerdì, sabato, domenica 10.00/12.00-14.30/17.30
(luglio e agosto 15.30/18.30)

Fino al 13 Luglio:
Mostra del ceramista abruzzese Alessandro Pandolfi
Museo delle Ceramiche
Giuseppe Gianetti
via Carcano 9
tel. e fax. 02.960 2383
Apertura: da metà settembre a metà giugno, ogni martedì, giovedì e sabato: 15.00-18.00
Sono programmabili visite guidate per scolaresche e gruppi, a prezzi ridotti, indipendentemente dagli orari ufficiali
Costo del biglietto: 3 Euro

05/29/2003

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