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Il mondo del non profit

Una complessa e variegata realtà, quella del non profit, senza una normativa ad hoc. Anche per evitare confusioni con il for profit.

ECONOMIA DI FRONTIERA
Agiscono come imprese, ma non sono imprese. Hanno bilanci da far quadrare, dipendenti da pagare, fanno profitto anche se hanno il divieto di redistribuirlo e producono beni o servizi: tutto ciò fa sì che esse rientrino a pieno titolo fra chi contribuisce a formare il Prodotto Interno Lordo del Paese.
Ma poi vi è la frontiera. Nella loro "mission" vi è il concetto di bene sociale, il valore aggiunto prodotto è costituito di volta in volta dalla coesione tra soggetti, dalla capacità di aggregazione, dal recupero di persone in difficoltà, dalla tutela di beni artistici o dell'ambiente, dalla promozione dello sport. Il tutto potendo godere di sgravi fiscali, agevolazioni e finanziamenti ad hoc e potendo assumere forme differenti: associazioni di volontariato riconosciute e non, fondazioni, comitati, cooperative sociali e poi si potrebbero aggiungere anche una serie di enti contigui come le Ong (organizzazioni non governative), le Società operaie di mutuo soccorso (Soms) e le Ipab, i Gruppi di protezione civile, la Croce Rossa e le associazioni pro Loco. Ma vi è però una seconda frontiera. Da una parte ci sono le piccole aggregazioni, per lo più del volontariato e dell'associazionismo sociale, dove non vi sono dipendenti, dove i bilanci sono semplici conti in "dare" e "avere" e dove non si assume l'onere di offrire servizi articolati, ma piccole mansioni quotidiane di aiuto al prossimo. Dall'altra parte ci sono i soggetti complessi con decine di dipendenti, bilanci a cinque o sei zeri e l'assunzione in carico di servizi di assistenza complessi pari a quelli di un soggetto pubblico. Il livello di specializzazione e professionalità è tale che sempre più spesso è lo stesso soggetto pubblico, in primis nel settore sanitario e dall'assistenza, che sceglie - in nome dell'abusato concetto di sussidiarietà - di esternalizzare alcuni servizi demandandoli a questi soggetti chiamati anche del "privato sociale".
Siamo arrivati di fronte all'impresa sociale? Si direbbe di sì, anche se il legislatore italiano ancora si appresta a prenderne atto con un disegno di legge delega che risale al luglio scorso e che prevede tra le altre cose l'obbligo di iscrizione dei soggetti, chiamati Inlus (Imprese non lucrative di utilità sociale), al registro camerale delle imprese e la possibilità di partecipazioni societarie per soggetti del for profit. Un discorso questo che lascia al di fuori le Cooperative sociali che, all'interno del terzo settore, possiedono già oggi una loro specifica connotazione.
Per ora le diverse realtà fanno riferimento a normative giuridiche, fiscali e amministrative differenti, magari ancora centrate su ciò che era in passato e che nel frattempo è cresciuto e si è evoluto.
Ciò determina il rischio di una confusione che, come accade anche nel for profit, finisce per andare a vantaggio dei più scaltri. Gli strumenti di controllo ci sono, una Agenzia apposita con sede a Milano, più nota come "Authority del terzo settore o delle Onlus", sta scaldando i motori per avviare le prime verifiche.
