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Impresa Angelo Costa, un liberista tra etica e impresa

A cent'anni dalla nascita, l'attualità di pensiero di un grande imprenditore genovese che è stato tra i ri-fondatori di Confindustria al termine del secondo conflitto mondiale.

"Risulterà allora più evidente che tra i problemi economici e sociali non solo non esiste contrasto di interessi, ma che non è possibile risolvere gli uni indipendentemente dagli altri". Una sintesi senza contraddizioni tra etica ed economia caratterizza la visione del mondo di Angelo Costa, imprenditore genovese di cui cade quest'anno il centenario della nascita, primo presidente di Confindustria dopo la sua ricostituzione al termine del secondo conflitto mondiale.
Etica e impresa, sono stati i due riferimenti fondamentali del suo pensiero e della sua azione. L'agire economico - ricorda Franco Mattei, a lungo direttore di Confindustria, nel volume celebrativo edito a cura dell'associazione industriali di Genova - deve esplicarsi per Angelo Costa nella massima libertà possibile, teologicamente perché la libertà viene da Dio ed empiricamente perché solo in regime di libertà si può manifestare la capacità di uomini e di imprese ad operare economicamente sul mercato. Ogni monopolio, di diritto o di fatto, distorce l'assetto naturale dei rapporti economici, comportando inevitabilmente distruzioni di ricchezza; perciò occorre essere sistematicamente avversi, principalmente per ragioni sociali, ai privilegi, ai premi, ed in genere a tutti gli interventi che alterano l'equilibrio del mercato. Gli interventi pubblici discrezionali sono fonti di corruzione, oltre che di diseconomia; in una economia controllata si finisce con il non più distinguere ciò che è lecito da ciò che è illecito; ed i margini vincolistici finiscono con il favorire le grandi imprese e danneggiano le minori. Le regole per una politica economica sana debbono applicarsi sia alle economie ricche che a quelle povere; queste ultime ne hanno ancor più bisogno. L'equilibrio della finanza pubblica è una delle prime regole da osservare senza farsi suggestionare dalle facili politiche del disavanzo programmato o dalle manovre puramente monetarie.
La lungimiranza di Angelo Costa, ad una rilettura dei suoi scritti, ha dell'incredibile e spiega l'autorevolezza che seppe conquistarsi nei suoi interlocutori di allora. Alla carica di presidente della ricostruita Confindustria giunse sconosciuto non solo all'opinione pubblica, ma anche al mondo industriale. La ragione della sua chiamata al vertice era dipesa, in larga misura, dal non essersi mai compromesso con il passato regime, in omaggio alle profonde convinzioni di libertà dell'individuo e dell'impresa. Ben presto risultò a tutti evidente la caratura del personaggio e la struttura originale di un pensiero che fondeva la difesa della libertà economica con una visione quasi monacale dell'impresa.
Il liberismo di Angelo Costa non ha avuto però nulla a che vedere con una qualche forma di lassez faire, miope ed egoistica. E', semmai, contiguo al liberismo intriso di passione civile dei De Viti De Marco, dei Maffeo Pantaleoni, che, alla fine dell'Ottocento, contrastavano le politiche protezionistiche di allora in quanto corruttrici della società nella convinzione che la difesa del libero mercato ha sempre un chiaro significato morale.
A fondamento del suo sistema di valori stava una ferma fede cristiana e una pratica di amore che si traduceva specialmente nella carità (un'attenzione al "prossimo" dove il "prossimo" può includere tutto il mondo, ma partendo dai più vicini: la famiglia, l'impresa nella quale si lavora, le comunità nelle quali si vive) e nella sincerità. Da qui anche la principale preoccupazione che informò la sua condotta sindacale, tesa ad evitare, nei difficili momenti post-bellici, l'esplodere delle tensioni sociali mediante il raggiungimento di intese di fondo, con la controparte, sulle questioni più urgenti, soprattutto in materia salariale. In altri termini, una condotta sindacale finalizzata a rimuovere i nodi più macroscopici che impedivano il regolare svolgimento dell'attività produttiva (erano, quelli, anni di grandi agitazioni politico-sindacali) per mettere mano, in un secondo momento, alla costruzione di un articolato e razionale sistema di relazioni industriali.
Per le sue chiare convinzioni e ferme posizioni, ebbe molti riconoscimenti. Luigi Einaudi così commentò il suo primo incontro con l'imprenditore genovese: "Se nella nuova Italia vi sono, come mi pare di vedere, molti industriali, commercianti, agricoltori, lavoratori del tipo di Angelo Costa, dobbiamo sperare bene".

Angelo Costa
ETICA E IMPRESA
Erga edizioni, 2001
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Angelo Costa nacque a Genova il 18 aprile 1901 da una famiglia di antiche tradizioni mercantili. Terminati gli studi alla scuola superiore di commercio dell'Università di Genova, entrò nel 1925 a far parte dell'impresa di famiglia, potenziandone l'attività nel campo della produzione e della raffinazione dell'olio, cui si accompagnò, nel 1936, l'ingresso nel campo armatoriale.
Convinto liberista, denunciò i vincoli imposti dal regime fascista come rivolti ad instaurare un'economia controllata e sottolineò sempre l'importanza vitale delle piccole e medie imprese per lo sviluppo industriale del Paese.
Presidente dell'Ente Bacini, della Banca Passatore & C., dello Stabilimento Duca Visconte di Modrone e vice presidente del Cotonificio Cantoni di Milano. Cavaliere del Lavoro.
Presidente della Confindustria dall'11 dicembre 1945 all'8 febbraio 1955 negli anni della ricostruzione economica del Paese, tornò a ricoprire la massima carica della Confederazione dal 9 marzo 1966 al 16 aprile 1970.

10/18/2001

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