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La colpa d'avere successo

Un libro e una mostra curati da Serena Contini a vent'anni dalla morte di Piero Chiara ripropongono antichi dilemmi sul più celebre scrittore varesino

Piero Chiara è stato un grande della letteratura italiana del '900 o uno scrittore minore come molti lo giudicarono in vita? A vent'anni dalla scomparsa, il giudizio artistico sul romanziere luinese non è ancora nitido e netto, ma la nebbia incomincia a dissolversi. Il fiorire d'iniziative a lui dedicate, mostre, convegni, giornate di studi (la più recente, "Piero Chiara tra esperienza e memoria” organizzata il 2 dicembre al Salone Estense dal Comune di Varese), lo stanno rivalutando e collocando, pian piano, nel posto che merita. Come dimostrano le tesi universitarie che gli studenti presentano su di lui con sempre maggiore frequenza.
"Il peso e il valore di uno scrittore si valutano non solo in base a ciò che ha lasciato in termini di opere letterarie - scrive Federico Roncoroni nella prefazione al libro "Il cammino degli anni e delle lettere, Piero Chiara: carteggio con gli scrittori”, curato da Serena Contini per Alberti Libraio Editore - Certo, se si tratta di un narratore, i romanzi e i racconti che ha scritto e pubblicato hanno un'importanza determinante per qualificare la sua eccellenza e garantirgli un posto nel quadro della storia della letteratura del suo tempo. Ma oggi, come in tutte le epoche, a consolidare il prestigio di uno scrittore concorre anche… il livello di penetrazione della sua personalità d'intellettuale nel contesto sociale in cui è vissuto”.
Proprio il carteggio dello scrittore luinese con altri intellettuali del suo tempo, pubblicato da Serena Contini, fornisce spunti interessanti alla domanda che ci siamo posti all'inizio.
BEST SELLERS AL MACERO
"L'idea del libro e della mostra è nata studiando il Fondo Piero Chiara di proprietà del Comune di Varese di cui sono conservatrice responsabile - spiega la Contini - E' un fondo complicato, composto in parte di corrispondenza, migliaia di lettere, in parte di ritagli di giornali, articoli, recensioni, commenti scritti da lui, di mobilio (c'è perfino la sua scrivania), della collezione delle opere del Piccio, l'amato pittore di Montegrino e di tanto altro ancora. Tutto questo dà un'immagine di Chiara diversa da quella più nota, emerge un intellettuale sconosciuto e versatile, che non ti annoia mai”.
In una lettera del '59, Leonardo Sciascia gli fa i complimenti per aver tradotto il poeta spagnolo Luis de Gòngora in modo più brillante di Ungaretti. In un'altra del '53, Italo Calvino lo ringrazia per un'acuta recensione. Spadolini parla di lui giornalista del Resto del Carlino e del Corriere della Sera (il suo primo elzeviro sul quotidiano di via Solferino apparve il 6 febbraio 1969 ed era intitolato "Abuso del vivere”).
