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L'orientamento ha bisogno di buone pratiche In Italia, nel campo dell'orientamento agisce una pluralità di soggetti tra loro scoordinati e con competenze fortemente eterogenee. Claudio Gentili, Direttore del Nucleo Education di Confindustria, sostiene la necessità di integrare in un unico percorso formativo tutte le variabili in gioco: le attitudini, i percorsi formativi e gli sbocchi professionali. E' stato più volte evidenziato come nel campo dell'orientamento si stiano diffondendo delle cattive pratiche che impediscono l'affermazione di un modello di orientamento che coinvolga tutti i soggetti. In Italia, nel campo dell'orientamento agisce una pluralità di soggetti tra loro scoordinati e con competenze fortemente eterogenee. Le pratiche di orientamento risultano nella maggior parte dei casi autoreferenzianti (la scuola, ad esempio, considera solo l'aspetto della prosecuzione degli studi), non riescono a integrare i tre aspetti del problema (attitudini, percorsi formativi, sbocchi professionali). Occorre avviare e sviluppare un sistema integrato di orientamento, capace di raccordare i diversi soggetti e di tener conto delle migliori esperienze realizzate in Italia e nell'Unione Europea. Nel nostro paese, come è stato spesso sottolineato da esperti della materia il problema è quello della combinazione di studio scientifico, interventi specializzati e pratiche quotidiane. Quello che comunemente si intende per orientamento comprende tutti e tre questi elementi e non può essere identificato con uno solo. Si tratta di un complesso articolato di attività che devono essere precisate e collegate e non selezionate univocamente.
Da qualche anno a questa parte Confindustria ha deciso, di rivolgersi direttamente al mondo giovanile, lanciando fin dal marzo 1996 una campagna nazionale per l'orientamento degli studenti e organizzando la Giornata Nazionale giunta alla XIII edizione. Per una scuola al passo con i tempi infatti l'orientamento rappresenta una leva strategica che può funzionare solo attraverso un dialogo costante con il mondo delle imprese. I giovani hanno oggi di fronte a sé un mercato del lavoro complesso e in continua mutazione, nel quale avranno difficoltà ad orientarsi senza una profonda rivisitazione, da parte delle istituzioni educative, dei propri obiettivi formativi. Si tratta quindi di integrare in un unico percorso formativo tutte le variabili in gioco: le attitudini, i percorsi formativi e gli sbocchi professionali. Per quanto riguarda le attitudini, si tratta di aiutare i giovani a scoprire se stessi (valutarsi, ma anche avere più fiducia, non rinunciare alle prime difficoltà); lo spazio, (assumere un atteggiamento esplorativo verso il mondo esterno, non considerato come qualcosa che si dovrà subire, avere più curiosità); il tempo (non si vive solo nell'immediato: passato, presente e futuro sono un insieme inscindibile se si vuole dare un senso alle nostre azioni). Per quanto riguarda la prosecuzione degli studi, si tratta di aiutare i giovani a capire che gli studi rappresentano uno strumento per operare nella società, per essere protagonisti della propria vita attiva e che il titolo di studio è un punto di partenza e non di arrivo, poiché nella vita attiva non si smette mai di imparare. Per quanto riguarda gli sbocchi professionali, si tratta di aiutarli a comprendere i principi di base e le componenti fondamentali del contesto economico; i meccanismi di funzionamento di un'organizzazione produttiva, le figure di riferimento e gli strumenti, formali e non, per l'inserimento. Ritengo che senza una strategia che veda alleati scuola, università, enti locali, regioni, imprese, i dati deludenti del mancato orientamento dei dropouts e delle scelte sbagliate saranno inevitabilmente destinati a crescere. Ai decisori pubblici a livello nazionale e territoriale spetta fare un serio esame di coscienza e correre ai ripari. 11/06/2006 | ||||||||
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