STORIE DI ORDINARIO NON PROFIT
Il terzo settore nel Varesotto occupa oltre 6mila persone e contribuisce a formare l'1,2% del Pil nel settore dei servizi: ecco chi ne fa parte. Il primo Censimento ISTAT delle istituzioni e imprese non profit, pubblicato nel 2001, parla di 38.108 persone coinvolte in esso nella nostra provincia. Di esse 30.603 sono volontari, ma accanto a questi troviamo tra l'altro 5.231 dipendenti e 1.109 collaboratori parasubordinati. In termini di PIL il non profit in provincia rappresenta l'1,2% del settore servizi. Ma chi veramente lo compone e come funziona? Ecco qualche esempio pratico che va dalle associazioni, passando per fondazioni e comitati per finire con la cooperazione sociale, la più simile per forma e struttura rispetto al settore for profit. Due centri diurni, uno a Bobbiate e uno a Bregazzana frequentati giornalmente da 55 giovani e adulti con disabilità gravi, a questi si aggiunge il Centro residenziale di San Fermo, i progetti obiettivo, il servizio ambulatoriale e il trasporto domiciliare. E' questa la realtà dell'Anffas (Associazione nazionale famiglie disabili intellettivi e relazionali) presente a Varese dal 1978 e formata in primo luogo da famiglie che hanno al loro interno disabili mentali. La complessità e l'articolazione dei servizi messi in campo è tale che è stata necessaria la creazione di un braccio operativo costituito dalla fondazione "Renato Piatti", Organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus), che conta su di un personale effettivo di circa 100 persone tra amministrativi, tecnici e terapeuti e personale infermieristico. Ecco un esempio di non profit o terzo settore con una precisa mission: assicurare ai disabili mentali e alle loro famiglie una migliore qualità della vita e tutelare i loro diritti. Come l'Anffas diverse altre sono le realtà dell'associazionismo che, a livello provinciale, operano nel comparto della disabilità cooperando ad esempio con la Asl provinciale che nella primavera scorsa, proprio per mettere in contatto questi soggetti ha organizzato al centro fieristico Malpensafiere la prima fiera dedicata a chi offre servizi per i disabili. Vi è poi il comparto della sanità, altro ambito in cui è facile trovare esempi di associazioni di volontariato che assumono un ruolo sempre maggiore. Si pensi ad esempio a quando si chiama il 118. La telefonata viene smistata dalla centrale operativa e, sul luogo dell'incidente, arriva l'ambulanza. Potrebbe trattarsi di un mezzo sulla cui fiancata si legge Sos Malnate, Sos Valbossa, o Sos dei Laghi, con un equipaggio fatto di personale dipendente e di volontari. L'intervento è possibile perché esiste una convenzione tra l'associazione di volontariato e l'Azienda ospedaliera che ha esternalizzato parte dei suoi compiti affidandoli a soggetti del terzo settore o non profit che già da tempo operavano nel settore di urgenza ed emergenza.
Sos Malnate è il tipico esempio di associazione volontaria, legalmente riconosciuta, che è cresciuta notevolmente in termini di quantità e qualità di servizi offerti, strutturazione del bilancio e personale impiegato. I soldi non possono mancare per pagare il carburante e assicurare la possibilità di un soccorso 24 ore su 24, ma ciò che manca è la finalità di lucro: gli utili - come prescrive lo statuto - devono essere reinvestiti all'interno delle attività dell'associazione.
Il "convenzionamento" con associazioni di volontariato è una strada spesso percorsa dal pubblico, soprattutto per i servizi socio sanitari, al fine di esternalizzare alcune funzioni e i relativi costi di gestione. Proprio questo ha generato lo spostamento di diverse realtà dall'ambito "puramente" volontaristico e quello più strutturato e organizzato per gestire servizi. E poi ancora nel non profit vi sono le Fondazioni oppure i Comitati di soccorso, di beneficenza o di promozione di opere pubbliche: forme queste ultime meno diffuse, ma non per questo meno interessanti.
Un discorso a parte meritano, nell'ambito del non profit, le cooperative sociali dove più facile è abbozzare alcune cifre complessive per il nostro territorio. L'ultimo censimento realizzato dall'Assessorato provinciale ai servizi sociali ha preso in considerazione oltre un centinaio di queste particolari aziende presenti sul territorio e attive in diversi ambiti.
