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Le privatizzazioni un'occasione di sviluppo per il paese

Le privatizzazioni come strumento per la liberalizzazione dell'economia e per garantire agli utenti efficienza ed economicità nei servizi

Un'ondata di privatizzazioni sta attraversando il pianeta, figlia di scelte di bilancio o di decisioni di politica economica, motivata sulla base di obiettivi di risanamento, di sviluppo, di competitività. Con la comune denominazione di "privatizzazione" si tende genericamente ad indicare qualsivoglia processo di riduzione della presenza pubblica nell'economia, sia questa relativa a servizi di pubblica utilità (dalla sanità ai trasporti, dalle scuole alle telecomunicazioni) sia genericamente ad attività industriali o di servizi. Il fenomeno ha dimensioni significative in ogni angolo del pianeta: dai paesi più liberisti, dove riguarda soprattutto i servizi di pubblica utilità in quanto certi governi non hanno mai pensato di doversi occupare della produzione di beni o servizi di mercato, alle economie che escono da esperienze pluridecennali di pianificazione centralizzata. In mezzo, paesi come l'Italia o le socialdemocrazie nordeuropee, in cui la presenza pubblica nell'economia aveva raggiunto livelli di straordinaria ampiezza.
La presenza pubblica nell'economia ha motivi nobili: la garanzia di fornitura di servizi essenziali alla cittadinanza con prezzi e qualità controllabili, lo sviluppo di aree arretrate del territorio, la salvaguardia dell'occupazione in zone di crisi, la gestione di attività produttive strategiche per motivi di sicurezza nazionale o di interesse pubblico. Le esperienze di intervento pubblico nell'economia hanno dimostrato che lo strumento ottimale per raggiungere questi obiettivi non è sempre la gestione diretta da parte della mano pubblica: nei casi migliori gli obiettivi di interesse pubblico sono stati sì raggiunti, ma con livelli di efficienza generalmente bassi; in altri casi interessi particolari hanno avuto la prevalenza su obiettivi di natura sociale e generale, cosicchè risorse di tutti sono state indirizzate verso obiettivi di pochi. Comunque, il costo sociale di una forte presenza pubblica nell'economia è progressivamente apparso a molti superarne i benefici.
Anche la teoria economica, che ha pienamente giustificato l'intervento pubblico nell'economia nei casi di cosiddetto "fallimento del mercato", si è scontrata con l'evidenza che
i costi associati all'intervento dello Stato in economia sono sempre più frequentemente apparsi superiori ai benefici.
Senza rinunciare agli obiettivi propri dell'intervento pubblico, negli ultimi quindici anni si è quindi sviluppato un processo di ripensamento degli strumenti di tale intervento: se la presenza pubblica diretta genera facilmente sprechi o distorsioni, obiettivi di natura pubblicistica sono perseguibili anche, e forse meglio, lasciando lavorare il mercato e concentrando la capacità di intervento pubblico nelle fasi di indirizzo, regolamentazione, controllo, creazione di condizioni di sviluppo.
Per i servizi di interesse pubblico, e per quelli a rete in particolare, la gestione pubblica diretta è stata tradizionalmente giustificata sulla base dell'esistenza di condizioni di "monopolio naturale", ossia di non duplicabilità per motivi tecnici o economici delle infrastrutture di rete. Sulla base di tali motivazioni e di considerazioni di natura tecnica, si sono riservati al monopolista anche attività quali la realizzazione di impianti telefonici interni o la fornitura di apparecchi telefonici per uso domestico, che nulla avevano a che fare con l'esistenza di condizioni di monopolio naturale. Il progresso tecnologico ha reso chiaro, nelle telecomunicazioni come nei casi dell'energia elettrica e del gas, che il processo produttivo può essere scomposto in varie fasi e solo alcune di queste hanno caratteri di non duplicabilità. Nel caso delle telecomunicazioni la digitalizzazione dei sistemi e la diffusione delle fibre ottiche hanno progressivamente ristretto al cosiddetto "ultimo miglio" i caratteri monopolistici, ad anche questo appare seriamente minacciato dall'integrazione delle tecnologie.
Le privatizzazioni sono in realtà solo uno degli strumenti per realizzare un processo di liberalizzazione dell'economia, potenzialmente portatrice di efficienza anche nell'interesse collettivo. Le privatizzazioni corrono a volte più di quanto accada ai processi di liberalizzazione, perché rispondono anche a precisi obiettivi di risanamento del bilancio pubblico, prioritari in molti paesi nel determinare l'accelerazione dei processi di vendita di quote di aziende pubbliche. Ragionevolmente, la liberalizzazione dei mercati di riferimento dovrebbe procedere ogni privatizzazione, al fine di evitare che monopoli pubblici si sostituiscano a quelli privati e che le rendite di cui hanno abbondantemente beneficiato le imprese pubbliche si vadano a riproporre per i nuovi proprietari o amministratori. Solo a queste condizioni la cessione di quote di imprese pubbliche può avvenire in un quadro di ragionevole stabilità del quadro di riferimento per gli investitori.
L
e privatizzazioni possono costituire una straordinaria occasione di sviluppo, ma costituiscono anche una sfida alla capacità di un paese di costruire istituzioni di governo dell'economia. Richiedono infatti almeno tre condizioni: nuove forme di regolamentazione (i monopoli tendono ad autogovernarsi), un poderoso sviluppo del settore finanziario (un paio di grosse privatizzazioni possono rinnovare il mercato borsistico), un adeguamento del diritto societario. Un processo di ricostruzione istituzionale che va quindi ben oltre la semplice vendita di quote azionarie.

03/06/2000

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