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Settecento anni di storia, fede e politica

Ognuno dei 25 Anni Santi finora celebrati dalla Chiesa appare come uno straordinario specchio della situazione spirituale e sociale del proprio tempo.

Fede e politica, atti penitenziali e munificenza, solidarietà e nepotismo, miseria e nobiltà. Rivisitare nascita e morte dei Giubilei (fino ad oggi ne sono stati celebrati 25, se escludiamo quelli straordinari) significa ripercorrere come in un flash back sette secoli di storia della Chiesa. Ognuno di essi, infatti, è uno straordinario specchio del suo tempo. Fin dal primo, indetto da papa Bonifacio VIII con la bolla Antiquorum habet: "Noi concediamo pienissima indulgenza di tutti i peccati a tutti coloro che, nell'anno 1300, ed in qualsiasi centesimo anno a venire, si recheranno alle basiliche, veramente penitenti e confessati". Sui motivi dell'indizione di quel Giubileo si discute ancora oggi. Ma la principale spinta fu la volontà popolare. Gli ordini mendicanti che giravano in lungo e in largo per l'Italia ammonendo la Chiesa trionfante avevano diffuso un'ondata di spiritualità e fratellanza. E la voce dell'indulgenza si diffuse per le bocche di quei fraticelli prima ancora che da quella del Pontefice. Enorme fu il consenso: tra i pellegrini arrivarono a Roma anche Giotto, Cimabue e Dante, quel Dante che nella sua Commedia farà precipitare all'inferno proprio il suo artefice Bonifacio VIII.
Il Papa aveva dettato la scansione di quell'avvenimento: 100 anni. Così non fu. L'arco temporale si restrinse sempre di più, a testimonianza dell'importanza riscossa dall'evento. Il secondo arrivò, infatti, 50 anni dopo, con papa Clemente VI rifugiato ad Avignone per lo Scisma d'Occidente. Roma, prostrata da terremoti e carestie, fu invasa da due milioni di pellegrini.
Tra i "romei" (così si chiamano ancora oggi i fedeli che fanno un cammino penitenziale diretti a Roma) ci fu anche l'altro grande poeta del Medio Evo Francesco Petrarca. Urbano VI introduce una nuova scadenza: ogni 33 anni, durata della vita di Cristo. Sarà il suo successore a celebrarlo, nel 1390. Ma 33 anni sono troppo lunghi, anche per la Chiesa millenaria.
Ed ecco arrivarne un altro, dieci anni dopo.
La grande novità furono i pellegrini di Francia, incappucciati e vestiti di bianco, che auguravano ai viandanti "pace e misericordia". Con loro arrivò anche la peste.
Non tutti i Pontefici si comportarono naturalmente allo stesso modo. Martino V, nel 1423, aveva previsto per la prima volta l'apertura della Porta santa in San Giovanni in Laterano, ma non volle muoversi dal soglio pontificio. Niccolò V, il papa umanista fondatore della Biblioteca vaticana, volle invece visitare a piedi nudi le quattro basiliche che compongono l'itinerario devozionale del Giubileo (San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura, Santa Maria Maggiore), consolando i malati e distribuendo elemosine. Sisto IV, nel 1475, in pieno culmine rinascimentale, battezzerà per la prima volta l'avvenimento Anno Santo. Sisto IV attraversa il periodo più buio della Chiesa: la sede papale è intrisa di un cristianesimo sempre più paganeggiante e un nepotismo sempre più diffuso, giunto al culmine con Alessandro VI, quel papa Rodrigo Borgia padre di Lucrezia e di Cesare il "Valentino" che divenne duca di Urbino, famoso e temuto per coraggio e crudeltà.
Alessandro VI fissa il rituale, tra cui l'apertura e la chiusura delle Porte sante delle quattro basiliche maggiori. Sarà lui ad aprire quella di San Pietro con tre colpi di martello. Tra i pellegrini anche un illustre astronomo destinato a rivoluzionare le certezze della cosmogonia tolemaica e dei teologi: Niccolò Copernico.
Con il nepotismo arrivò il vento del Nord: la riforma di Lutero. E' in questo clima che Clemente VII apre il Giubileo, tra polemiche e critiche feroci contro una Chiesa accusata di autocelebrare se stessa e dimenticare il messaggio evangelico.
A Roma si recherà anche il mangiapreti Machiavelli, colui che aveva dedicato un celebre e sarcastico sonetto ad Alessandro VI: "Portato fu tra l'anime beate/lo spirito di Alessandro glorioso;/del qual seguirno le sante pedate/tre sue familiari e care ancelle, Lussuria Simonia e Crudeltate".
Probabilmente l'autore del Principe vi si recò più per il suo irresistibile desiderio di osservatore degli uomini e delle vicende umane che per fede.

Alla notte della storia succede il giorno, ovvero l'Anno Santo più spirituale e religioso di tutti i tempi, quello indetto da Gregorio XIII, il Giubileo delle confraternite, artefici di grande opere di accoglienza. Il papa volle accanto a sé per l'apertura della Porta santa niente di meno che Carlo Borromeo, che visitò le quattro basiliche a piedi scalzi. L'afflusso fu da record: trecentomila pellegrini al giorno. Fu proibito il carnevale, bloccato il prezzo degli affitti. Tra i pellegrini illustri anche il grande Torquato Tasso, il poeta "maudit" per eccellenza del Rinascimento, sempre a metà tra fama di gloria, lucida follia e desiderio di penitenza. Anch'egli seguì l'itinerario devozionale delle basiliche, arricchito di altre tre: San Sebastiano, San Lorenzo e Santa Croce.
L'Anno Santo del 1600 rispetta l'animo della Controriforma. Fu il Giubileo più affollato della storia: a Roma arrivarono intere popolazioni. Il Muratori parla di tre milioni di "romei".
Clemente VIII ne confessò alcuni di loro in prima persona, lavò loro i piedi e servì a tavola.