Ci sono le cooperative di tipo A, vale a dire quelle che gestiscono servizi socio sanitari ed educativi (ad esempio comunità alloggio, assistenza domiciliare, Rsa - residenze socio assistenziali o Cse - centri socio educativi) che hanno come utenti per lo più minori (47%) o anziani (30%). Ed accanto ad esse ci sono le cooperative di tipo B impegnate invece in attività diverse (agricole, commerciali, industriali o di servizio) e che hanno raggiunto fatturati di tutto rispetto nell'ambito delle pulizie, della manutenzione del verde e delle attività di assemblaggio conto terzi dando lavoro per lo più a persone con problemi psichici (38%), ex tossicodipendenti (29,7%) e invalidi fisici (13,9%).
A rendere particolari le cooperative sociali di tipo B, è il fatto che esse si muovono in diretta concorrenza con il for profit in alcuni ambiti di intervento specifici, avendo però alcune peculiarità. Questi soggetti, infatti, godono di un canale preferenziale presso la pubblica amministrazione che, nel dare loro incarichi ad esempio per le pulizie o la manutenzione del verde, può derogare alla disciplina vigente in materia di contratti. Inoltre per le persone svantaggiate assunte - che devono essere almeno il 30% della manodopera totale - la contribuzione assicurativa e previdenziale è totalmente a carico dello Stato. Una strada scelta dal legislatore per dare sviluppo a questa importante forma di integrazione sociale che non deve però diventare un paravento per nascondere casi di concorrenza sleale, dannosa non solo per il mercato, ma anche per chi operando nel non profit ha fatto una precisa scelta di impegno a favore della società.
TERZO SETTORE TARGATO VARESE: UN DECENNIO DI CRESCITA
Il non profit in provincia è destinato ad assumere dimensioni sempre maggiori per effetto della nuova legge sull'assistenza.
Un punto di osservazione privilegiato per il terzo settore in provincia di Varese è rappresentato dal Cesvov (Centro di Servizi per il Volontariato della provincia di Varese) finanziato dalle Fondazioni ex bancarie per erogare servizi gratuiti di consulenza alle organizzazioni di volontariato e, sulla base di una convenzione con la Provincia, alle associazioni di promozione sociale: restano fuori dalle competenze le cooperative sociali.
"Quando abbiamo presentato il risultato di una ricerca sul volontariato ed associazionismo nel Varesotto - dice Maurizio Ampollini, direttore del Cesvov - qualcuno si è stupito dei numeri. Si tratta di 1460 organizzazioni, in molti casi piccole realtà locali che non si possono definire 'imprese sociali'. Accanto a queste ve ne sono altre che, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno cominciato a strutturarsi e a erogare servizi complessi, spesso in regime di convenzione con l'ente pubblico soprattutto nel settore socio-assistenziale-sanitario". Che il fenomeno stia diventando rilevante è confermato del primo censimento ISTAT delle istituzioni e imprese non profit pubblicato nel 2001 che vede un gran numero di realtà presenti nel Varesotto.
"Si tratta - spiega Ampollini - di una realtà in crescita anche per gli effetti della nuova legge sull'assistenza che coinvolge le componenti del settore non profit sia in fase di elaborazione dei piani di zona che di gestione dei servizi. Inoltre questa legge pone fine alla plurisecolare esperienza delle IPAB, Istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza". Nei prossimi mesi molti di questi enti, che operano soprattutto nel campo delle scuole materne e degli istituti per anziani, si trasformeranno in fondazioni o associazioni. Il numero complessivo degli occupati e la produzione economica del settore subirà un notevole balzo verso l'alto.
Tutto bene dunque? "Ogni medaglia ha il suo rovescio. Molti problemi derivano dalla scarsa omogeneità della legislazione di riferimento e dal fatto che enti che sono trattati nel primo libro del codice civile si trovano a dover operare nei fatti come imprese. C'è da augurarsi che la razionalizzazione della normativa vigente e l'istituzione delle INLUS (imprese non lucrative di utilità sociale) vadano in porto al più presto, individuando così un soggetto specifico che possa operare secondo le regole comuni del gioco tenendo conto della qualità e della concorrenza. Si tratterà di una svolta epocale che consentirà ai volontari di essere se stessi di avere strumenti operativi più adeguati a fornire prestazioni e servizi".
