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Il Fidia di Ligornetto

La casa-museo di Vincenzo Vela, tra i massimi esponenti della scultura europea del XIX secolo, riapre le porte al pubblico. Al suo interno numerose sculture patriottiche, delicati ritratti di donne e bambini, notevoli opere pittoriche ottocentesche di area lombarda.

Il Museo VelaDopo sei anni di restauri, curati da Mario Botta, il Museo Vela di Ligornetto - primo in Ticino e secondo Museo Federale dopo il Museo Nazionale Svizzero di Zurigo - ha riaperto le porte al pubblico, mostrando il suo inedito volto di museo moderno, con un nuovo allestimento e con la bella mostra curata dal direttore Gianna Mina "Bellezze e verità. Le collezioni dell'Ottocento" La villa che ospita il museo era stata donata nel 1892 alla Confederazione da Spartaco Vela, figlio di Vincenzo (1820-1891), esponente del realismo scultoreo, tra i massimi rappresentanti della scultura europea del XIX secolo, nativo di Ligornetto.
Lasciata la patria ancor giovane, dopo la dura ma utile esperienza di scalpellino, il Vela aveva raggiunto a Milano il fratello Lorenzo (1812-1897), scultore d'ornato.
Spartaco Vela "Il Ventaglio", olio su telaLa formazione alla scuola di Brera e presso lo studio di Benedetto Cacciari gli consentirono di ricevere ben presto le prime commissioni e i primi riconoscimenti pubblici. Portavoce degli aneliti risorgimentali, come testimonia anche il Pantheon degli illustri nella sala ottagonale che del museo è il fulcro, a causa delle sue simpatie patriottiche Vincenzo Vela era stato costretto a lasciare Milano per rifugiarsi a Torino. Là trovò simpatia e solidarietà negli ambienti liberali della capitale: e dal 1865 ebbe la cattedra di scultura all'Accademia Albertina. Rientrato in patria, dopo quasi quindici anni di lavoro in Torino, il "Fidia di Ligornetto" aveva scelto il suo buen retiro in quella casa alta sulla campagna ticinese, circondata da un grande parco, che gli consentiva di ospitare la famiglia e il lavoro, con l'atelier e le varie collezioni. Concepita in origine come residenza colonica estiva, la casa, il cui progetto era stato affidato dal Vela a Cipriano Ajmetti, architetto del Duca di Genova, venne dunque utilizzata dallo scultore anche come museo privato. Inaugurata il 16 giugno del 1865, con una parte abitativa e una sala di esposizione, accolse per lunghi anni le visite degli amici artisti di Vela e dei tanti suoi estimatori. Fu poi donata dalla famiglia, come detto, alla Confederazione. A sei anni dalla morte dell'artista, avvenuta in Ligornetto nel 1891, la bella dimora venne designata ufficialmente Museo Vela.
E ancora oggi rappresenta la tappa fondamentale per chi voglia conoscere l'opera e la vita dell'artista, di cui si raccontano nelle ventidue sale del percorso museale, accanto alle vicende professionali, concretizzate nelle copie in gesso delle sue più importanti opere - prima tra tutte quella del celeberrimo "Spartaco" - e nei tanti bozzetti in gesso e terracotta, anche quelle familiari e umane: si va dunque dalla cultura, alla fortuna e alla gloria dell'uomo, agli affetti più stretti. Per il fratello e il figlio, entrambi artisti, ma anche per la moglie. L'avvenente modella Sabina Dragoni fu, oltre che ispiratrice, devota compagna e solerte segretaria dell'artista. La sua fondamentale presenza nella vita di Vincenzo è ricordata dai ritratti e dalla bella mano in marmo, che fa coppia con quella dello scultore, nella teca di una delle sale, accanto alle due stecche, simbolo e strumenti del lavoro di lui.