Ma che cosa pensava Chiara di se stesso? In un'intervista concessa a Davide Lajolo e pubblicata nel libro "Conversazione in una stanza chiusa”, nel 1984, Chiara risponde a Giancarlo Ferretti che aveva scritto un libello sui best sellers all'italiana, criticandolo.
Nel brano, riportato in una nota a pagina 223 del volume di Serena Contini, lo scrittore difende il successo di pubblico dei suoi romanzi: "Cosa vuol dire che "Il piatto piange”, "La spartizione” o "Vedrò Singapore?” abbiano passato le duecento o le trecentomila copie? E' stato solo per l'accortezza dell'editore? Il consenso dei lettori e della critica non conta proprio nulla? Devo forse averlo per un segno negativo e quindi come un invito a mandare al macero il libro che incontra il favore del pubblico e della critica?… Esaminare idee e fatti artistici per giudicarne qualità e valore, in fatto di narrativa, è di piena competenza del lettore, intendendosi per lettore colui che legge e inevitabilmente pensa, anche se non è di professione pensatore”.
"I CRITICI? LASCIALI DIRE”
Vendere copie ed avere successo è già dunque, per lo scrittore luinese, indice di valore.
E gli altri intellettuali con cui è in contatto epistolare che cosa pensano del Piero Chiara narratore? In una lettera del 9 settembre 1965, Giovanni Comisso parla di lui a proposito di Casanova: "Tu sei il solo che ha le carte in regola per salvarti con la tua arte…”. Marino Moretti in una lettera da Firenze del 21 maggio 1963 gli scrive a proposito del Piatto piange: "Sa che il suo libro m'ha fatto venir la voglia d'andare a Luino che mi par quasi un paese portentoso, con gente diversa dalle altre?”.
Ancora Moretti il 4 maggio 1964 loda la seconda fatica di Chiara: "Che dirle de 'La Spartizione'? Degna in tutto del Piatto piange, anzi più bella e forte del primo libro, perché romanzo ben costrutto mentre l'altro solo diario e cronache di paese, per quanto sorprendenti fossero e scritte splendidamente. Magnifico ancora il paese, magnifici i personaggi (le tre bruttone, il terribile Emerenziano, il prete e tutti gli altri) e quindi magnifico il romanzo nella sua totalità…. Quel che stupisce in un primo romanzo è l'ottima tecnica, la perfetta dosatura delle varie parti, psicologica, stilistica, la sapienza istintiva degli effetti e particolari e dell'insieme”.
Carlo Sgorlon cita addirittura Borges e in una lettera a Chiara del 1976 aggiunge: "Ti ringrazio del libro che mi hai mandato, che sia io che mia moglie abbiamo divorato il giorno stesso in cui l'abbiamo ricevuto. La tua arte di farti leggere, che era già grande, è ancora cresciuta. Il livello del libro è aumentato dal fermentare di osservazioni esistenziali e poetiche che sono caratteristiche delle tua natura. E' un giallo alla Piero Chiara, qualcosa di più alto di un giallo all'italiana, con personaggi quotidiani, banali-misteriosi, come è banale e misteriosa l'esistenza. I critici diranno certo che è un libro di consumo…. lasciali dire… i critici e gli scrittori italiani sono per lo più dei letterati, tu invece sei un narratore…”.

