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Un nuovo scenario nelle relazioni internazionali

Bush ha saputo costruire intese, forse occasionali, che rivoluzionano la carta geopolitica del pianeta, ma quanto può resistere questa coalizione che tiene insieme paesi e interessi diversi e spesso ostili? Su questo interrogativo si gioca la vittoria o la sconfitta dell'America e dei suoi alleati.


Il terrorismo islamico ha sconvolto l'America e ha rimescolato gli equilibri e le alleanze internazionali. Non è ancora possibile tentare un bilancio della rivoluzione geopolitica in corso. Ma alcuni dati sono sotto i nostri occhi e dimostrano la vastità del terremoto provocato dall'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono.
L'America ha subito incassato la solidarietà dell'Europa, dei suoi alleati storici.
Alcuni hanno aderito toto corde - Gran Bretagna in testa - altri con qualche "mal di pancia". Ma per ora il fronte euratlantico tiene. Soprattutto, Bush ha saputo costruire intese, forse occasionali, che sconvolgono la carta geopolitica del pianeta. Per colpire il bersaglio - l'Afghanistan in quanto rifugio di bin Laden -
Washington non ha solo costretto il regime pakistano a farsi suo strumento contro i taliban, ma ha ottenuto l'avallo di Russia, Cina e in buona misura anche India, le grandi potenze regionali. Persino l'Iran sciita, uno dei sette Stati classificati dagli Usa come sponsor del terrorismo, ha espresso solidarietà al popolo americano né pare troppo turbato dai piani di Bush, purché mirati contro l'odiato rivale sunnita bin Laden e i suoi amici afghani e non contro altri paesi islamici. Si noti di passaggio che oggi l'America trova al suo fianco le potenze nemiche o neutrali della guerra fredda, contro le proprie creature (i taliban e bin Laden, eroi della resistenza all'Armata Rossa), fra l'altro ben ramificate in Stati considerati a torto o a ragione amici, come il Pakistan e soprattutto l'Arabia Saudita (ciò che dovrebbe indurre alla cautela i nostri alleati statunitensi, che spesso ci rimproverano qualche ammiccamento di troppo a regimi "intoccabili" come la Libia o l'Iran). L'America ha risposto alla guerra con la guerra. La strage delle Torri Gemelle e del Pentagono ne ha compattato il patriottismo. Questo non è un conflitto "a zero morti" (altrui), ma uno scontro nel quale sono morti già migliaia di americani - insieme a centinaia di cittadini di altri paesi, italiani inclusi. Per vendicarli e per salvare la nazione in pericolo, stavolta gli americani mettono in gioco le loro vite.
Ma quanto può resistere questa coalizione semiplanetaria, che tiene insieme paesi e interessi talmente diversi e spesso ostili? Su questo interrogativo si gioca la vittoria o la sconfitta dell'America e dei suoi alleati. Se è vero che scopo di bin Laden e soci è di disarticolare i regimi arabi moderati - cioè filo-occidentali, almeno entro certi limiti - la risposta sta nell'impedire questo disegno. E qui, per Washington, si apre un pericoloso iato fra le necessità della disarticolazione delle reti terroristiche e l'imperativo di tenere insieme nella coalizione almeno i maggiori paesi arabi e islamici. Molti dei quali ospitano al proprio interno basi più o meno clandestine affiliate ai terroristi antiamericani. Colpire il Libano, forse, è ancora possibile. Ma se si affondasse l'attacco contro l'Iraq, ad esempio, quali sarebbero le conseguenze? Meglio non immaginarlo.
Inoltre, per vincere questa partita bisogna circoscrivere l'obiettivo. Estirpare il terrorismo dalla faccia della terra è velleitario. Anche perché il mio terrorista è il tuo patriota - non esiste una definizione oggettiva di chi sia o meno un terrorista. Quello che si può e si deve fare è disarticolare con ogni mezzo - dalla politica alla finanza, dall'intelligence all'impiego della forza militare - il terrorismo di sterminio. Un nuovo tipo di minaccia capace di uccidere migliaia di persone per volta e di sconvolgere la pace sociale e civile dei nostri paesi. O saremo in grado di liquidarlo, o ne saremo liquidati.

10/18/2001

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