I corsi e i ricorsi si ripetono. Appena 25 anni dopo è la volta di uno dei papi più nepotisti della storia della Chiesa: Urbano VIII. Un Giubileo barocco, non soltanto per l'epoca in cui è immerso: Urbano VIII impiegò migliaia di scudi d'oro per costruire sontuosi palazzi e accogliere visitatori illustri. Il suo successore Innocenzo X non fu da meno: la nobiltà romana fece a gara per dare splendide feste. La porta di Santa Maria Maggiore fu aperta da un ragazzo diciassettenne già vestito di porpora, il cardinale Maidalchini, nipote del Papa. Nel 1675 il trionfo barocco è al suo apogeo: l'apertura della Porta santa in San Pietro fu accompagnato da un trionfo di moschetteria, mortaretti, tamburi e campane a festa. Attori, cerretani e commedianti fecero a gara per rappresentare opere nei grandi teatri fatti costruire per l'occasione dai più celebri architetti. In un impeto di pudore Clemente X proibì alle meretrici di scherzare alle finestre, agli osti e ai bettolieri di alzare i prezzi per i pellegrini.
Ma con il suo apogeo, il Barocco segnava anche la sua fine. Il 1700 è l'anno della ritrovata austerità con Innocenzo XII, il papa che con la bolla "Romanum decet" aveva proibito ai papi di arricchire i loro nipoti.

Anche Benedetto XIII nel 1725 volle un Anno splendido e severo, privo di luminarie e parate barocche. E al clero fu proibito di portare codini e parrucche alla maniera dei nobili.
I Giubilei non solo rispecchiano i tempi. A volte li subiscono. Quello dell'800 saltò per le campagne napoleoniche. Mezzo secolo dopo fu sospeso a causa dei fatti del '48. Per l'occasione ci fu un paradossale scambio di ruoli. Pio IX era esule a Gaeta, nel 1849, quando l'ateista Pietro Sterbini (fortemente indiziato dell'assassinio del ministro papalino Pellegrino Rossi) aveva cercato di indurlo a rispettare la scadenza giubilare. Ma il papa Mastai Ferretti fu irremovibile: niente Anno Santo. Vi fu anche chi sconsigliò quello del 1875, a cinque anni dalla breccia di Porta Pia: ma si decise di indirlo egualmente, pur molto ridotto.
I "mangiapreti" passarono al contrattacco. Nel febbraio, in piena quaresima, fu inaugurato persino il nuovo tempio massonico, con tanto di banchetto e cerimonia solenne. E i rapporti tra Chiesa e Stato rimasero a fior di pelle.
I tempi, come si vede, erano cambiati, ed anche i Giubilei. Non erano più sinonimo di fatica, sacrifici e pestilenze, di lunghe processioni nella foresta assediata da Ghini di Tacco, ladri e assassini.

Si rischiava altro: come l'irrisione pubblica degli anticlericali e dei massoni.
I rapporti tra le due sponde del Tevere si ristabilirono nel 1900, con papa Leone XIII, allora novantenne.
Fu un Anno Santo solenne e imponente, indetto proprio per riconciliare le parti. Ad accogliere i pellegrini furono le organizzazioni internazionali, non più le confraternite. Lo stesso per quello del 1925. Si sentiva già il vento dei Patti Lateranensi, firmati da Mussolini e Pio XI nel 1929, che non si sentiva più "sotto nemica dominazione" come i suoi predecessori.
Nel 1933, il Giubileo della Redenzione è annunciato da Pio XI alla radio. Quello del 1950, in piena Guerra Fredda, segnò l'affermazione della missione universale della Chiesa.
Milioni di pellegrini affluirono nella Capitale con ogni mezzo. Tra questi 6 mila motociclisti e i ciclisti del Giro d'Italia guidati da Ginettaccio Bartali. In bicicletta giunse anche un giovane parroco di Barbiana, don Lorenzo Milani. Fu un viaggio sofferto, perché il sacerdote non si era allenato ed era già cagionevole di salute. Giunto in San Pietro, appoggiato a una delle colonne del Bernini, assistette al passaggio di Pio XII tra due ali di folla. Don Milani considerava il Papa il baluardo della fede e lo affermava con forza nelle sue lettere. Ma mal sopportava le idolatrie papali. E così, al passaggio del pontefice sulla sedia gestatoria, girò platealmente le spalle mettendosi a leggere il breviario.

Il 1975 è la volta di Paolo VI. Il suo Giubileo ebbe uno straordinario successo. L'avvenimento andò in diretta in mondovisione. Si calcola che un miliardo di spettatori abbiano assistito all'evento. Bastava che i pellegrini visitassero una sola delle quattro basiliche (alle solite condizioni: confessione, comunione e preghiere) per acquistare l'indulgenza, che fu estesa anche a chi guardava la tv.
Tre anni dopo, l'anno dei tre papi (Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II), sale al soglio pontificio un giovane cardinale che la folla in San Pietro, quando viene annunciato dal balcone della madre di tutte le basiliche, pensa sia un africano: Karol Wojtyla.
Prima di quello che stiamo vivendo ne ha celebrati due straordinari: quello del 1983 per la Redenzione e quello del 1987 dedicato a Maria. Ma quelli, più che alla storia, appartengono al nostro presente.

06/05/2000

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