"Fu emarginato per invidia”: in una conferenza a Palazzo Estense, lo scrittore Roberto Gervaso parla dell'amico CHIARA.

Roberto Gervaso è uno dei pochi amici in vita dello scrittore luinese. A Palazzo Estense, in una fredda serata di dicembre, racconta un Piero Chiara diverso, privato, sconosciuto: "L'archivio di Chiara ha 13 mila lettere, Voltaire ne aveva 15 mila. Io ne ho messe a disposizione una ventina. Non ricordo il giorno in cui l'ho conosciuto, so che era il 1968 e che fui presentato da amici comuni di Varese. Lo rividi nell'ufficio stampa della Mondadori, aveva già scritto Il piatto piange e La spartizione. Era considerato uno scrittore minore, ma vendeva molto. Andava spesso a Roma. Mi mandava i suoi libri quando uscivano. Non perdevo i suoi elzeviri sul Corriere della Sera. Chiara non amava perdere tempo, era di quelli che considerano il tempo denaro. Frequentava i bar ma non per chiacchierare, era come se avesse un terzo occhio con cui osservava quello che gli altri non vedono. I suoi maestri erano Boccaccio, Giacomo Casanova, Balzac. Vedeva i tic che contrassegnano il carattere, raccontava i personaggi di pic
coli paesi in ossequio alla regola che, se vuoi essere universale, devi parlare del tuo paese”.
Ecco emergere dai ricordi dell'amico il Piero Chiara play boy. "Gli piaceva atteggiarsi a seduttore, a macho, a uomo affascinante. Ci teneva alla fama di dongiovanni. In realtà era difficile resistergli per l'intelligenza dei racconti. Era ghiotto di storie di donne. Il suo modello letterario era Casanova. Si sentiva anzi il piccolo Casanova di Luino. Se io ho scelto di scrivere proprio la vita del grande veneziano, è stato grazie ai suoi consigli. Ma Casanova era alto 1,91, era bello. Perché Piero Chiara piaceva alle donne? Egli s'immedesimava nel modello, in certe ambiguità del celebre seduttore, certe situazioni addirittura se le attribuiva”.
Scrittore, conferenziere, elzevirista e mercante d'arte, Chiara aveva un talento particolare nel coltivare le amicizie.
"A Lugano viveva Prezzolini, un uomo aperto, che riceveva e rispondeva a tutti. Mangiando fiorentine e tortellini si parlava di letteratura e di politica. Chiara non amava la politica, diceva che non gliene fregava niente, ma poi diventò segretario del partito liberale di Varese. Perché lo fece? Mi confessò di averlo fatto per disporre d'un ufficio e di un telefono abilitato alle interurbane. Era una miniera di storie raccontate con malizia, con eros. Un grande affabulatore. Venivo volentieri a Varese, in treno, per trascorrere un paio d'ore in sua compagnia, anche se mi costava una cena”.
Infine i vizi privati. "Era avaro, questo si. Non ti offriva neppure un caffè. Un esempio? Non sapeva quando usciva il suo elzeviro, allora andava all'edicola, sfogliava il Corsera e lo acquistava solo se c'era il suo pezzo, altrimenti lo ripiegava e rimetteva a posto. Accettava volentieri premi e presidenze Si faceva pagare per leggere i manoscritti degli altri”.
Ma quanto valeva come scrittore? "Dai suoi libri - osserva Gervaso - sono stati tratti film commerciali, che rendevano tanti soldi e non è un merito da poco. Era uno scrittore popolare, messo al bando, emarginato anche se aveva un pubblico sterminato. Perché tanto livore? Io credo fosse invidia, chi lo criticava non guadagnava e non scriveva come lui. Sapeva, come diceva Montanelli, farsi capire dal lattaio. Si faceva anzi capire da tutti. Come Gozzano sapeva cogliere le cose minute, infinitesimali, che però hanno un potere evocativo, creano atmosfera. Nei suoi confronti c'è stata un'ingiustificata emarginazione da parte della critica. Ma, per me, è nel Pantheon della letteratura italiana del '900”.
L'ALTRA FACCIA DI CHIARA: Giornalista, traduttore, "casanovista”

Come valutare la facilità di Piero Chiara nello scrivere, quello stile piano e leggero, che molti considerano quasi con sufficienza?
"Scrivere è un'arte difficilissima e nel caso di Chiara c'è dietro un lungo lavoro di cesello - risponde Serena Contini - Era molto attento alla scelta degli aggettivi, a quella dei nomi dei personaggi, che andava a prendere addirittura sulle lapidi dei cimiteri e poi modificava. I suoi romanzi sono il prodotto di un faticoso lavoro. Ci sono i documenti a provarlo. Il suo raccontare il territorio non è provincialismo ma una chiave di lettura del mondo. Chiara del resto aveva una personalità poliedrica, si occupava di ciclismo, scrisse di Binda, è stato perfino speaker al Giro d'Italia”.
Chiara scrive il suo capolavoro nel '62, Il piatto piange, ma pochi sanno che già negli anni Trenta collaborava con diversi giornali, tra cui il Giornale del Popolo di Lugano. Più tardi Giovanni Spadolini lo avrebbe invitato a collaborare con Corriere della Sera accanto ai vari Montanelli, Buzzati, Cassola. Si dedicava a numerose attività intellettuali, come quella semisconosciuta ai più di traduttore di Virgilio, del Satyricon di Petronio, di Giacomo Casanova e dei poeti spagnoli.
Fu uno dei più grandi "casanovisti”. Mondadori affidò a lui la cura della prima edizione integrale della "Histoire de ma vie” in sette volumi, tra il 1964 e il 1965, di cui sei volumi del testo tradotti da vari autori e il settimo di commenti di suo pugno.

01/19/2007

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