Francesco Hayez "Genio alato", olio su telaL'impronta precedente della costruzione era dunque quella di una casa d'artista, caratterizzata dalla sua tipologia domestica, con la successione dei diversi locali legati alle funzioni di cucina, atelier, biblioteca, camera, mentre ora il visitatore si trova decisamente immerso in una moderna casa-museo. Pur nel rispetto delle forme neoclassiche e della storia dell'edificio, che ha mantenuto quale perno il grande salone ottagonale, la scelta di Botta, attorno alla quale - come ha egli stesso sottolineato - si è lungamente discusso e lavorato, è stata nel segno di un rinnovamento funzionale. Volto, oltre che all'adeguamento tecnico degli impianti e a una ottimale utilizzazione della luce naturale, all'accoglimento di un numero maggiore di opere, precedentemente non esposte e sacrificate in spazi inaccessibili al pubblico, per le quali Botta ha studiato anche i basamenti, tutti diversi tra loro. Mentre la rassegna permanente delle opere dello scultore rimarrà al piano terreno del museo, al primo piano saranno accolte le rassegne temporanee, che consentiranno tra l'altro la visione a rotazione dei numerosissimi pezzi compresi nelle collezioni di Ligornetto. Notevoli e numerose sono tra l'altro le opere pittoriche ottocentesche di area lombarda collezionate da Vincenzo, dal fratello Lorenzo e dal figlio di Vincenzo, Spartaco (1854-1895), pittore a sua volta.
Lorenzo Vela "Studio interrotto", marmoSi è comunque ricreato nelle sale l'allestimento originale ideato dallo stesso Vela e tramandato da documenti iconografici e numerose descrizioni.
Il salone principale, quello dell'ottagono, mostra al centro la monumentale statua equestre del duca di Brunswich: che è tornata là dove il Vela l'aveva collocata, nella grande sala in cui il padrone di casa riceveva gli ospiti, tra i più importanti modelli in gesso delle sue opere. La statua, che in realtà non fu mai eseguita, venne ideata dallo scultore per il Mausoleo Brunswich di Ginevra: attorno è il Pantheon con gli uomini illustri della storia d'Italia, tanto che il museo può essere in questo senso considerato quale museo storico, e le opere sono volte a celebrare personaggi e fatti che portarono all'unità italiana. Tra le statue dei protagonisti (dodici in tutto) quella di Giuseppe Garibaldi realizzata per il monumento di piazza Della Vittoria in Como, di Vittorio Emauele II richiesta dalla Municipalità di Torino, di Carlo Alberto, di Camillo Benso di Cavour. Il salone accoglie, inoltre, un alto numero di ritratti eseguiti dal Vela per i contemporanei, rappresentanti dell'aristocrazia e della borghesia illuminata che ebbero cara la sua eclettica scultura: se il Vela ritrasse i protagonisti, evidenziandone la potenza, seppe infatti anche esprimersi con delicatezza di sentimenti, soprattutto dinnanzi alla bellezza femminile e infantile, come il museo e le sue sale dimostrano ampiamente. Si vedano, ad esempio, i ritratti della contessina Leopoldina d'Adda che gioca col cane, o quello intitolato "Lo studio interrotto", o la deliziosa specchiera per camino, tutta giocata sul rispecchiamento dei corpi femminili, che il Vela disegnò per il salotto della villa, o ancora "La Primavera", collocata nel parco, e i tanti altri splendidi ritratti muliebri e di bambini, molti destinati a monumenti funebri.
Ritratto di Vincenzo Vela dipinto dal figlio SpartacoIl tema sociale è, invece, rappresentato al museo dall'originale in gesso del celebratissimo bassorilievo "Le vittime del lavoro", opera capitale del secondo Ottocento europeo del 1882, collocata nella grande abside, dedicata agli ideali e alla patria elvetica, dove sono anche i gessi dei ritratti di Stefano Franscini e Guglielmo Tell. Era venuto spontaneo all'artista proporre il bassorilievo, il cui tema non gli era stato commissionato da alcuno: un operaio moribondo esce in barella dalla miniera, sorretto dai compagni, muti testimoni della tragedia che si sta consumando. Ancor oggi è simbolo dell'impegno di un artista protagonista del proprio tempo, che fece della sua opera come l'intero percorso museale dimostra non un puro esercizio di bravura, ma lo strumento di un'indagine culturale e umana a tutto campo.

09/13/2001

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