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Un passo avanti, due indietro

Dal congresso di Rimini della Cgil la conferma della linea dura contro le ipotesi di riforma del mercato del lavoro e della previdenza. Prima dell'estate, ricambio per Cofferati e Sabattini.

I segnali che arrivano dal mondo politico-sindacale sono quantomeno contraddittori. Nel giro di poche ore, infatti, abbiamo assistito alla firma (da parte di tutte le organizzazioni compresa la Cgil) del contratto del pubblico impiego e dell'ennesima offensiva di Sergio Cofferati che continua a invocare conflitti e sciopero generale provocando tensioni interne ai confederali che non si ricordano da molti anni. Insomma, segnali contrapposti sulla strada di quel dialogo sociale che il Governo e il Ministro del Welfare, Roberto Maroni, continuano a sollecitare pur mantenendo ferma la certezza che la delega sul lavoro, e in particolare sull'articolo 18, non può essere ritirata.
Ma andiamo per ordine. Tra la metà di gennaio e i primi giorni di febbraio si sono esauriti gli scioperi a livello territoriale proclamati da Cgil, Cisl e Uil per chiedere al Governo un cambio di rotta in fatto di pensioni e mercato del lavoro. Proteste che - soprattutto nelle intenzioni della Cgil - dovevano fare da apripista a uno sciopero generale sul quale però Cisl e Uil hanno continuato a manifestare freddezza se non piena opposizione. In contemporanea il Governo ha accelerato le trattative per disinnescare un'altra pericolosa mina, vale a dire la vertenza sul rinnovo dei contratti pubblici e lo sciopero di tutto il settore a metà mese. L'intenzione del Governo si è subito rivelata chiara: piuttosto che cercare - come in passato - un'intesa con tutte le sigle sindacali, grandi accordi-quadro che richiedono faticose mediazioni, tempi lunghi e risultati spesso deludenti, è preferibile la via del passo dopo passo risolvendo i problemi che di volta in volta si presentano. Così è stato per il pubblico impiego, una partita complessa con i rischi di una prova di forza affrontata con i sindacati uniti. E' intervenuto il Vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, per dribblare queste insidie e nel giro di pochi giorni il contratto è stato fatto. Con la firma di tutti, compresa la Cgil, e quindi la soddisfazione generale. A dir la verità, forse, di non tutti, perchè all'interno della stessa maggioranza si sono alzate voci piuttosto critiche sulla compatibilità dei costi (come ad esempio il Presidente della Commissione Bilancio della Camera, il deputato leghista Giancarlo Giorgetti).
E anche il Presidente della Confindustria, Antonio D'Amato, ha messo in guardia dagli scambi impropri: per la pacificazione non si possono mettere in forse gli altri temi al centro del negoziato con le parti sociali. D'Amato ha chiesto, pertanto, al Governo, di trovare le giuste contropartite in termini di recupero di produttività così come prevede la politica dei redditi.
Per la Cgil, però, anche questo "pezzo" di un accordo più generale non è stato sufficiente per abbassare i decibel dello scontro, fin qui molto duro e aspro, e riportarlo sui temi "veri": il mercato del lavoro e la riforma delle pensioni, oramai non più rinviabili a patto di perdere competitività a livello di intero sistema-Paese. E così il 6 febbraio Sergio Cofferati ha ripreso a invocare lo sciopero generale come risposta a una politica del Governo che metterebbe in discussione diritti acquisiti 30 anni fa. Una dose di veleno conflittuale rincarata nella relazione conclusiva, quando ha indicato come unica strada quella dello scontro a costo anche di andarci da soli. Ma quello che ha stupito è stato un atteggiamento di conservatorismo che riporta indietro di decenni le relazioni tra le parti sociali.
Ancora una volta il sindacato si è trovato spaccato su una prospettiva esclusivamente conflittuale con Cisl e Uil, decisamente contrarie a un atteggiamento solo "muscolare" e poco riflessivo.
D'altra parte il congresso Cgil ha dimostrato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, che la partita sembra essere tutta personale, con Cofferati suggestionato più dalle prospettive politiche che dalla quotidianità sindacale. Il "signor no" si è ripetuto: non una proposta alternativa a quelle che sono sul tavolo, non una pur minima disponibilità al confronto, ma vigorosi colpi contro Governo e Confindustria. Il primo ad accorgersene è stato un suo oppositore interno, quel Giorgio Cremaschi, anima della sinistra confederale, che così ha liquidato la relazione di Cofferati: "Troppa politica, poco sindacato".
Per capire se quello di Cofferati sia un atteggiamento esclusivamente personale, dettato dalle ambizioni politiche e dal possibile ruolo che potrà giocare in futuro all'interno della coalizione dell'Ulivo in cerca di "facce spendibili" per risalire la corrente, si vedrà nei prossimi mesi. All'inizio dell'estate, infatti, Cofferati uscirà di scena per lasciare il posto all'attuale numero due, Guglielmo Epifani.
I prossimi mesi saranno, dunque, interessanti e decisivi anche per gli equilibri interni della maggiore confederazione sindacale italiana. Nella Cgil, infatti, abbandonerà un altro "duro": Claudio Sabattini, Segretario Generale della Fiom, che a tutti i costi ha scelto la strada dell'accordo separato nella vertenza del contratto metalmeccanici. Passerà la mano a Rinaldini, attuale capo della Cgil in Emilia Romagna che per tradizione - almeno finora - ha "sfornato" leader pragmatici e poco propensi agli slogan propogandistici.
D'altra parte, che la via del dialogo sia possibile lo hanno dimostrato anche alcuni fatti recenti come la firma del contratto degli edili, che ha fatto cadere un vecchio tabù come l'introduzione del lavoro interinale nei cantieri. Oppure l'accordo con Confindustria sul Fondo per la formazione continua in azienda. Quindi anche la Cgil, che tuona contro il sabotaggio della concertazione, poi si convince che il dialogo tra le parti sociali può portare a risultati importanti anche su singoli aspetti che interessano davvero imprese e lavoratori. Dovrà, però, dimostrarlo dopo l'ennesima prova di forza del leader in uscita, Sergio Cofferati.

02/15/2002

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