A FAR RISPETTARE LE REGOLE CI PENSA L'AUTHORITY
A partire dal settembre scorso è stata istituita l'Agenzia di controllo per gli enti non commerciali e le Onlus con sede a Milano e presieduta da Lorenzo Ornaghi, rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Si tratta di un controllore speciale che ha il potere non solo di vigilare e ispezionare, ma anche di indirizzare e promuovere. Alle sanzioni, in caso si riscontrino irregolarità, penserà invece la giustizia ordinaria.
Con la pubblicazione del regolamento attuativo sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 17 agosto 2001, sono stati chiariti i connotati di un organismo la cui creazione era già prevista dalla legge 662/96.
La maggiore garanzia che l'organo dà ai privati cittadini è quella di vigilare sulle campagne degli enti non profit per la raccolta di fondi e sull'utilizzo di mezzi di comunicazione. Altro compito da non dimenticare sarà quello di fornire pareri obbligatori nel caso della devoluzione del patrimonio di enti che siano entrati nella fase di scioglimento. Tra le facoltà riconosciute all'Authority vi sarà quella di promuovere azioni concrete, di offrire un supporto tecnico per le iniziative legislative adottate a ogni livello dall'Amministrazione, e anche di contribuire a conoscere meglio consistenza e natura del vasto mondo del terzo settore. L'Authority, infatti, potrà elaborare proposte sulla costituzione dell'anagrafe unica delle Onlus: un passo quanto mai necessario per dare maggiore chiarezza al settore.

Ma ci sono anche le organizzazioni non profit "mascherate"

Anche nel non profit non è tutto oro quello che luccica. Esistono casi in cui si hanno fenomeni di scarsa trasparenza o azioni di concorrenza impropria, per non dire a volte sleale, rispetto allo stesso non profit, oltre che al for profit. Può accadere, ad esempio, con le raccolte fondi. Ci sono pseudo associazioni che, magari sfruttando un nome simile a quello di organizzazioni note e di tutto rispetto operanti a livello nazionale (ad esempio nel campo delle cura di malattie rare), organizzano raccolte di offerte. Buste intestate, loghi simili, parole toccanti ed il gioco è fatto: un caso su tutti è stato recentemente segnalato da una trasmissione come "Striscia la notizia", ma gli esempi sulla poca trasparenza delle raccolte fondi non mancano. L'aggravante, in questi casi, è rappresentata dal fatto che si fa leva sulla buona fede della gente, ma il danno prodotto in termini di credibilità è ben maggiore per chi, al contrario, devolve onestamente i soldi raccolti nelle campagne di questo tipo.Un altro caso è rappresentato dai soggetti che si mettono in concorrenza con il privato nella gestione di servizi in convenzione con il pubblico, avvalendosi di finti volontari che vengono retribuiti con rimborsi spese forfettari. In questo modo si ha ovviamente un grosso taglio delle spese rispetto al concorrente che paga i dipendenti a costo di mercato, e si possono praticare prezzi stracciati. Una situazione che sta "doppiamente" al di fuori della legalità. Non solo la legge impedisce che vi sia remunerazione per i volontari, a salvaguardia del principio di gratuità che è alla base della legge stessa, ma in aggiunta si crea una vera e propria situazione di lavoro in nero. Altro infine il discorso sul controllo dei requisiti delle Onlus: a parte infatti le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Cooperative sociali e organizzazioni di volontariato iscritte agli appositi registri) che lo sono di diritto e nel rispetto di precise regole, per le altre per diventare Onlus basta la sola autocertificazione. In questo modo si accede a un regime fiscale agevolato. Ad oggi, per chi vuole approfittare dei benefici senza avere i requisiti, la cosa non presentava grosse difficoltà. Le cose dovrebbero cambiare, vista l'istituzione dell'apposita Agenzia governativa che deve svolgere tra le altre cose i controlli e che sta diventando pienamente operativa in questi tempi.

11/21/2002

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