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Nervi saldi, c'é la crisi

Dopo l'11 settembre, un rallentamento dell'economia mondiale ma non necessariamente una recessione profonda

"Tutte le famiglie felici si somigliano, ma ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo". Questa frase di Tolstoj dimostra tutto il suo valore inalterato nel tempo, anche se la applichiamo a quanto accade all'economia in questo periodo... ogni crisi è "infelice" a modo suo.
E' sempre difficile fare previsioni economiche, soprattutto che si realizzino, ma lo è ancora di più in periodi in cui i cambiamenti di scenario sono così rapidi e tumultuosi perché legati a fattori esogeni caratterizzati da un'evoluzione in larga parte imprevedibile. Di sicuro in questo momento c'è solo che la data dell'11 settembre ha segnato una cesura tra un prima ed un dopo, di cui gli effetti economici sono ancora tutti da valutare.
Grande impatto avrà la capacità di tenere sotto controllo le aspettative da parte di imprese, consumatori e mercati finanziari. Ora più che mai il richiamo alla solidità dei comportamenti potrà condizionare le conseguenze sull'economia reale.
E' infatti indubbio che l'attentato dell'11 settembre scorso e la successiva risposta armata provocheranno un rallentamento dell'economia mondiale, ma non necessariamente si genererà una fase di profonda recessione: il confronto con episodi internazionali precedenti dimostra che le conseguenze più gravi si sono sempre verificate quando, oltre alle tensioni politiche, vi sono stati forti aumenti dei prezzi delle materie prime.
Passando in rassegna, come hanno recentemente fatto gli economisti del Centro Studi di Confindustria, i principali episodi di tensione politico-militare degli ultimi sessant'anni, da Pearl Harbour alla guerra del Golfo, ci si accorge che il legame tensione-conflitto-recessione può non essere così linearmente immediato.
Molto dipende dal tipo di conflitto che si genera: se si riesce a mantenere un fronte limitato e a circoscrivere gli interventi attraverso una serie di operazioni mirate, dopo una prima naturale reazione emotiva i mercati potrebbero gradualmente ritrovare degli equilibri più bassi, ma non necessariamente recessivi. Gli episodi che hanno avuto le conseguenze più gravi nel passato sono infatti stati quelli in cui, oltre alle tensioni politiche, vi furono forti aumenti dei prezzi delle materie prime (guerra del Kippur nel 1973, rivoluzione in Iran e guerra con l'Iraq nel 1979, Guerra del Golfo nel 1990-91). Negli altri episodi (in particolare Corea, Vietnam), le conseguenze negative furono molto limitate e rapidamente sopravanzate dagli effetti espansivi dell'aumento della spesa militare. Una considerazione di ottimismo può derivare dunque dal fatto che la situazione sembra oggi molto diversa da quella che si registrò nei tre principali episodi di impennata dei prezzi del petrolio. Sarà quindi decisiva la capacità di ricreare un clima di fiducia da parte dei leader politici e delle autorità di politica economica. La Fed e la Bce hanno reagito con tempestività e non sono da escludere ulteriori interventi nel corso dei mesi a venire. L'Opec ha dimostrato ragionevolezza: il prezzo del petrolio, dopo una prima brusca risalita, è progressivamente tornato su livelli normali e tuttora si mantiene su livelli inferiori a quelli di un anno fa. E' probabilmente controcorrente, ma non del tutto illogico nutrire un cauto ottimismo sulle possibilità che da questa crisi si possa uscire prima e meglio di quanto si fosse temuto in un primo momento. Sicuramente non sarà una crisi indolore, sicuramente non si potrà evitare che vengano lasciati morti e feriti anche in campo economico, sicuramente muteranno, come già stanno mutando, le abitudini di consumo. Ma, a meno di gravi degenerazioni nel conflitto, rimane ancora aperto uno spiraglio per poter limitare i danni all'economia. E' lo spiraglio dell'ottimismo della volontà. E' lo spiraglio dei comportamenti razionali. E' lo spiraglio che ci permetterebbe l'uscita più onorevole dalla recessione.

