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Pitture attorno al bianco

Lawrence Carroll costruisce attorno al bianco e al tema della luce le sue complesse e infinite riflessioni sulla vita e sulla drammaticità dell'esistenza, in una produzione, in bilico tra pittura e scultura, che annovera opere particolarissime. E' quanto propone, a Varese, Villa Panza fino al 28 agosto con un'antologica (per la prima volta in Italia) dedicata all'artista.

Lawrence Carroll, Painting (4 parts), 1922-1955. Olio, cera e tela su legnoFar conoscere il monocromo e la produzione artistica di Lawrence Carroll, che ne è tra i maggiori interpreti. E' quanto ci propone Villa Panza dove il FAI ha allestito fino al 28 agosto un'antologica (per la prima volta in Italia) dedicata all'artista e alle sue "pitture attorno al bianco", curata da Angela Vettese e Giuseppe Panza. Proprio Panza, che di Carroll è collezionista entusiasta, ha voluto l'allestimento della rassegna nella suggestiva cornice delle sale ricavate dalle Scuderie, con le trenta opere tutte facenti parte della sua collezione: negli ambienti più caratteristici e disadorni della settecentesca e ricca dimora di Biumo Superiore dedicata all'arte contemporanea americana, accanto ai lavori dei colleghi del monocromo Sims, Simpson, Beckman, Graham, e alle ambientazioni luminose di Flavin, l'idea dell'arte lattescente e essenziale di Carroll prende corpo in uno spazio tutto suo, con esito felice.
Australiano di nascita ma residente in California e sempre più assiduo frequentatore del nostro paese, Carroll costruisce attorno al bianco e al tema della luce le sue complesse e infinite riflessioni sulla vita e sulla drammaticità dell'esistenza, in una produzione, in bilico tra pittura e scultura, che annovera opere particolarissime: quadri tridimensionali, sormontati spesso da sportelli o parti aggettanti, dove il candore del bianco è volutamente sporcato, come contaminato dall'uso e dal tempo. Sono ampi teli e lenzuoli cuciti tra loro, ispessiti dal pigmento e dalle cere, avvolti su se stessi o gli uni dentro gli altri come nuvole impacchettate, o issati su anime metalliche e telai di legno così da acquistare la rigidità di chiare pareti domestiche. S'intuisce nell'arte di Carroll, in quel suo ricorso al bianco e ai colori più tenui, una ricerca congiunta di poesia e di acquietamento, quasi l'autore volesse stemperare nel biancore e nell'idea di evanescenza delle sue opere l'assillo della quotidianità drammatica di cui ciascun uomo è protagonista e testimone. Non c'è vita e non c'è storia, pare significare Carroll, che non sottendano, all'apparente nitore della superficie, l'insidia dell'inatteso, indesiderato grumo di grigio o di nero. Ma non c'è macchia che non possa essere sanata da un intervento salvifico e chiarificatore. Ha questo senso anche il fatto che Carroll vada a cercare l'anima delle sue opere là dove gli uomini usano disfarsi di pezzi della loro vita, forse di una storia fattasi troppo pesante: ai margini della città, nelle discariche di periferia, ovunque qualcuno abbandona qualcosa di sé Lawrence Carroll accorre. E là si fa angelo. La sua missione è di recuperare gli oggetti - abbandonati, forse, anche in un estremo gesto di disprezzo - per riabilitarli e ridargli nuova vita. E alla loro anima ritrovata Carroll impone il vestito pudico e minimo delle sue tele, anch'esse già usate, a loro volta rivestite da uno strato di bianca pittura. Si tratta, come è stato notato dalla critica che segue ormai da anni il suo cammino di artista, di una operazione salvifica e poeticissima, che trova nell'oggetto il simbolo del riscatto di tutti quelli che sono in attesa di un segno per ricominciare, di una mano provvidenziale che li strappi ai rovi.
Dall'ampia produzione di Carroll che conosciamo, come dalle trenta opere disseminate tra i rustici di Villa Panza, si sprigiona, per chi sa leggerne i segni, l'umano fluido di un artista-amico, impegnato a scrutare il mondo con la necessaria impertinenza, ma anche con l'indulgenza di un compagno che, se sa godere il bello della vita, non si tira indietro nell'indagarne le povertà: quelle materiali delle squallide periferie delle grandi città americane e europee, dove ha spinto i suoi passi mosso dalla cultura della sua curiosità umana e d'artista, ma anche quelle spirituali di tanti suoi e nostri simili. Individui paradossalmente impoveriti da un vivere agiato, per gli eccessi di un'opulenza potente di tutto, tranne che della limitatezza dell'esistenza. E' in quest'ottica che la simbologia del bianco e attorno al bianco, che impronta tutta l'arte di Carroll, espressione del bisogno di verità e purezza, si scontra, come sottolineano i curatori della mostra, "con la coscienza del nostro stato transitorio, segnato dal tempo, dal nostro stesso invecchiare insieme alle cose che ci circondano".
Ed è ancora in tal senso, quello di una dialettica tra uno stato di solidità e uno di precarietà, che viene interpretata la sua sempre più evidente propensione alla tridimensionalità. Pur originalissima, l'arte di Carroll ha camminato insieme a quella di tanti suoi artisti coetanei - poeti e cantanti, pittori e musicisti - nati negli anni Cinquanta, in America o in Europa come in Australia, usi a cogliere i fiori più belli e colorati non nei giardini del mondo, ma sull'orlo dei fossi. Perché, dice il poeta, "il poeta come un acrobata s'arrampica sul bordo".

Lawrence Carroll
Pitture attorno al bianco
Villa Panza Varese
7 maggio- 28 agosto 2005 - 10.00-18.00
(tutti i giorni tranne lunedì non festivi) - tel.0332/283960
E-mail: faibiumo@fondoambiente.it

05/05/2005

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