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Rocca di Angera sentinella del territorio

Prosegue l'itinerario di Varesefocus attraverso le più importanti testimonianze storiche dell'antico Contado del Seprio. La Rocca di Angera, baluardo su una delle principali vie di comunicazione verso il centro Europa.


Ogni tanto si dovrebbero riprendere in mano le carte geografiche, specie quelle regionali o provinciali, perché con uno sguardo attento e ben calibrato ci si renderebbe facilmente conto dell'importanza geografica, quindi storica e politica, del territorio che oggi è indicato come la provincia di Varese.
Esso, infatti, giace entro due guide che sono, ad occidente ed a oriente, i laghi Verbano e Lario, connessi dal Ceresio, il cui impianto capriccioso si snoda dentro e fuori tra Porlezza, Porto Ceresio e Ponte Tresa, per consentire alle sue acque di defluire nel Maggiore attraverso il fiume Tresa.
A capo del lago Maggiore è Locarno, che in età romana e medioevale fu il porto più importante del lago, la cui funzione risalta appieno se si considera che alle spalle si distende la profonda piana di Magadino, sigillata dai castelli di Bellinzona: la "porta d'Italia". Difatti al di là di essi si aprivano, come oggi, due vie importantissime per raggiungere il centro dell'Europa attraverso i passi del Lucomagno e del San Bernardino.
Si può pertanto apprezzare la rilevanza strategica di questa terra che le derivò, e pur le deriva, dall'essere di frontiera, come una frizione che innestò l'asse della storia tra il Milanese ed il centro dell'Europa e viceversa, e che tuttora può servire allo scopo.
Ne consegue che di necessità in questo scenario si dovesse montare la guardia ora sulle acque dei laghi, ora sulle rive, ora all'imbocco delle vallate che dalle terre interne vi conducevano, e ciò fu avvertito a partire dalla dominazione dei Romani per venir ribadito in quella dei Longobardi e trovare massimo risalto nell'età che vide i comaschi Torriani, o Della Torre, contro i milanesi Visconti impegnati a contendersi il dominio di queste terre nel corso della seconda metà del Duecento ed entro i primi anni del Trecento. Angera e la sua Rocca sono la più esemplare e convincente risposta alle tematiche poste in premessa. In età romana fu il secondo porto del Verbano, dopo quello di Locarno; in quella altomedioevale vide ergersi una fortificazione proprio a cavaliere della via di terra che viene dal lago di Monate, sito tra i primi ad essere interessato dalla evangelizzazione ambrosiana, e da Brebbia, capo di Pieve. Dirimpetto, Arona, dove stava un altro castello a vigilare sul bacino inferiore del Verbano prima che le sue acque defluiscano nel Ticino a Sesto Calende, luogo destinato dai Romani all'esazione dei dazi sulle merci in transito. Sommariamente delineata la centralità di Angera nel contesto delle terre circostanti, è più agevole avvertire il risalto affidato alla luminosa mole della sua Rocca che diventa veramente punto di all'erta e di richiamo per quanti si muovono nel bacino inferiore del lago. Le strutture oggi in vista rimontano ai secc. XII/XIII, cioè ai tempi delle contese sopra ricordate tra Torriani e Visconti; aggiunte furono apportate dai successivi proprietari, i Borromeo, che ne entrarono in possesso nel 1449, ai tempi della Repubblica Ambrosiana, e tuttora la detengono avendola resa magnifica sede di visita, in sé per il rango dell'edificio, e per talune esposizioni che prendono risalto nella prestigiosa sede.
Il motivo che mi induce a richiamare l'attenzione del lettore consiste in una ben specifica porzione della Rocca che è la "Sala di Giustizia".
Essa si giustifica anzitutto perché in età medioevale la giustizia veniva amministrata dai Signori delle terre ed a quella funzione veniva assegnato uno spazio congruo, di per sé capace di incutere rispetto e timore a quanti vi fossero pervenuti o stati condotti.
E' un grande austero salone, distinto in due campate voltate con strutture gotiche a crociera costolonata, di tutta pietra, di un sapore rude, schietto, temperato da venature di colore che riescono appena ad alleggerirne la severità.
Sugli intonaci stanno affreschi importantissimi per la storia della pittura italiana del Trecento, sia per la qualità sia, specialmente, per il rilievo del soggetto.
Difatti vi sono svolte figurazioni di argomento storico che illustrano le fortunate imprese dell'arcivescovo milanese Ottone Visconti, fondatore della potenza futura di quella famiglia (fu l'uomo che nel 1287 aveva fatto capitolare Castelseprio per poi farlo radere al suolo) contro Napoleone Della Torre. Servì da traccia per illustrarle il poema di Stefanardo da Vimercate, cantore delle gesta di Ottone, famoso per la vittoria di Desio riportata sul predetto Napo che, in ginocchio, ancora armato, davanti all'arcivescovo a cavallo, chiede pietà per sé e per i suoi. Il ciclo, di autore non identificabile ma di apprezzabile mestiere che si data a partire dal 1314, anno in cui Matteo Visconti tolse definitivamente di mano ai Torriani la Rocca di Angera, facendosela propria ed ornandola delle più alte imprese dei suoi viene commentato dalle figurazioni espresse nelle soprastanti lunette che rendono conto di come, nella concezione del tempo, si intendesse far derivare il buon esito delle imprese degli uomini dall'influsso derivante dalle congiunzioni degli astri. Due pertanto sono i motivi che segnalano l'assoluta novità di questa testimonianza annidata entro la Sala di Giustizia della Rocca di Angera. Il primo è di costituire un raro esempio di pittura nella quale il sacro non si afferma in primo piano mentre prende amplissimo campo il racconto delle imprese degli uomini, a modo di una anticipazione dell'affermazione umanistica del condottiero, del Principe di machiavelliana memoria. Il secondo riguarda lo stile del pittore e della sua bottega che, pur non essendo di altissima qualità, segna il trapasso da forme tardo-bizantineggianti, dal narrare lento e solenne del romanico, verso accenti gotici, senza aver nozione delle moderne e sconvolgenti testimonianze pittoriche che Giotto aveva lasciato sia a Milano, sia a Padova.
Se si alza lo sguardo, come fatto all'inizio, per collocare la testimonianza appena data nella più articolata entità della storia coeva, si troverà che i segni dell'età nuova nella quale l'uomo diventava protagonista della propria storia hanno, in quel periodo di tempo, magistrale risalto sulle pareti del Palazzo pubblico di Siena per mano di Simone Martini e di Ambrogio Lorenzetti, con uno stile al confronto del quale il nostro risulta più limitato ed arcaico.
Ciò serve, tuttavia, per richiamare al lettore una questione evidentissima alla quale non si darà mai abbastanza voce, e dunque adeguato rilievo: che, cioè, la storia delle nostre terre non scorre lontana e distinta da quella delle altre più rinomate o fatte propriamente conoscere per più alto rango, ma convive perché connessa dalle vicende degli uomini le cui trame portano in evidenza un tessuto affatto continuo che va conosciuto ed apprezzato per intero e non più soltanto per fatti o ritagli isolati, ancorché prestigiosi, al fine di rendere più esauriente il quadro delle vicende passate.

05/09/2002

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