Il Centro Studi di Confindustria, sulla base dell'analisi dei "fondamentali" dell'economia, ritiene che il clima di fiducia nell'operato dei leader occidentali giustifichi un cauto ottimismo sulla crescita mondiale.
In Italia, dove è ancor più necessario l'avvio di una politica di riforme, il Pil dovrebbe crescere dell'1,9% sia nel 2001 sia nel 2002. Il disavanzo 2001 si attesterà attorno all'1,5%. Nel 2002 scenderebbe all'1%. La variazione tra 2001 e 2002 (meno 0,5%, ossia da 1,5% a 1%) sarebbe in linea con quella di altri paesi europei, tra i quali Francia e Germania.

LE PREVISIONI DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
DOPO L'ATTACCO AGLI USA
2000
2001
2002
2003
VARIABILI INTERNAZIONALI
Prezzo del petrolio (dollari al barile)
28,6
26,0
25,0
24,0
Pil mondiale (var. % media annua)
4,5
1,7
2,5
3,3
Pil Stati Uniti (var. % media annua)
4,1
1,2
1,8
3,5
Pil Euro -12
3,4
1,7
1,8
2,9
ITALIA
Prodotto Interno Lordo (var. % media annua)
2,9
1,9
1,9
2,9
Consumi privati (var. % media annua)
2,9
1,7
2,1
2,8
Investimenti fissi lordi (var. % media annua)
6,1
1,6
3,7
7,3
- macchinari e mezzi di trasporto (var. % media annua)
7,8
0,8
4,7
11,0
Esportazioni (var. % media annua)
10,2
6,0
2,6
5,5
Importazioni (var. % media annua)
8,3
3,9
3,2
8,2
Tasso di disoccupazione (%)
10,6
9,8
9,7
9,2
Inflazione (var. % media annua)
2,5
2,8
1,8
1,3

Alla fine l'economia reale prevale su quella finanziaria

A poco più di un mese di distanza dal tragico attacco alle Torri Gemelle e a qualche settimana dalla risposta armata sono molte le considerazioni che si possono fare, ma una su tutte può prevalere: l'effetto-panico sui mercati finanziari è rimasto contenuto. All'indomani dell'attacco terroristico in molti avevano temuto il dilagare dell'allarme tra gli operatori, tanti erano stati la sorpresa ed i danni provocati da ciò che era accaduto. Tuttavia gli interventi coordinati delle Banche Centrali, la moral suasion attuata sul mercato americano ed il prevalere del buon senso sull'allarmismo hanno permesso che a 30 giorni data dalla riapertura di Wall Street i mercati azionari abbiano recuperato larga parte se non tutto il loro valore.
D'altro canto, come si desume dalla tabella del Ned Davis Research, anche in tutte le altre crisi del passato gli effetti sulle Borse si sono sempre riequilibrati in tempi relativamente brevi.
Bisogna infatti considerare che economia finanziaria ed economia reale possono procedere solo per poco tempo in maniera disallineata, ma alla fine di tutto sarà sempre l'economia reale a prevalere perchè è ad essa che rispondono i bisogni fondamentali di tutti noi, nella nostra veste di consumatori, imprenditori o risparmiatori.

Le reazioni dei mercati americani agli "atti di guerra" del passato
Evento
Data
Reazione iniziale*
1 mese dopo
3 mesi dopo
6 mesi dopo
Pearl Harbor
7/12/1941
-6,5%
3,8%
-2,9%
-9,6%
Guerra in Corea
Giugno 1950
-12%
9,1%
15,3%
19,2%
Crisi dei missili a Cuba
Ottobre 1962
-9,4%
15,1%
21,3%
28,7%
Bombe Usa sulla Cambogia
1971
-14,4%
9,9%
20,3%
20,7%
Invasione Usa di Grenada
Ottobre 1983
-2,7%
3,9%
-2,8%
-3,2%
Invasione Usa di Panama
Dicembre 1989
-1,1%
-2,7%
0,3%
8%
Guerra del Golfo
Gennaio 1991
-4,3%
17%
19,8%
18,7%
Fonte: "Il Sole 24 Ore" su dati Ned Davis Research - (*) In qualche caso il valore indicato si riferisce ai primi giorni seguenti all'azione di guerra

10/18/2001

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